La morte di Zoran II
Scritto da verdeanita il giugno 21st, 2007 | 6 comments

Un giorno, a Bologna, appena scesa dal 36 che mi riportava a casa, durante una canzone di Jimi Hendrix, il mio iPod Zoran esalò l’ultimo respiro.
Dopo un mese di attesa, dalla Apple giunse il suo successore, da me battezzato Zoran II.
Zoran II è morto l’altroeri, durante una canzone degli Yo La Tengo.
Poichè gli iPod mi hanno scassato, poichè non ho voglia di riportarlo alla Fnac (ma lo farò per non sputtanare la garanzia), ho riesumato il walkman tremendamente anni ottanta di mio padre.
Poi ho preso un nastro da 60 minuti, l’ho inserito nel mangiacassette semi-scassato dell’hi-fi, ho fatto partire il giradischi e ho registrato tutto il lato A di Who’s Next. Poi ho girato il disco e ho registrato il lato B.
Tra poco andrò a salutare i maturandi, portandomi dietro il walkman.
Mi hanno scassato anche i cd (ma tanto oggi me ne comprerò almeno uno che è la giornata della musica e c’è il 15% in meno alla Fnac – anche sul prezzo verde).
Il mio portatile è stato formattato due volte e ancora non funziona, ho installato Linux e non riesco ad usarlo. Mi ha scassato pure quello. C’è una bella macchina da scrivere Olivetti che mi aspetta.
Che nervoso.
Le mie mani si sono riempite di bollicine pruginose, probabilmente in seguito all’aver realizzato che era veramente Pete Townshend l’uomo col naso grosso seduto in una osteria in via sottoriva. Era lui.
Per compensare la mia insoddisfazione musicale, dovuta a questo e ad altra piccole tragedie, tra meno di due settimane avrò una batteria. Pearl. Nera.
E se anche voi volete risollevermi il morale, fate un giro qui e fate ciò che vi dice il vostro cuore.

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The Kids Are Allright
Scritto da verdeanita il giugno 12th, 2007 | 4 comments

I concerti nei posti immensi hanno la pretesa di essere perfetti. Impianto perfetto, luci perfette, immagini perfette, strumenti costosi accordati perfettamente e voci che devono cantare perfettamente.
I concerti nei posti immensi hanno spesso un costo spropositato, c’è la sicurezza ad ogni porta e se ti arrampichi sulle ringhiere o fai qualche gesto euforico ti risbattono subito al tuo posto.
Una volta i concerti avevano pretese molto minori, probabilmente gli impianti erano "da battaglia" così come gli strumenti. Infatti erano talmente da battaglia che un giorno capitò che un chitarrista ebbe la geniale idea di distruggere la chitarra contro un amplificatore. Ma questa è un’altra storia.
Oggi gli Who sono rimasti in due e sono due vecchietti arzilli, diciamola così. Pete è riconoscibile per via del nasone e Roger non lo so se è riconoscibile.
La mia testa era proiettata al concerto si ieri sera come ad un concerto di un gruppo di oggi, un gruppo che aveva dimenticato quello che era una volta. Mi aspettavo quindi un concerto senza sbavature, realizzato in una logica molto "da casa discografica" del tipo "facciamo sentire tutti i pezzi del nuovo cd e poi magari qualcos’altro, tipo Baba o’riley, così, per dare un contentino".
La mia più grande paura era che cominciassero con Fragments. Canzone carina, certo, ma che ti illude troppo, perchè sembra Baba o’Riley, la versione stanca di Baba o’Riley. Molti dei presenti in Arena probabilmente non si erano preoccupati di comprare l’ultimo cd. L’Arena sarebbe esplosa in un boato esaltato per poi sbrofondare in un silenzio incuriosito e infastidido. E deluso.
Invece no, gli Who cominciarono con I Can’t Explain, e le mie paure si dissolsero. Cantai e ballai gioisamente le prime quattro canzoni, ringraziando la pioggia che mi rinfrescava delicatamente. E urlavo convinta "Distruggila Pete! Distruggila", sicura che tanto non l’avrebbe fatto. Aspettavo con ansia ogni canzone, sapendo che certe le avrebbero fatte di certo, e io non vedevo l’ora. Invece la pioggia delicata si trasformò in una bufera. E tutta l’Arena si svuotò. Io aprii il mio ombrello colorato, che coprì anche molti dei giovani rockettari di fianco a me, e rimasi pazientemente al mio posto, urlando "No Rain, No Rain", come la stessa innocente speranza di chi l’aveva urlato prima di me.
Il concerto si interruppe per un’ora. Poi, ricominciò, e sembrò ricominciare bene, con una canzone splendida come Behind Blue Eyes.
La voce di Roger però se ne era andata a causa dell’umidità. Interruppe la canzone a metà e se ne uscì dal palco sconsolato e credo molto imbarazzato. Fu Pete a dirci che a causa della voce di Roger non avrebbero potuto proseguire il concerto.
A questo punto avrei potuto fare come la maggior parte dei miei vicini: bestemmiare, imprecare, insultare pesantemente gli Who, richiedere indietro i miei soldi o maledirli perchè mi avevano fatto perdere una giornata di studio/lavoro. Intorno a me sentivo tutto questo e mi sentivo triste.
Perchè io non ce la facevo. Fino a quel momento avevano suonato bene, avevano spaccato, come si dice. Mi avevano emozionato e mi erano parsi dei grandi. Sì, per me erano ancora dei grandi. Una voce che si abbassa non è una cosa per insultare un cantante. E’ ovvio che non se la senta di cantare se il suo strumento viene a mancare. Come suonare con una chitarra senza un paio di corde, con un basso scordato, con una batteria senza piatti. Si può fare, certo, ma non è la stessa cosa. Una voce che si abbassa è solo il segno che il tempo è passato. Too old to rock’n’roll, too young to die, ha detto qualcuno.
I soldi che avevo speso per il biglietto erano tanti, ok. Forse erano pure tantissimi. Però non riuscivo ad odiarli per questo. E’ difficile parlare di musica, è difficile decriverla a parole. Sono linguaggi così diversi, come si può darle adirittura un prezzo?
Pensavo, ed era molto idealistico farlo, ma in fondo era anche vero, che gli Who appartenevano ad un altro tempo. E che in quel tempo la gente non si sarebbe preoccupata dei soldi del biglietto, del lavoro, del biglietto del treno. Probabilmente avrebbe accettato la cosa, perchè i soldi e tutte le preoccupazioni non facevano parte di quella musica.
Dopo un bel po’ di tempo, e un bel po’ di movimento dietro al palco, il gruppo torno fuori.
Ora accaddero un paio di cose, che magari qualcuno ha interpretato male, ma che io, piena della mia bontà musicale non sono riuscita a fare.
Accadde che gli Who regalarono un’oretta scarsa di concerto, in cui Roger canto per quel che poteva, cacciando urletti con la sua voce rauca che fecero impazzire l’Arena intera. E capitò anche che, probabilmente perchè la voce era quella che era e non avrebbe potuto durare ancora molto, infilarono uno dopo l’altro tutti i loro brani più grandiosi. Uno dopo l’altro, senza sosta. Qualcuno potrebbe dire "ma sì, ci hanno dato il contentino, ci hanno fatto sentire quello che volevamo sentire per farci tornare a casa tutti contenti".
No, loro hanno cercato di dare il meglio, con i loro mezzi. E’ stato un concerto ben lontano dalla perfezione sonora, è stato un concerto di quelli che ti emozionano veramente non solo per le canzoni che suonano, ma anche per chi le suona e per come le suona. Con l’anima, col la forza di qualcuno che vuole dare un senso a quello che sta facendo. Ero in delirio.
Di fianco a me, i giovincelli rockettari. Esaltati più di me, poichè quello era il loro vero primo concerto. Uno di loro mi prese pure sulle spalle, durante Baba O’Riley. Fantastico.
Quando dicevo di ascoltare i Led Zeppelin, i vecchiardi mi guardavano con stupore e sospetto, increduli davanti a qualcuno che poteva apprezzare una musica così vecchia.
Invece queste persone continuano a nascere, anche se i tempi sono cambiati e uno spirito come quello di ieri sera difficilmente lo ritroveremo.
Però, lo possiamo proprio dire. I bambini stanno bene.

Articolo pubblicato anche qui e qui.

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Scritto da verdeanita il giugno 12th, 2007 | 1 comment

Oggi, prima di andare in Biblioteca per dedicarmi al diritto costituzionale, mi recai dinnanzi al mio vetusto liceo, senza alcun apparente motivo, essendosi la scuola conclusa quattro giorni fa. Parcheggiai la bici nelle rastrelliere insolitamente vuote, entrai, salutali La Carla come di consueto e cercai l’ultimo numero del giornalino d’istituto.
Sono soddisfazioni finire per la prima volta sul “Kagathos” da ex-maffeiana. E tra gli “Ipse Dixit” ancora di più.
Il 9 giugno, da brava finta liceale, ho organizzato un concerto nella mia casa di campagna. Mi piace spacciare queste feste per il mio diciottesimo. Mi piace quando i gruppi che suonano mi fanno gli auguri in buona fede. Quindi io, in tutto, ho avuto qualcosa come cinque diciottesimi. Non male, vero? Anche se man mano che gli anni passano la storia diventa sempre meno credibile.
Il pomeriggio prima del concerto mi vide impegnata in alcune pseudo-prove a causa di Zeno, che ci offrì per pranzo una buonissima pasta servita in porzioni mastodontiche e condita con una dose per me troppo abbondante di peperoncino. Venni quindi costretta brutalmente a finirla, con la faccia paonazza e la gola in fiamme. La tortura si fece più crudele quando minacciarono di giocare a “Dubito” davanti ai miei occhi (essendo “Dubito” un gioco talmente violento da farmi piangere). Alla fine, mossi da pietà, i presenti acconsentirono a farmi gettare la pasta rimanente nel cestino dell’umido.
Ci trasferimmo poi in campagna a sistemare il “palco” (che ovviamente non è un palco, ma solo una colata di cemento in mezzo all’erba). El e danze ebbero inizio di lì a poco.
Ecco la scaletta, con tanto di genere idiota tra parentesi (non meno idiota di qualcosa come post-punk-indie-rock) e commenti.
Acido Pastello (tenghi). Io e Michele sviluppammo una delle nostre teorie idiote secondo cui all’aumentare delle capacità tecniche, i componenti di un gruppo diventano sempre più stronzi e aumentano proporzionalemente anche le loro pretese come quella di suonare sempre più tardi. Quindi, a causa del mio essere una zappa alla batteria, e della nostra scarna scaletta, e per rendere tutti più contenti (facendo suonare tutti un quarto d’ora più tardi), decidemmo di aprire noi la serata. Suonammo Tom Courtenay, Femme Fatale e poi, estemporaneamente, una canzone dei Ramones in stile Velvet Underground e, paradossalmente, fu quella de me suonate meglio (infatti non mi inchiodai neanche una volta, cosa che avvenne per le altre due canzoni).
Drem Rock (hardi). Questo gruppo di giovincelli simil-metallari ebbero il privilegio di comparire in scaletta in quanto “amici di mio fratello”.
Commisero un piao di gravi errori, come suonare la canzone proibita (Smoke on the Water) e dire “Questa canzone è dei Gun’s Roses” quando la canzone era di Bob Dylan (inutile dire a quale canzone mi riferisco: se non lo sapete, studiate!). A parte questo i giovincelli mostrarono buone capacità tecniche e il tastierista (Tobia) fu molto molto stiloso.
The Pausamerda (shalli). Denominati appropriatamente dal cantante “gruppo di desaparecidos”, rappresentarono il fulcro spirituale della serata, come spiegato da Fabio in questo post. Purtroppo durante questa esibizione fui impegnata nelle varie attività da padrona di casa/organizzatrice come salutare chi non vedevo da tempo, presentarmi a chi non avevo mai visto (ad esempio Chiara, una donna che m pare veramente gGiusta) , cercare bottiglie di vino apribili e bevibili (non l’Amarone, non l’Amarone) e dare del cibo a persone stanche e affamate(povero Lamberto). Quindi riuscii solo a sentirli in lontananza e l’ipressione fu positiva.
The Jokers (tulli). Un paio di settimane fa non conoscevo nessuno dei componenti di questo gruppo, ma li avevo già visti suonare un paio di volta. La prima volta pensai “Sono bellissimi/tenerissimi/adorabili”, la seconda “Sono anche bravi” e la terza dissi semplicemente “Mi hanno commosso, devo farli suonare a casa mia”. Durante il sound-check, gli avevo concesso dieci minuti in più degli altri gruppi, minuti che furono riempiti con canzoni imporvvisate e una “Moby Dick” con tanto di cambio di formazione. Inoltre suonarono “Bouree” e, su richiesta, “Living in The Past”. Puoi suonarono “Summertime Blues” che nella sua forma più rockeggiante e accompagnata da “My Generation” mi fece emozionare al pensiero del concerto di stasera.
Ancher (posti). Un giorno il mio amico Marci mi disse “Ascoltati il loro demo che è molto figo”. Perseguitai quindi uno dei due chitarrisiti (Tobia) fino a quando non ottenni il cd che in effetti si dimostrò piuttosto figo. Nel frattempo gli Ancher erano riusciti a suonare in svariati posti della provincia e io non ero mai riuscita a sentirli dal vivo (e non ero neanche del tutto convinta che fosse la voce di Zeno quella che si sentiva sul cd).E feci dunque una cosa molto logica come chiedere agli Ancher di suonare a casa mia. Ci rimisi un paio di bacchette, che finirono divise in due, ma ne valse la pena.
Durante lo smontaggio del palco ebbi anche il privilegio di provare a suonare il flauto traverso e la sega (sì, lo so che può sembrare strano, ma ho proprio suonato una sega).
Mi dedicai poi a pulire il prato ricoperto di bicchieri e lattine, con l’aiuto di svariate persone, tra cui il Fede, che comparve misteriosamente solo alla fine della festa.
Una festa proprio bella, che ha puntato più sulla musica che sul devasto generale.
Peccato per i Camera Stilo che non hanno suonato, dopo un soundcheck non particolamento riuscito… Mi sono mancati i Pixies e anche i SonicYouth. Ci volevano per completare la serata.
Codesto post è stato scritto ieri pomeriggio, l’ho pubblicato adesso, appena tornata dal concerto degli Who. Per questo la data è 12 giugno. In realtà è stato scritto l’11.

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