E quella dopo il concerto รจ stata la migliore birra che io abbia mai bevuto.
Scritto da verdeanita il luglio 8th, 2007 | 3 comments

Ven 6 Lug – Sonic Youth performing Daydream Nation
Poco tempo fa, ripescando un vecchio numero del Mucchio Selvaggio lessi un intervista in cui un genio diceva che i preti dovrebbero prendere esempio dalle hall per concerti. Una messa dovrebbe essere un evento unificante per i partecipanti, che invece il più delle volte ne escono esattamente come ci sono entrate (magari anche più depressi). Invece ai concerti le persone più diverse assistono alla stessa esperienza, ascoltano lo stesso messaggio. È quindi un’esperienza quasi mistica e realmente fortificante.
In questa chiave che ho visto e sentito e vissuto il concerto dei Sonic.
Ed inoltre questo concerto aveva la peculiarità di presentare un album intero, ritenuto da molti il migliore del gruppo. Centinaia di persone si erano quindi recate in un posto sicure di sentire quello che volevano sentire e avevano aspettato ogni canzone e ogni nota colmi di ammirazione, sentendosi tutti parte della stessa cosa.
Le mie aspettative erano molto grandi, dopo aver litigato con il mio giovane amico sonico a causa di Daydream Nation.
Io andavo a questo concerto per capire, essenzialmente.
E credo di aver capito perfettamente.
Senza tanti inutili preamboli i Sonic Youth si sono presentati sul palco e hanno cominciato con Teenage Riot, canzone che non ho mai avuto problemi a definire bellissima, con le sue chitarre che annuiscono.
Ero a circa tre o quattro metri dal palco, all’inizio del concerto, proprio davanti a Kim Gordon.
La tranquillità della prima canzone mi ha giovato, perché ho una particolare adorazione per i concerti calmi e tranquilli, dove l’unica cosa che si fa è ascoltare.
E fu per questo che inizialmente pensai “Purtroppo” quando alla seconda canzone il pogo si rivelò crudele e devastante.
Ma decisi che era il caso di non tirarsela e di buttarsi nella mischia. E non andò per niente male.
A questo punto i ricordi diventano piuttosto confusi e cronologicamente spezzettati.
So che ad un certo punto mi sono ritrovata una testa spiaccicata sulla bocca, che ero in quinta fila e riuscivo comunque a toccare la transenna. Ricordo di aver perso e ritrovato i miei amici una quindicina di volte, di essermi girata e aver trovato lo zaino completamente aperto e di aver constatato preoccupata che l’iPod e il portafoglio erano beati al loro posto e l’unica cosa che mancava, perché in quel momento era l’unica cosa di valore, era la bottiglietta di acqua naturale, di aver toccato Marre chiedendogli “Ma è tutta roba tua quella che hai addosso?” e di aver ritirato la mano schifata, dopo la sua risposta affermativa, di aver elemosinato dell’acqua ghiacciata ad una ragazza di nome Laura, di non aver mai desiderato così tanto una birra fredda, di aver assistito un po’ sconvolta alla malvagia crudeltà di chi afferrava la gente e la buttava nel mezzo del pogo, e di aver provato tanta tristezza per una ragazza piccolina e carina in prima fila, con lo sguardo vacuo.
La mia sessualità ha mutato orientamento numerose volte a seconda della direzione del mio sguardo (mi sono quindi innamorata: di una gonna di pailette, di una grancassa dipinta, di una chitarra delicatamente strusciata sull’impalcatura, di una testa ricoperta di capelli bianchi, di vari amplificatori Marshall dipinti con le tempere).
E mi stupii di come da quello che avevo precedentemente considerato caos potesse nascere cotanta meraviglia.
Lo stato di trance fu accentuato dal fatto che non era faticoso reggersi in piedi perché c’erano altri corpi che mi sostenevano (e io sostenevo loro, ovviamente, e quindi era un sostegno reciproco).
Quello che devo a questo concerto è di aver fatto diventare Daydream Nation parte di me. Non era nulla, prima. Era un disco che avevo ascoltato troppe volte, troppo poco attentamente in momenti troppo lontani tra di loro.
Invece a Ferrara l’ho ascoltato e vissuto tutto, e oltre a melodie e dissonanze che si rincorrono per me, ora, Daydream Nation è anche tutte quelle cose che ho elencato prima, ed è anche “i Sonic”. È Kim Gordon con la sua sensualità sudaticcia e gli altri con la loro eleganza disordinata. E quella chitarra che accarezza l’impalcatura è stata commozione massima, e l’inizio basso e scavante, saltellante e crescente di PlayTotal Trash mi ha fatto un buco nel cuore. Ha scavato più in fondo di PlayDeeper Into Movies.
E quella dopo il concerto è stata la migliore birra che io abbia mai bevuto.

p.s.: quello che non ho capito, di questo concerto, è stato il gruppo spalla (My Cat Is an Alien). Ancora non riesco a capire se mi abbia infastidito di più il fischio finale o il fatto che loro avessero un rullino dentro la loro polaroid, e io no. O forse il fatto che la mia batteria ha solo un Crash e loro ne hanno martoriati due, che sono stati usati come un’arma da tartarughe ninja.

p.p.s.: nella sala prove degli Acido Pastello (e dei Camera Stilo) comparirà presto un simpatico ricordo di questo concerto: una scarpa col tacco rinvenuta in Piazza Castello in mezzo a lattine e bicchieri di plastica.
Mi dispiace per la Cenerentola della situazione, ma forse la prossima volta indosserà calzature più adatte.

Lo stesso post su last. fm, qui.
Ed inoltre post su Veronablog.

Categories: Senza categoria | Tags: , , , , , , , , , , , |

Comments (3)

  1. utente anonimo ha detto:

    ciao – che bello leggere i tuoi post dopo i concerti – volevo dirti che ti leggo e che purtroppo quando scrivo dei commenti – ne avevo scritto uno bellissimo super complimentoso su quello del tuo sentirti sfigata alla frinzi – e poi quando lo invia mi si cancella – vediamo se questo va

    stef b.

  2. ZiaPetunia ha detto:

    Questo concerto te lo invidio proprio!

  3. peppermint_nicole ha detto:

    grazie per essere passata dal mio blog.

    il mio gruppo preferito sono i sonic youth. li amo da morire…

    spero di incontrarti e parlare di musica, un giorno…

    nicole

Leave a Reply

Required fields are marked *