Idealista, inquieta e nostalgica. Dovrebbe essere più perfida.
Scritto da verdeanita il novembre 14th, 2011 | 2 comments

C’è quel post sul mio vecchio blog che parla della mia insoddisfazione e di un soppalco ikea. Mi compiaccio della mia capacità di analisi su me stessa. Nel capire il perchè della mia smania per un soppalco ikea. Non era assolutamente il soppalco ikea. Nella mia camera di ora il soppalco non ci starebbe. Però il mio letto è dell’ikea, come svariate altre cose. C’è poi tutto quello che desidero, in questa stanza: l’hi-fi mostro di mio nonno che mi accompagnò anche a Bologna, dei mobili graziosi e una macchina da cucire che non ho mai il tempo di usare. E mi sento addosso la stessa sensazione.

Ultimamente mi sono definita “nazista”, ovvero particolarmente rigida, in diversi contesti. Quello principale è l’essere una Beziehungsnazi, che vuol dire che per me le relazioni sentimentali sono solo bianche e nere e non ci sono vie di mezzo. Che o stiamo insieme o non ci stiamo e che tutte quelle stronzate tipo le relazioni aperte, gli scopamici e i limonamenti a caso non fanno per me. Tutto ciò probabilmente è solo una struttura solida che mi sono autoimposta per tenere a bada l’eccessiva inquietudine che mi aggroviglia le budella.
“Idealista, inquieta, nostalgica, perfida” è quello che che avevo scritto sul mio blog nel 2004. Direi che idealista, inquieta e nostalgica lo sono senza ombra di dubbio (e questi tre aggettivi fanno un po’ il verso a quello che avevano scritto le mie maestre sulla pagella di prima elementare: “aperta, gioiosa, impegnata”). L’essere perfida doveva essere più una dichiarazione d’intenti ma no, non ce l’ho mai fatta. Non sono perfida, anche se a volte vorrei. Sono buonissima.
Qualche settimana fa ho trovato un voucher da 100 euro per Amazon appartentente al mio ex ragazzo. Inutilizzato. Era il suo regalo di Natale da parte di suo padre. Gliel’ho mandato via mail. Tutte le persone a cui l’ho raccontato mi hanno detto che loro se lo sarebbero tenuti. Io no. E non tanto per via del mio ex ragazzo, ma perchè mi dispiaceva fare questo a suo padre, che mi stava tanto simpatico.
E non è solo questo. Faccio anche fatica a giocare a Risiko, ad esempio.
Qualche giorno fa, però, lo stesso ex ragazzo si è dimenticato di farmi gli auguri di compleanno e io l’ho chiamato per farglielo notare, che forse è stato un atto un po’ da sfigati ma mi sembrava il modo giusto per bilanciare gli avvenimenti. In realtà è stata una telefonata molto gradevole.

La città va più veloce di me. Passeggiare per certi quartieri di Berlino, oggi pomeriggio, mi ha messo addosso una certa inquietudine. Il non sapere come fossero qualche anno fa e il non sapere come saranno tra qualche anno o addirittura tra qualche mese mi fa male. E tutto quel vuoto in attesa di essere riempito. E tutto questo movimento, a volte senza direzione.
“Berlino è così bella che mi fa quasi male” dicevo. E dicevo anche: “Questo è il mio secondo inverno a Berlino ma è come se fosse il primo, perchè durante il mio primo inverno non avevo nessun ricordo che mi stritolasse il cuore e che mi facesse capire quanto è cambiato”.
L’altra sera siamo andati a ballare al Sysiphos che quel posto di cui avevo già parlato, pieno di mirrorball e vecchi lampadari, dentro un qualche vecchio palazzo della Berlino est. Il classico vuoto riempito che mi piace tanto. Ci arriva il tram 21 e tutte le volte mi vengono in mente le Electrelane.*
Mentre mi imponevo di smettere di bere birra per evitare un gigantesco hangover il mattino seguente, mi tornò in mente una sera a New York di qualche giorno prima.
Durante una delle due serate che avevo passato a casa di Alex, nel suo appartamento sulla 1st Avenue, io e mio fratello avevamo cercato di raccontare ad Atusa, la sua ragazza persiana, perchè i racconti de “La boutique del mistero” di Buzzati fossero così fighi. Oltre ai vari racconti che mi sono sempre piaciuti, mi tornò in mente che c’è n’è uno, dentro quella raccolta, che per qualche motivo mi ha sempre fatto piangere e che è “Inviti superflui”. C’è quella frase che dice “Tu sei dentro a una vita che ignoro”, che mi ha sempre fatto sospirare. Quante persone a cui voglio bene sono dentro una vita che ignoro? E quante persone che mi vogliono bene non hanno idea delle cose che faccio qui?
Mentre le luci del Sysiphos sparavano raggi laser verdi e i lampadari si accendevano e poi si spegnevano, pensavo ad esempio a mia madre, e a quello che avrebbe potuto pensare, vedendomi lì. **
Ma in generale, quel racconto che è inquietante come tutti i racconti della raccolta, catapulta l’inquietudine su una persona assente, e desiderata. O presente, ma diversa dai propri desideri. E una cosa del genere temo di riuscire a capirla sempre meglio, più divento vecchia.
E c’è anche dell’altro che potrei dire, ma diventerebbe troppo personale o troppo noioso o anche entrambe le cose.

Tutto questo, le cose che cambiano e l’insoddisfazione, è anche per dire che mi hanno dato il preavviso di due settimane e che quindi tra due settimane sarò senza il mio lavoretto. E che io comincio ad essere un po’ perfida da domani e, senza dire nulla, perchè sinceramente non so cosa dire, domani in ufficio non ci vado.

* Prendere il 21 e andare a fare foto in quella parte di Berlino è sulla mia lista delle cose da fare, come una gita a Taufelsberg
** Stai tranquilla mami: bevo responsabilmente e oltre ad essere una Beziehungsnazi sono anche una Drogennazi e dovresti sentire quando parlo del Fusion con i miei amici. Che tra l’altro pare che siano diventanti un po’ nazi anche al Fusion.

Categories: berlin, diary |

Comments (2)

  1. Adamy ha detto:

    “Tu sei dentro a una vita che ignoro” è un tema di cui ho discusso qualche sera fa, al malacarne, con un nostro amico. Sembra essere il leit motiv del periodo per tante persone che mi sono vicine (o mi erano vicine).
    Leggendo il tuo post mi sembra di averne parlato un po’ anche con te, e la cosa mi da un po’ di (irrazionale) sollievo.
    Ci vediamo venerdì sera.
    Un bacione

    M.

  2. verdeanita ha detto:

    proprio prima sulla metro ti pensavo intensissimamente, che mi manchi un sacco sostanzialmente.

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