Una settimana fa mi sono trovata davanti ad una parete piena di dischi. Ho chiesto: “Quanti sono?” “Non so, credo 6000.”
Io non ho 6000 dischi. Io non avrò mai 6000 dischi. Io compro pochissimi dischi. La musica si succhia comunque un sacco di miei soldi tra concerti (soprattutto), riviste, download e quei pochi dischi che comunque compro. Ma il punto è che comprare dischi non è un’attività che svolgo regolarmente. Lo facevo, una volta. Andavo alla Fnac con Michele (e anche con Merih una volta) e avevamo un nostro metodo studiatissimo. O anche da sola. Ma da quando ho finito le superiori e ho cominciato a spostarmi in altre città è diventato brutto avere i dischi separati tra le varie case e stanze e tra la parete e la valigia dei dischi.
Poi l’altro giorno parlavo con Michele e parlavamo delle solite cose, che c’è troppo internet, che non si ascoltano più con attenzione e tutte quelle cose lì.
Quindi ho deciso che un disco al mese, pensandoci bene, potrei e dovrei anche comprarmelo. E sarebbe anche bello tener traccia di quello che ascolto. Le classifiche di fine anno in questo caso aiutano tantissimo, ma non bastano a tener traccia di tutto ciò che è vecchio, recuperato, riascoltato.
Questo mese è stato facile scegliere cosa comprare. A gennaio è uscito un nuovo disco degli Yo La Tengo. “Fade” è un disco morbidissimo, in cui manca tutta la parte rumorosa che degli Yo La Tengo è la mia preferita. Ma è un disco che suona benissimo e a cui non posso che voler bene.
Per il resto, questo mese ho caricato l’iPod con un sacco di musica tedesca e serba che ho cominciato ad ascoltare recentemente. Una volta non ci riuscivo per via dello strano suono della lingua, ma ho superato questo ostacolo e sto apprezzando tantissimo scoprire gruppi un po’ lontani da quelli classici ma che comunque raccontano cose di un periodo, di un posto.
L’unico altro ascolto nuovo (e attento) è il disco di Pascal Pinon in uscita per la sempre adorata morrmusic.
Cose vecchie mai sentite: Darkwood Dub “Paramparcad”, Der Plan “Geri Reig Und Normalette Surprise”, Ton Steine Scherben “Keine Macht für Niemand”, Fehlfarben “Monarchie und Alltag”
Cose vecchie riascoltate: Girls in Hawaii “Plan your escape”, Envelopes “Here comes the sun”, The Breeders “Last Splash”
Cose nuove: Pascal Pinon “Twosomeness”
Riuscirò a fare la stessa cosa anche a febbraio?
Ero appena arrivata a Belgrado. Avevo visto solo l’aeroporto. Milica a Bojan mi stavano portando a casa per farmi lasciare le borse. Poi, mi avevano detto, saremmo andati a bere una birra.
Fu uno dei primi edifici che vidi. Il primo, l’imponente Genex Tower, mi aveva dato il benvenuto già all’aeroporto. Quello dopo, ancora squarciato dai bombardamenti, non mi avrebbe incuriosito così tanto.
Il Bigz era pieno di finestre ed era enorme, ma non sembrava niente di speciale. Ma me lo dissero subito: “Questo è il Bigz, una volta era la sede di una ditta di stampa, poi, dopo la crisi economica, l’azienda che lo possiede ha cominciato ad affittare gli spazi e adesso è pieno di artisti, sale prove, locali.”
Lo esplorai un paio di settimane dopo. Ci andai una sera con Jenn, la sera che scoprii i Kriške. Ci portai tutti quelli che passarono a trovarmi. Ci portai Mara, la sera che la incontrai per caso dopo due anni, proprio lì a Belgrado. La stessa sera che un tizio ci invitò nel suo studio solo per ascoltare i Joy Division e io mi misi a suonare la batteria completamente sbronza.
Mi piaceva fare i sette piani di scale tutti di fretta, specialmente con qualcuno dietro di me che non capiva perché fossi così eccitata. Mi piaceva arrivare a чекаоница, il jazz bar sul tetto, e vedere tutta la città.
E non vedo l’ora di tornarci.
Questa foto è stata scattata a Belgrado questo autunno dalla sempre mitica Ana Blagojevic e mi ritrae nell’atto di attraversare la strada verso la Stazione di Belgrado che è più piccola di quella di Verona Porta Nuova Vescovo.
Capodanno dell’anno scorso me lo ricordo molto più freddo. Sono quasi sicura di sbagliarmi ma mi piace pensare ai Magazzini Generali e alla Stazione Frigorifera coperti da un sottile strato di neve.
Quest’anno, alla fine di dicembre, ci siamo potuti concedere addirittura un pranzo all’aperto, con uno sguardo su quella che considero una delle aree più affascinanti del mondo.
Mi sono concessa una passeggiata molto breve, sono arrivata in prossimità della Stazione Frigorifera e ho guardato dentro. Ho visto la sua stanza più bella, quella che una volta era completamente ricoperta di alluminio, l’ho vista cambiata e sono tornata indietro, sentendomi fortunata di averla vista com’era, anche se solo una volta.
La notte tra il 30 e il 31 dicembre, che è l’ultima notte dell’anno perché in quella tra il 31 e l’1 di solito non si dorme mai, ho fatto un sogno in due parti.
Nella prima ero a Belgrado, ero al Bigz e c’era molto movimento e io entravo in qualche stanza e c’era qualche concerto e conoscevo un ragazzo con gli occhi scuri ed era tutto molto romantico e tenero e perfetto.
Nella seconda parte ero a Ferrara. Passeggiavo in via Ragno e davo un’occhiata dentro a Zuni, che era diverso ma io sapevo che era Zuni, perché i sogni a volte sono fatti così. Ero a Ferrara senza un motivo, ma questo accadeva normalmente anche nella realtà. Non sapevo se entrare o meno e poi mi accorgevo che sul programma c’era il nome del tuo gruppo. Era una tappa del tour italiano che io credevo di aver imparato a memoria ma evidentemente mi ero sbagliata. D’altra parte i sogni sono fatti così.
Così entravo e mi sedevo al bancone e prendevo uno spritz o un bicchiere di vino rosso buono, come quello che avevo bevuto una volta con Merih sui gradini fuori dal locale perché lei non aveva la tessera e non poteva entrare. Ero seduta al bancone e il telefono squillava e non so come facevo a capire che c’eri te dall’altra parte. Ma è così che sono fatti i sogni. Tu chiedevi informazioni sui piatti da portarti e questa è un’altra cosa stupida e inesatta, perché tu suoni il basso e non la batteria. Mi pareva tutto molto surreale, il che era normale, visto che si trattava di un sogno. Chiedevo al barista di passarmi la chiamata: “Lo conosco, ti giuro che lo conosco, voglio solo salutarlo!” e poi il sogno finiva.
Ho smesso di pensarci davvero quando ti ho scritto l’ultima mail. Adesso ci penso poco, ma un po’ mi ferisce lo stesso, il fatto che in questo momento siamo decisamente più vicini del solito e comunque non ci vedremo. Ma probabilmente è il mio concetto di vicino e lontano ad essere tutto sfasato.
Poco più di un anno fa tornavo a Berlino in treno e mi rendevo conto in modo tangibile che tutte le città che volevo visitare si trovavano sulla stessa terra e che per andarci basta muoversi, spostarsi. Poco più di un anno fa, una certa inquietudine che avevo respirato passeggiando per i quartieri di Berlino Est e le cantine di Weser Straße e i capannoni dei Magazzini Generali di Verona mi fatto decidere di partire per un altro posto ancora. Il mio unico proposito per l’anno appena finito era quello di tornare a Belgrado, e l’ho realizzato già ad agosto.
Una volta ho passato sette minuti e due secondi seduta su una poltrona nella Biblioteca Sala Borsa di Bologna ad ascoltare una canzone degli Yo La Tengo.
Era un disco che non avevo mai toccato. Lo comprai anni dopo a New York.
Era una canzone ripetitiva e semplice. Sento che se volessi potrei imparare quelle semplici noti e suonarle su una chitarra ma non ho intenzione di farlo. So che se imparassi il segreto dietro quella melodia, essa perderebbe il suo fascino.
Allo stesso modo continuo a ripensare alla nostra, alle nostre brevi storie. Se ne capissi veramente il senso, se le accettassi per quello che sono, esse perderebbero magia. Ora sono invece incerte, intoccabili e misteriose e per questo speciali.
Ieri ho sognato che in qualche modo poi eravamo nello stesso posto e tu mi dicevi: “Non credi di lamentarti un po’ troppo?”
Io, presa alla sprovvista dal rimprovero mi voltavo verso di te con una faccia probabilmente orribile. E i tuoi occhi scuri mi stavano guardando con uno sguardo buffissimo e tu mi ripetevi: “Andrà tutto bene, se la smetti di lamentarti.”
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Il buoni propositi per l’anno nuovo sono: avere più cura del mio corpo perché se la schiena continua a farmi così male non potrò più prendere i treni notturni né andare ai Festival e quest’anno all’Immergut ci sono i Notwist, quindi immaginatevi.
Inoltre voglio fare una marea di foto con la mia nuova Canon, il che probabilmente potrebbe tradursi in tanti post cretini. E sarebbe anche bello scrivere di più. Non si scrive mai abbastanza.
E quindi con un po’ di ritardo: Buon anno nuovo! Frohes Neues Jahr! Srećna nova godina !