even though I haven’t seen you in years, yours is a funeral I’d fly to from anywhere
Scritto da verdeanita il settembre 26th, 2018 | Leave a comment
(Foto fatta a Prenzlauerberg anni fa, poco prima che il King Kong Klub chiudesse. Testo scritto qualche mese fa, poco prima che il Bassy chiudesse.)
Oggi ho trovato dieci euro nella tasca della borsa. Ricordo benissimo quando ho indossato quella borsa l’ultima volta ed era almeno sei anni fa. Sono sicurissima di aver già controllato quella tasca più e più volte, quindi, o sono improvvisamente dentro un racconto di Buzzati oppure, più possibilmente, ogni volta che ho trovato quei dieci euro li ho sempre riposti dentro la tasca, pensando che l’Anita del futuro potesse averne più bisogno.
L’Anita del presente è più squattrinata dell’Anita di sei anni fa, ma è normale. L’Anita di sei anni fa lavorava per Zalando. Quella di adesso fa quello che le piace.
La prima volta che indossai quella borsetta a Berlino ero uscita con Tobi ed eravamo andati dalle parti di Rosenthaler Platz. Forse era stara la prima sera in cui ero ero andata allo Schokoladen, di cui non riesco a trovare chiari ricordi.
L’ultima volta che indossai quella borsetta ero fuori con la mia amica Jule. La tracolla si ruppe strattonata da una tizia ubriaca sulla s-bahn, alla fermata di Warschauer strasse. Nella tasca di quella borsa avevo quei dieci euro.
Li ho spesi stasera al Bassy, un luogo dove pure non mettevo piede da sei anni. La prima volta che ero andata al Bassy ero con Sirio e Michele. Forse quella sera io e lui avevamo litigato.
La seconda volta era stata a marzo del 2011. Tobi mi aveva appena lasciata e Lorina non ci voleva credere. Quella sera lei era sulla guest list di mezza città e mi portò fuori. Prima al Bassy e poi al Cookie, che ancora esisteva a Mitte.  C’era musica terribile, open bar e all’uscita ci regalarono una goodie bag che conteneva il mio primo pacchetto di Katjes allo yogurth, che forse sono ancora le mie preferite.
Questa sera era la terza volta che ci mettevo piede. Me lo ricordavo più grande, ma forse ero io ad essere più piccola.
Ho pensato spesso a Jule in queste settimane. Ho pensato molto spesso alle persone di Berlino con cui ho perso i contatti.
Jule la conobbi una delle prime sere che uscii con Tobi. Io e lui eravamo stati ad una performance di artisti svedesi ma la serata era ancora lunga. Lei ci attendeva davanti a casa sua con una bottiglia di Pfeffi e un foglietto su cui aveva scritto tutti i party di Berlino dove sarebbe voluta andare quella sera, elencati in ordine di gradimento. L’adorai subito. Andammo tutti al Tacheles e io mi sentii così. Poi io e Tobi andammo al Supa Molly e il giorno dopo eravamo una coppia. Al Supa Molly non ci sono più tornata.
Io e Jule non avevamo praticamente nulla in comune. Lei mi fece scoprire gli Instant Noodles e con lei guardai Gilmore Girls in tedesco per la prima volta. Le piaceva andare a fare festa e lo facemmo spesso. Le piaceva il verde, le fiere medioevali, gli alberi e le serate con musica balcanica.
L’ultima volta che vidi Jule è stato un giugno di forse cinque anni fa. Era il Karneval der Kulturen e mentre attraversavamo la strada verso Hermannplatz, sottovoce e nascondendosi la bocca con la mano, per non farsi sentire, mi aveva detto che lei e quel ragazzo che ci camminava un paio di metri avanti avevano avuto il loro primo appuntamento. “Fünf Stunden lang” aveva detto, con un’espressione compiaciuta e speranzosa in faccia. Dopo quel giorno non ci siamo più vista.
Ho cercato di ricordare il suo nome completo e l’ho cercata su internet. Ho scoperto che è diventata mamma.

 

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I thought I found it. But I found out I don’t know shit
Scritto da verdeanita il dicembre 31st, 2017 | 2 comments

Istanbul. Perché a febbraio ero finita a Istanbul a caso per un paio d’ore.

Vorrei far finta che quest’anno abbia avuto 14 mesi, e che sia cominciato quando sono atterrata a Torino alla fine dell’ottobre scorso e che sia finito la settimana scorsa, sempre a Torino, quando ho chiesto Battiato perché stavamo per andare a casa e tutta l’enoteca si è messa a ballare “Bandiera Bianca”. Ma vorrei anche ficcarci dentro tutti gli strascichi significativi che sono successi immediatamente dopo. Tipo andare a Milano e passare la sera a guardare Fantaghirò 2, che tanto eravamo sbronzi e di andare fuori non avevo voglia, perché tanto Milano mi odia. Torino invece mi vuole bene.
Anche Bologna mi vuole bene. Me l’ha fatto capire nelle otto ore che pensavo fosse troppo e invece sono state pienissime di persone che non vedevo da tanto tempo e cibo buono e io che corro velocemente da una parte all’altra perché ho preso troppi appuntamenti in troppo poco tempo e me la ricordavo più piccola questa città. In quella manciata di mezz’ore che ho avuto per me, sono tornata a Palazzo Hercolani, preoccupata di trovarlo troppo identico. Ho provato ad entrare nel giardino Alexander Dubček e non è successo. Ho deciso che in questa città devo tornarci almeno due volte all’anno, o non tornaci mai più.
Anche a giugno ero tornata a Bologna, per due ore, solo per mangiare. Al ristorante si erano arrabbiati che ci ero andata da sola. La mia vita sentimentale aveva appena subito un leggero twist che mi aveva fatto capire che volevo tutt’altro. Mi ero anche appena ricordata com’è fare in bagno nell’acqua calda. Avevo anche appena mangiato una piadina dopo sette anni. Avevo salutato Vasko sulla spiaggia, che non vedevo da febbraio, avevo camminato tra le meduse spiaggiate e sciolte fino a quando non mi era venuta tanta fame.
A febbraio ero andata a Skopje e prima a Belgrado e prima a Ljubljana (e due ore a Zagabria). A Skopje mi ero accorta di non avere il biglietto di ritorno. Ho seriamente pensato di rimanere lì per sempre. A Belgrado ho passato molto tempo nelle periferie, passando la mia prima notte nel palazzone con il mio ascensore preferito, al Block 61, facendomi spiegare il vuoto a rendere nei supermercati di Borča, andando a lezione di yoga vicino all’Eastern Gate. Dopo cinque anni c’era chi mi ha riconosciuta e chi non si ricordava di me. Ho fatto una passeggiata malinconica per le strade di Dorćol. Ha fatto freddissimo.
Alla fine di febbraio ho finito di girare. Sono tornata a Berlino. A marzo mi sono seduta per la prima volta a Tempelhof senza pensare alla tesi. Ho guardato Jurassic Park per la pima volta quest’anno. Sono tornata ad Amburgo.
Sinkane – Life & Livin’ it
Ho tempo da passare in ufficio e per ascoltare almeno una volta ogni disco che sento nominare. Questo lo ascolto perché non ha praticamente niente a che fare con il resto. Mi fa sorridere tantissimo. Lo ascolto ininterrottamente fino a maggio. Quando all’Immergut Angel Olsen finisce di suonare io abbraccio tutti e corro a vederlo. Alla fine dl concerto è lui ad abbracciare me. Quando metto i dischi a Verona è la canzone che fa ballare tutti. A Torino è la canzone che non mi aspettavo di sentire.
Future Island – The Far Field
Allo Schokoladen non vedo il concerto dei Mauno ma lo sento e basta, perché sono già alla postazione del DJ. È la prima volta che metto i dischi qui e sono contentissima e agitatissima. Ho ricostruito con grande fatica tutti i concerti che ho visto qui dentro (ma non ricordo quando era stata la prima volta, e darei oro per poterlo ricordare). Mi sono chiesta spesso: ma i Future Island li ho già visti qui dentro? Perché ogni volta che li ascolto è come se avessi un deja vu.
Big Thief – Capacity
Non si diventa dischi dell’anno solo per bellezza o per volte che ho schiacciato play. Lo si diventa anche perché il disco dell’anno è più vischioso degli altri, e non se ne vuole andare. Pare anche che l’unico modo per vedermi e godermi un concerto per bene sia andare ad Amburgo dove non conosco nessuno. Anche se il piano non prevedeva di andarci da sola. Ma alla fine va bene lo stesso. Perché Amburgo mi vuole bene.
Arcade Fire – Everything Now
Ho spiegato canzone per canzone che questo è un album strano. Che fa un po’ schifo, ma non troppo. Che “Everything Now” non è un granché ma tutto sommato mi piace. Che “Sign of Life” e “Creature Comfort” mi piacciono molto. Che “Chemestry” è il vero punto dove ci stanno probabilmente trollando, perché è una delle canzoni più brutte che io abbia mai sentito. Che “Electric Blue” è la “Afterlife” di questo album. E che dopo di questa arrivino canzoni non epiche, ma buone e che quindi tutto sommato questo sia un album da salvare.
Land of Talk – Life after Youth
Ho l’impressione che il tempo dentro il mio cervello si stia accartocciando, che accadano cose che sono già successe, che io senta cose che ho già sentito. In questo caso è il 2008 e io sto andando St. Malò a vedere i Notwist per la seconda volta. O sto pedalando di notte per Verona per andare al cinema. O sono nel giardino Alexander Dubček a scrivere lettere a mano mentre intorno a me cominciano a cadere le foglie. Tutto stava cambiando, ero io che facevo cambiare le cose, e sentivo le vertigini da settimane.
Chastity Belt – I Used to Spend so Much Time Alone
Se avessi preso decisioni diverse in altri momenti della mia vita, ora non sarei sulla parete del Lido, la stessa da dove avevo visto i Lali Puna nel 2010, ma in un’altra stanza dello stesso locale. Il concerto è stranamente poco rumoroso, perfetto per mandare messaggi vocali. È il 17 settembre e so esattamente cosa voglio fare e cosa voglio dire tra due mesi esatti. Mi sento strana e voglio andarmene senza salutare. Torno a casa con un cappello nuovo.
Mauno – Tuning
A Settembre sono di nuovo ad Amburgo e anche qui rivedo gente che non vedevo da anni. Rivedo anche i Mauno, che non vedevo da Aprile. La mia parte preferita di essere ad Amburgo questa volta è quando corro da sola da un locale all’altro. Sono in una delle mie città preferita e ovunque c’è gente che ho conosciuto in posti e tempi diversissimi. Anche quando io e Peter prendiamo il bus notturno per Berlino e poi la sera ci ritroviamo al Monarch a (ri)vedere i Mauno mi sembra di aver corso da un locale all’altro della stessa città.
Baths – Romaplasm
Le giornate stanno per raggiungere il picco della loro brevità ed è arrivato il momento in cui non succede niente. Sono triste non appena diventa buio e so che lo sarò per tutto il resto del giorno e poiché il buio è arrivato alle 16.30, ho ancora un sacco di tempo. Decido di ascoltare cose che non c’entrano nulla con il resto dell’anno e che ancora non mi ricordano nulla.
Come ho detto spesso, questo è stato un anno anticlimatico. Potevano accadere molte più cose, e alcune ho anche sperato che accadessero e fatto del mio meglio per farle accadere. E invece non è andato tutto in modo esplosivo, ma in fondo va bene anche così.
Sono passati 10 anni dal 2008, che per me è stato l’anno più movimentato. La grande differenza però è che io 10 anni fa non sapevo esattamente cosa volevo, quindi qualsiasi cosa accadesse per me andava bene. A caso. Mentre adesso ho idee molto più chiare e quindi il buon proposito per l’anno nuovo è avere in mente quello che voglio e fare qualcosa per arrivarci.
Altri dischi a cui ho voluto molto bene quest’anno:
ampl:tude – Endlich Mittwoch
St. Vincent –  Masseduction
Sacred Paws – Strike a Match
Jon McKiel – Memorial Ten Count
Colapesce – L’Infedele
Faith Healer – Try ;-)
Sylvan Esso – What Now
LCD Soundsystem – american dream
Waxahatchee – Out in the Storm
The Courtneys – The Courtneys II
Halfalib – Malamocco
Priests – Nothing Feels Natural
E i dischi dei miei artisti usciti quest’anno:
Say Sue Me – s/t
The Homesick – Youth Hu
Alex Napping – Mise en Place
Jaye Bartell – In A Time Of Trouble A Wild Exultation
Good Morning – Glory/Shawcross
Common Holly – Playing House
Degli 88 concerti che ho visto, questi sono quelli che mi sono piaciuti di più:
18.02 Bernays Propaganda + VVhile @ MKC (Skopje, MK)
24.10 Katie Von Schleicher + Big Thief @ Molotow (Hamburg, DE)
02.07 Arcade Fire @ Wuhlheide (Berlin, DE)
17.09 Chastity Belt @ Lido (Berlin, DE)
14.04 Repetitor + IHNMAIMS @ Kantine am Berghain (Berlin, DE)
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Un appartamento vuoto, pieno di cose
Scritto da verdeanita il novembre 30th, 2017 | 1 comment

(questo raccontino era comparso su Plenum, che ora non credo esista più sull’internet. Non credo di averlo mai pubblicato qui)

C’è un appartamento pieno di cose. E un momento dopo l’appartamento è pieno delle stesse cose, ma
improvvisamente è diverso.
Per me, il momento in cui cambiò tutto, fu una mattina di luglio, quando sentii dei rumori provenire dalle
porte del nostro pianerottolo e andai a guardare e vidi la mia coinquilina che piangeva, davanti alle porte
aperte.
Raramente la gente sa cosa si nasconde dentro gli appartamenti dei vicini. Noi invece lo sappiamo o, per
lo meno, lo sapevamo.
Ci sono tre porte e quindi tre appartamenti sul mio pianerottolo e per me quello che accadeva lì era assai
vicino all’idea più idilliaca di vicinato che potessi mai avere.
La porta sulla sinistra è quella dell’appartamento di Frau Elle. Non so quanti anni abbia. So che è
Testimone di Geova, abbastanza sorda e vive da sola. Le mani le tremano tantissimo e spesso ci chiama
per aiutarla ad aprire la porta o per fare altre piccole cose. Eppure, e la cosa per me è un po’ misteriosa,
riesce a cuocere delle torte buonissime e ce ne porta sempre una fetta. Non ha figli, ma ha una donna che
ogni tanto viene a darle una mano. Questa è la figlia della famiglia che abitava prima nella casa dove ora
stiamo noi. Una volta Elisa, la mia coinquilina, l’aveva fatta entrare e lei le aveva raccontato com’era il
nostro appartamento, una volta.
La porta in mezzo è quella dell’appartamento di M. e su di lei ci sarebbero tantissime cose da dire, anche
se lei è rimasta sempre un po’ un mistero.
Suonava il nostro campanello anche tre volte al giorno e la cosa all’inizio mi infastidiva. Però aveva un
sacco di cose per noi. Spesso ci portava gli avanzi del panificio dove lavorava. Oppure, quando c’era il
Ramadam, ci portava il cibo avanzato dalle feste serali. L’ultima volta che andai da lei mi regalò un sacco
di stoffe colorate e dei cartamodelli. La volta prima mi aveva invitato a scegliere tra tre pile di
vecchissimi libri. Così avevo scoperto che in passato aveva lavorato come libraria. Veniva dalla Libia e
con lei parlavo sempre in tedesco, anche se chissà quante lingue sapeva. E chissà quanti lavori aveva
fatto. E chissà che vita aveva avuto.
Faceva lavoretti saltuari e prendeva il sussidio. Recentemente era molto stressata per via dei continui
aumenti dell’affitto e i problemi con l’amministrazione della casa, che sicuramente voleva mandarla via e
affittare il suo bellissimo appartamento al doppio o al triplo del prezzo.
Durante l’ultimo anno, oltre a regalarci continuamente cose, aveva anche svuotato quasi completamente il
suo appartamento. Aveva venduto il letto e la maggior parte dei mobili. Dormiva su un piccolo materasso
sul pavimento. Teneva tutte le sue cose dentro scatole e sacchetti di plastica.
Quella settimana di luglio io stavo un po’ male e Elisa mi aveva detto che anche M. non si sentiva bene e
che era andata in ospedale. Le aveva lasciato le chiavi di casa per dare da bere alle piante e poi sarebbe
andata lei a dare le gocce a Frau Elle, che aveva un problema agli occhi e doveva prenderle ogni giorno
alla stessa ora e da sola non poteva, per via delle mani tremanti. E se potevo pensarci io, uno di quei
giorni.
Avevo pensato che fosse l’ulteriore prova del nostro armonioso vicinato. Non mi aspettavo niente di
brutto, fino al mattino successivo.
Le nostre porte di casa erano entrambe aperte, come spesso accadeva quando lei veniva da noi a chiederci
un po’ di latte o zucchero o viceversa, quando ci faceva entrare da lei per scegliere tra i suoi ultimi tesori.
Ma era tutto diverso, quella mattina.
Siamo entrate in casa sua sapendo che dovevamo frugare tra le sue cose e cercare il contatto di qualcuno,
perché a Berlino era sola, anche se sapevamo di una sorella in Spagna e di un cugino che era venuto a
trovarla l’inverno scorso.
Ci siamo guardate intorno, in quello strano appartamento vuoto eppure pieno di cose. Era strano dover
cercare in giro. La sera prima non avremmo osato, ma ora che lei non c’era più tutto quell’ordine perdeva
senso.
Abbiamo guardato la stanza piena di oggetti: cuscini ricamati, soprammobili dalle forme buffe e
tantissime scatole e sacchetti di plastica pieni di bottoni, vecchie fibbie, perline, gomitoli di lana e altre
cose conservate ordinatamente.
I sacchetti di plastica erano nuovi, non erano ingialliti. Perché M., nonostante la casa piena di oggetti, non
era un’accumulatrice. La sua casa e le sue cose si muovevano. Le stoffe diventavano qualcosa di nuovo.
Se trovava qualcosa di bello ce lo regalava. Era una specie di ricercatrice di cose che poi passavano di

mano in mano.
Qualche giorno dopo arrivò sua sorella, per svuotare l’appartamento. Soprattutto, si stupì di trovarlo così
vuoto, senza i mobili che aveva visto l’ultima volta che era venuta a trovarla.
Forse anche M. si preoccupava di ciò che sarebbe successo alle sue cose, e così le aveva già
meticolosamente vendute, regalate, o chiuse in tante scatole e sacchetti di plastica.

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