Il comunicato stampa che non scriverò mai
Scritto da verdeanita il maggio 4th, 2014 | 2 comments


Belgrado vista dal Bigz

– Come descriveresti i Repetitor?
– Una fantastica live band.
– E basta?

Io e Sash stiamo bevendo una birra e un tè (io la birra, lui il tè), in un bar di Friedrichshain. Io sono nervosissima perché tra 60 minuti incontrerò un “tizio che mi piace” (sì, diciamolo così, come se fossi alle medie) e quindi parlo a raffica, ma questa domanda un po’ mi blocca. Stiamo organizzando insieme il loro concerto di Berlino del 20 maggio e ci siamo incontrati per discutere un po’ di cose e capire dove sono i poster che ci hanno mandato da Ljubljana tramite una tizia che ancora non si è fatta sentire.
Una delle mille cose da fare sulla mia to-do-list mentale è scrivere i comunicati stampa da mandare ai blog e ad ostacolarmi, oltre alla mancanza di tempo, è il fatto che per spiegare questa cosa di certo non mi bastano poche righe. Potrei scriverci un libro su questa cosa.
Il giorno che me ne andai da Belgrado mi regalarono, per motivi lunghi da raccontare, tre chili di pere e dissero di me che quando non ero in ufficio andavo in giro a fotografare edifici enormi e che ero diventata amica di un sacco di musicisti. Ho già parlato di me che andavo in giro a fotografare edifici enormi, quindi questa è la storia di me che divento amica di un sacco di musicisti. O una parte di questa storia.

Mentre io e Sash beviamo la nostra birra e il nostro tè, i minuti che mi separano dall’incontro che mi rende tanto nervosa stanno diminuendo. Sono anche i minuti che mi separano dal concerto di un gruppo tedesco che fa cover di Adriano Celentano e di altre vecchie canzoni italiane anni ’50. Sì. Suonano tutti i mesi all’Antje Öklesund e io ci vado quasi sempre. E tutte le volte io e un pubblico composto per metà da italiani nostalgici e per metà da tedeschi esaltati ci divertiamo da matti, nonostante loro non capiscano una parola e io mi ritrovi incredula a urlare “Se telefonando” a squarciagola.
Cosa c’entra una cover band tedesca con un gruppo punk serbo? Bè, per me un po’ c’entra.

C’entra il fatto che essendo nata e cresciuta in Italia, per me c’era sempre stata una divisione tra “la musica italiana” e “la musica cantata in inglese”. La prima era quella che ascoltavano i miei genitori, la seconda quella che avevo scoperto da sola e che mi faceva sognare e immaginare altre cose. Poi “la musica cantata in inglese” divenne anche la musica che suonavano i miei amici, prima facendo cover, poi scrivendo le loro canzoni. E a me è sempre parsa una musica di serie b, una copia, l’imitazione di qualcos’altro. Cantare in inglese, anche se ognuno dava la sua motivazione, per me era sempre un tentativo per cercare di assomigliare a qualcosa di più bello, ma diverso da noi. D’altra parte, pensavo, cantando in italiano non si hanno speranze all’estero, perché tanto la gente non capirebbe niente. E infatti io quando mai mi sono messa ad ascoltare musica francese o tedesca?


Gagi dei Kriške, una sera al Bigz

Due anni fa circa camminavo incuriosita per i corridoi del Bigz, a Belgrado e, sentendo qualcosa di veramente bello provenire da una delle sale prove, chiesi il nome del gruppo che stava suonando e venni invitata a sedermi su un divano dentro la stanza e ad assistere. Quello che suonavano mi piaceva tantissimo, assomigliava a gruppi che adoravo ma era anche diverso, non capivo una parola dei loro testi e dietro la loro musica c’era energia vera. Probabilmente anche in questo caso un tentativo di imitazione era presente, ma era molto più rabbioso e disperato, convinti com’erano (a torto)  che quello che stavano facendo mai sarebbe stato lontanamente vicino a quello che avevano fatto i gruppi che loro stessi ammiravano. Era qualcosa di talmente potente che mi trasmetteva sensazioni completamente nuove, e devastanti. Che differenza faceva capire o meno quello che dicevano? In fondo, quando avevo cominciato ad ascoltare la “mia” musica, capivo perfettamente quello che i gruppi cantavano? Non era per me molto più importante il modo in cui lo facevano, l’immaginario che ricreavano nella mia testa?
Ero seduta su un divano in questa enorme sala prove all’interno di un palazzo altrettanto enorme. Fino a quel momento le sale prove me le ero sempre immaginate in cantine e garage sottoterra. Da lì invece, in una stanza con vetrate grandissime al settimo piano, potevo vedere tutte le luci di quella città stranissima. Mi parve tutto capovolto, tutto il contrario di quello che avevo sempre pensato.


Milena dei Repetitor, una sera al Bigz

Non erano i Repetitor, il gruppo di quella volta, ma poco importa. Loro li vidi la prima volta a Subotica, il marzo seguente, durante il mio primo viaggio in Serbia dopo averci vissuto per un po’. Ero con Ana, che qualche mese prima mi aveva chiesto aiuto per un progetto fotografico al quale voleva lavorare. Aveva chiesto che le consigliassi qualche locale di Belgrado, o qualche gruppo che avevo conosciuto. A me. Aveva chiesto a me qualche dritta sulla sua città natale.
Ci trovammo insieme in Serbia, visto che i nostri viaggi si sovrapponevano di qualche giorno, e decidemmo di andare a passare il sabato sera in questa città bellissima e triste a quattro ore di pullman da Belgrado. Il locale era pienissimo ma, mi dicevo, credo sia normale in una città così piccola che non avrà altri eventi per il resto della settimana.
La seconda volta che vidi i Repetitor dal vivo fu lo scorso ottobre, questa volta a Zagabria, dove mi trovavo da sola durante l’Interrail che mi ero regalata prima di entrare nella metà sbagliata dei vent’anni. Suonavano con i Japanther e avevo pure convinto un tizio francese conosciuto in ostello a venire con me. Arrivata al locale mi misi a chiacchierare con loro e scoprii che non erano, come avevo pensato, il gruppo spalla, bensì quello principale. Nella mia ormai lunga carriera di organizzatrice di concerti (sì, se cominci a 18 anni, poi a 26 ti ritrovi già con una “lunga carriera”) è sempre stata una normale regola di cortesia e buon senso, chiamare un gruppo locale ad aprire al gruppo foresto. Era pur vero che in questo caso di gruppi locali non ce n’erano, ma era comunque una scelta che mi parve buffa. Fino a quando non mi ritrovai in mezzo ad un pogo devastante in mezzo a un migliaio di coetanei esaltatissimi per quello che, capii finalmente, era un gruppo importantissimo per loro. Mi ritrovai a cantare parole di cui sapevo benissimo il suono ma non il significato, a mischiarmi ad un pubblico che amava il gruppo quanto me, anche se in modo diverso.


Japanther a Zagabria, purtroppo l’ultimo fotogramma sul rullino (e quello nuovo era rimasto in ostello)

È un po’ questo che sono i Repetitor, o i gruppi di Belgrado che ho conosciuto, per me. È stato un nuovo modo di vivere cose che devo per scontate. È stato trovare “una scena” che pensavo fosse esistita solo dall’altra parte dell’oceano un paio di decenni fa. Non è una cosa che posso riassumere in un comunicato stampa.

I Repetitor andranno in tour in Europa la settimana prossima e se avessi guardato il loro tour plan un paio di anni fa probabilmente mi sarei meravigliata nel vederli suonare a Verona. Ma in questo caso so che c’è il mio zampino e la cosa ha perfettamente senso. Inoltre, ad accompagnare entrambi i concerti in cui il mio Lou Fai Booking è coinvolto, ci sarà la mostra di Ana Blagojevic che ho visto mano a mano prender forma. E sono molto contenta di tutto questo.

10.05 Interzona (Verona)
20.05 West Germany (Berlin)

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Di cose così
Scritto da verdeanita il maggio 28th, 2013 | Leave a comment


Stamattina mi sono svegliata presto per andare a correre ma poi pioveva e sono rimasta a letto. E poi però ho mandato un paio di mail per dire che quest’anno non mi candiderò alle commissioni per Interzona. Che non è una cosa inaspettata, visto che la vita a Berlino mi succhia sempre più. Però visto che sono tutte cose collegate anche a quel posto amabile ho voluto dire due paroline a chi di dovere.
Su Soft Revolution è poi uscito un post sulle donzelle che mettono i dischi, quindi ve lo segnalo.
A Interzona ora stanno suonando i Liars e io però ho passato la sera a mandare mail tra Germania e Slovenia, a chiamare a Brema e a Monaco e ad ascoltare nuovi provini di gruppi ancora misteriosi.

Qui sotto il nastrone uscito insieme al post, con tre pezzi scelti da me:
Fake P – Last
Arcade Fire – Rebellion (Lies)
The Breeders – It’s the Love

C'è molta letteratura sul concetto di "ballabilità" from softrevzine on 8tracks Radio.

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Anni e sogni
Scritto da verdeanita il gennaio 8th, 2013 | Leave a comment


Questa foto è stata scattata a Belgrado questo autunno dalla sempre mitica Ana Blagojevic e mi ritrae nell’atto di attraversare la strada verso la Stazione di Belgrado che è più piccola di quella di Verona Porta Nuova Vescovo.

Capodanno dell’anno scorso me lo ricordo molto più freddo. Sono quasi sicura di sbagliarmi ma mi piace pensare ai Magazzini Generali e alla Stazione Frigorifera coperti da un sottile strato di neve.
Quest’anno, alla fine di dicembre, ci siamo potuti concedere addirittura un pranzo all’aperto, con uno sguardo su quella che considero una delle aree più affascinanti del mondo.
Mi sono concessa una passeggiata molto breve, sono arrivata in prossimità della Stazione Frigorifera e ho guardato dentro. Ho visto la sua stanza più bella, quella che una volta era completamente ricoperta di alluminio, l’ho vista cambiata e sono tornata indietro, sentendomi fortunata di averla vista com’era, anche se solo una volta.

La notte tra il 30 e il 31 dicembre, che è l’ultima notte dell’anno perché in quella tra il 31 e l’1 di solito non si dorme mai, ho fatto un sogno in due parti.
Nella prima ero a Belgrado, ero al Bigz e c’era molto movimento e io entravo in qualche stanza e c’era qualche concerto e conoscevo un ragazzo con gli occhi scuri ed era tutto molto romantico e tenero e perfetto.
Nella seconda parte ero a Ferrara. Passeggiavo in via Ragno e davo un’occhiata dentro a Zuni, che era diverso ma io sapevo che era Zuni, perché i sogni a volte sono fatti così. Ero a Ferrara senza un motivo, ma questo accadeva normalmente anche nella realtà. Non sapevo se entrare o meno e poi mi accorgevo che sul programma c’era il nome del tuo gruppo. Era una tappa del tour italiano che io credevo di aver imparato a memoria ma evidentemente mi ero sbagliata. D’altra parte i sogni sono fatti così.

Così entravo e mi sedevo al bancone e prendevo uno spritz o un bicchiere di vino rosso buono, come quello che avevo bevuto una volta con Merih sui gradini fuori dal locale perché lei non aveva la tessera e non poteva entrare. Ero seduta al bancone e il telefono squillava e non so come facevo a capire che c’eri te dall’altra parte. Ma è così che sono fatti i sogni. Tu chiedevi informazioni sui piatti da portarti e questa è un’altra cosa stupida e inesatta, perché tu suoni il basso e non la batteria. Mi pareva tutto molto surreale, il che era normale, visto che si trattava di un sogno. Chiedevo al barista di passarmi la chiamata: “Lo conosco, ti giuro che lo conosco, voglio solo salutarlo!” e poi il sogno finiva.

Ho smesso di pensarci davvero quando ti ho scritto l’ultima mail. Adesso ci penso poco, ma un po’ mi ferisce lo stesso, il fatto che in questo momento siamo decisamente più vicini del solito e comunque non ci vedremo. Ma probabilmente è il mio concetto di vicino e lontano ad essere tutto sfasato.

Poco più di un anno fa tornavo a Berlino in treno e mi rendevo conto in modo tangibile che tutte le città che volevo visitare si trovavano sulla stessa terra e che per andarci basta muoversi, spostarsi. Poco più di un anno fa, una certa inquietudine che avevo respirato passeggiando per i quartieri di Berlino Est e le cantine di Weser Straße e i capannoni dei Magazzini Generali di Verona mi fatto decidere di partire per un altro posto ancora. Il mio unico proposito per l’anno appena finito era quello di tornare a Belgrado, e l’ho realizzato già ad agosto.

Una volta ho passato sette minuti e due secondi seduta su una poltrona nella Biblioteca Sala Borsa di Bologna ad ascoltare una canzone degli Yo La Tengo.
Era un disco che non avevo mai toccato. Lo comprai anni dopo a New York.
Era una canzone ripetitiva e semplice. Sento che se volessi potrei imparare quelle semplici noti e suonarle su una chitarra ma non ho intenzione di farlo. So che se imparassi il segreto dietro quella melodia, essa perderebbe il suo fascino.

Allo stesso modo continuo a ripensare alla nostra, alle nostre brevi storie. Se ne capissi veramente il senso, se le accettassi per quello che sono, esse perderebbero magia. Ora sono invece incerte, intoccabili e misteriose e per questo speciali.

Ieri ho sognato che in qualche modo poi eravamo nello stesso posto e tu mi dicevi: “Non credi di lamentarti un po’ troppo?”
Io, presa alla sprovvista dal rimprovero mi voltavo verso di te con una faccia probabilmente orribile. E i tuoi occhi scuri mi stavano guardando con uno sguardo buffissimo e tu mi ripetevi: “Andrà tutto bene, se la smetti di lamentarti.”

Il buoni propositi per l’anno nuovo sono: avere più cura del mio corpo perché se la schiena continua a farmi così male non potrò più prendere i treni notturni né andare ai Festival e quest’anno all’Immergut ci sono i Notwist, quindi immaginatevi.
Inoltre voglio fare una marea di foto con la mia nuova Canon, il che probabilmente potrebbe tradursi in tanti post cretini. E sarebbe anche bello scrivere di più. Non si scrive mai abbastanza.
E quindi con un po’ di ritardo: Buon anno nuovo! Frohes Neues Jahr! Srećna nova godina !

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