Il concerto dei Repetitor è andato sold out. Finora è stato il mio concerto piú grande.
Era la terza volta che organizzavo un loro concerto a Berlino (il quarto loro concerto in totale, se contiamo quella volta che avevano suonato a Interzona, a Verona). Questa volta l’avevo organizzato con Peter ed era lui a tenere i conti delle prevendite. E anche se Jo mi mandava una mail ogni martedì – o lunedì notte – per dirmi quanti biglietti avevamo venduto, io chiedevo comunque ogni giorno (ogni ora) a Peter: “Sold out?” e lui mi diceva un numero. Ovviamente sarebbe bello che ogni concerto andasse sold out, ma in questo caso la previsione più ottimistica era quella di Andreas, che aveva scommesso su “177 – guest list inclusa”.
Mi ero portata due bottiglie di Valpolicella per celebrare i miei sette anni a Berlino e sapevo che non avrei avuto problemi a farmele aprire, perchè il barista del Berghain viene da Bassano del Grappa e perchè il buttafuori Mike di solito apprezza tutte le schifezze che ci portiamo da mangiare. Ci ha anche detto che forse lo vedremo di meno, nei prossimi mesi. Sta cercando un altro lavoro. Aggiunge che gli piace quando facciamo i concerti noi, ma che quando fai i turni di otto ore al Berghain, quello vero, bé, preferirebbe passare le serate a casa.
In due momenti mi è dispiaciuto che non ci fossi anche tu: quando ho dato a Boris il resto dell’erba che avevi comprato quando eri venuto a trovarmi a Berlino (lui comunque si é lamentato perché era poca) e quando alla fine del concerto è arrivato un tuo amico. L’ho riconosciuto dalle foto sul tuo Instagram, e mi sono presentata. Era arrivato quando il concerto era già finito da un pezzo e Mike non faceva più entrare la gente. Prima ancora che lui potesse dire che era in lista, io avevo già detto a Mike che lui era a posto e che poteva farlo entrare. Quindi forse era un po’ confuso perchè io sembravo conoscerlo ma lui non mi aveva mai vista. “Sono Anita. Tu sei amico dei gemelli, giusto?” “Ah, te sei la ragazza italiana del tour? Piacere!” Poi gli ho detto che in realtá ci eravamo incrociati giá, recentemente: a Belgrado, una sera del febbraio scorso, l’avevo riconosciuto all’inaugurazione di una mostra. Gli dico che galleria e che mostra era e mi dice che sì, era lí. “E perché non ti sei presentata allora?” “Non lo so” gli dico “Probabilmente mi sentivo un po’ timida quella sera.” “Peccato” mi dice “Quella sera poi siamo andati ad una festa, saresti potuta venire!”
(Mi ricordo che la mostra era solo la prima tappa di qualcos’altro che avevo in programma quella sera, quindi anche se mi fossi presentata, anche se mi avesse invitata, non ci sarei probabilmente andata, ma è comunque interessante pensare a come sarebbero potute andare le cose se mi fossi presentata quella sera, e se fossi andata a quella festa).
Il concerto era di venerdí, quindi era pieno di gente che cercava il Berghain (quello vero). Un tizio che a me sembrava ubriaco era stato tra i primi ad entrare. Accortosi dell’errore si era seduto ad un tavolo e aveva cominciato a dare fastidio alla gente. Allora Mike mi aveva detto: “Comunque non è ubriaco: è fatto. Forse è meglio ridargli i soldi e mandarlo via”. Io e Peter eravamo d’accordo. “Non avrei mai capito che era fatto.” “Lo è, e posso dirti anche cosa ha preso. È troppo lucido per aver preso LSD. È troppo di buon umore per aver preso cocaina. Probabilmente è un misto di cristalli e altro.”
Poco meno di sette anni fa, quando ero a Berlino da un paio di mesi, ero anche io finita alla Kantine pensando che fosse il Berghain. Tobi era andato a Friburgo a trovare suo padre e io ero per la prima volta rimasta da sola per il fine settimana. Ero andata ad un WG party e l’avevo lasciato qualche ora dopo, con un gruppo di persone che non avevo mai visto prima e che non avrei rivisto mai più, ed eravamo andati alla Kantine e io non avevo capito che non era il vero Berghain ed ero abbastanza orgogliosa di me per esserci finita in modo così liscio. Avevo capito solo molto tempo dopo che il Berghain, quello vero, era un altro.
Quando abbiamo dichiarato il sold out mi sono versata l’ultimo vino rimasto dentro la seconda bottiglia e sono andata a bermelo al bar, guardando il concerto e pensando a tutte le cose che si sono ingrandite e interconnesse in questi anni e che quella serata era davvero il modo perfetto per celebrare questo anniversario.
Trovo molto buffo il fatto che nonostante io scriva sempre pochissimo su questo blog, questo post riprende la mia vita un po’ dove l’avevo lasciata: io ed Erin eravamo andate a Dresda a vedere i Notwist (con la scusa di vedere il nostro amico Remì che suonava in apertura con gli Aloa Input) e io avevo prenotato un autobus molto presto la mattina per tornare a Berlino aiutare ad un casting (Erin invece aveva prenotato un treno con cui era andata direttamente in aeroporto, per volare da qualche parte in Europa, a qualche altro concerto di uno dei suoi artisti, che se non ricordo male era Jessica Pratt).
Ovviamente tornai a Berlino equamente stanca e felice (e, come sapete, ero molto felice), quindi al casting non ci andai (comunque, mi informò Luise, riuscivano a gestire la cosa senza problemi e non dovevo preoccuparmi).
Il casting era per “Emocean”, un film di cui i nostri amici Fenster avevano già registrato la colonna sonora e che doveva finalmente prendere forma per essere presentato al Pop-Kultur *ieri sera*.
Il Pop-Kultur è un festival che si svolge quest’anno per la prima volta a Berlino e che prende il posto di quella che era la Berlin Music Week (che comprendeva anche il Berlin Festival a Tempelhof, che invece dall’anno scorso ha deciso di virare molto di più sull’elettronica e spostarsi all’Arena e sui Club sulle barche attraccati alle sponde della Sprea, lasciando l’aeroporto alla prima edizione europea del Lollapalooza, che ha una line-up che mi fa super ridere).
Il Pop-Kultur si svolge invece al Berghain ed è per questo molto più cool (in realtà non lo so perché al Berghain ci sono andata mezza volta, ma era bello dirlo).
Comunque, nonostante non avessi partecipato a quel casting perché quella domenica di marzo ero troppo stanca, partecipai comunque al film, una domenica di aprile in cui mi svegliai ancora più stanca (e molto più in hangover). Una comparsa aveva cancellato all’ultimo momento e Amande mi aveva svegliata alle 11: “Cosa stai facendo?” “Ehm, dormendo…” “Vuoi fare la comparsa? Ce la fai ad essere a Wedding tra un’ora? C’è un sacco di roba da mangiare!”. Un’ora dopo ero truccata così e mi stavo abbuffando di cibo:
E così ho capito l’importanza del catering per rendere felice la gente: la prima di tante altre cose che avrei imparato sul set.
Il secondo giorno che sono andata sul set era un giovedì e le riprese cominciavano a qualcosa tipo le sei di mattina, il che vuol dire che alle cinque e mezza ero sotto casa di Giulio ad attendere lui ed Amande con due bicchieroni di caffè bollente. Questa è la seconda cosa che ho imparato sul set: che se ti svegli alle cinque del mattino hai tempo per fare un sacco di cose!
Mentre controllavo il catering e cercavo di spiegare cosa stavamo facendo a dei berlinesi molto confusi (la scena prevedeva una danza di gruppo sul prato della fontana di Strausbergerplatz e la scena è durata un bel po’ perché è stata ripresa da più angolazioni, compresa una dall’alto, per la quale gli altri sono entrati in uno dei misteriosi palazzoni di Frankfurter Allee) ho anche chiacchierato un sacco con il costumista Tom, che si è rivelato un fan di Gilmore Girls, un ex compagno di scuola di Amy Winehouse e mi ha spiegato come funzionano i costumi, che tipo per ogni vestito si devono avere sul set due cambi esatti perché cosa succede se uno di rompe o si sporca o?
Alle otto eravamo all’Antje Oklesund a fare colazione (ancora: una valanga di cibo!) e a girare un’altra scena, prima di andare in qualche posto perduto a Neukölln dove saremmo rimasti fino alle sei di sera (alla fine di questa giornata ero a dei livelli di stanchezza raramente provati).
Nonostante la mia presenza sul set si sia limitata a soli due giorni, ho imparato tantissime cose, da nuove parole (“props” già la sapevo ma “stanchions” no e ho imparato che sono delle specie di transenne, “Requisiten” è “oggetti di scena in tedesco”, ma anche questa l’avevo già imparata a Belgrado”, “extra” sono le comparse) agli effetti benefici del caffè, ma soprattutto è stato bellissimo buttarsi in una cosa completamente nuova, una situazione in cui non mi ero mai trovata, a fare (o a veder fare) una cosa di cui non sapevo niente. Ha letteralmente cambiato il mio punto di vista e ora ogni volta che guardo un film penso “Ma come hanno fatto a fare quella scena?” “Ma chi avrà fatto il catering per tutti quegli extra?”
Alla fine della settimana di riprese con il cast, in cui le call per il cast avevano orari variabili tra le quattro e le otto del mattino, io e tutti i miei amici eravamo un po’ persi: “Cosa dobbiamo fare oggi? A che ora e dove dobbiamo trovarci?”.
JJ, Jonathan e Lucas, ovvero i tre Fenster, sono invece andati avanti con le riprese fino alla settimana scorsa.
La settimana scorsa io sono anche andata tutti i giorni da Dahlem Dorf, parte di Berlino molto simile a Stars Hollow che è anche la sede della mia università, per chiudermi dentro la nostra biblioteca a forma di cervello dove piove dentro e cercare di dare una mossa alla mia tesi di Master. Mi sentivo molto distante da tutte le cose che accadevano “in città” e ho pensato spesso ai Fenster “pensa che loro è da sei settimane che non fanno altro che girare, montare, provare” (e nel mentre hanno anche organizzato un party per raccogliere soldini e un festival gratuito su un’isola).
Alla fine del film, durante un breve Q&A, qualcuno a chiesto a JJ: “Ma come vi è venuto in mente?” e lei ha riassunto tutto benissimo dicendo: “È cominciato un po’ per scherzo e ha finito per governare le nostre vite”
E veramente, dedicare letteralmente tutto quello che hai (dal tuo tempo a tutti i tuoi risparmi) ad un progetto artistico può sembrare al limite della follia, ma è anche incoraggiante veder gente che crede così tanto in quello che fa.
“Emocean” l’ho visto completo domenica ad una premiere privata per il cast e per chi aveva dato una contributo al crowdfunging. E ho avuto prova della sua follia. Quando ci hanno raccontato la genesi della musica e della storia, ci hanno parlato di jam session e si sogni che avevano realmente fatto. Sono immagini coloratissime e inquietanti, una storia surreale con quaranta minuti di musica quasi completamente strumentale. E nonostante avessero pochissimi mezzi, poco tempo e molta inesperienza, si vede che di fondo c’erano idee molto precise, dalle immagini ai suoni. Insomma, non ho mai visto delle persone lavorare così tanto alla fedele rappresentazione delle idee assurde che avevano in mente.
Ma la cosa che mi è piaciuta di più in tutto questo è stato vedere l’enorme supporto che i Fenster hanno ricevuto dalla scena berlinese: dall’ufficio di Paper & Iron abbiamo partecipato in tre su quattro come comparse e anche Andreas Mr. Puschen fa la sua comparsa nel film. Locali come il Marie Antoniette e l’Antje Oklesund hanno prestato le loro stanze per le riprese, ma anche per eventi prima e dopo, amici dj si sono offerti di suonare al party per raccogliere i fondi, ho conosciuto un giornalista di Intro durante il secondo giorno, Melissa, la donna che organizza un sacco di concerti fighissimi allo Schokoladen e in altri posti, ha fatto partecipare i suoi figli (credo che il più piccolo abbia meno di un anno) e la sensazione di essere tutti parte di questa cosa era divertente e super positiva.
“Emocean” era in premiere ieri al Pop-Kultur, ma ci sono anche due video su Arte Creative (“A day in the life on planet Auberginus” e “Samson’s body”: chi mi trova è bravo) e il video del singolo “Memories”. L’album è in streaming su Spex ed esce il 4 settembre per Morr Music.