14.04.2017
Scritto da verdeanita il aprile 25th, 2017 | Leave a comment

Il concerto dei Repetitor è andato sold out. Finora è stato il mio concerto piú grande.

Era la terza volta che organizzavo un loro concerto a Berlino (il quarto loro concerto in totale, se contiamo quella volta che avevano suonato a Interzona, a Verona). Questa volta l’avevo organizzato con Peter ed era lui a tenere i conti delle prevendite. E anche se Jo mi mandava una mail ogni martedì – o lunedì notte – per dirmi quanti biglietti avevamo venduto, io chiedevo comunque ogni giorno (ogni ora) a Peter: “Sold out?” e lui mi diceva un numero. Ovviamente sarebbe bello che ogni concerto andasse sold out, ma in questo caso la previsione più ottimistica era quella di Andreas, che aveva scommesso su “177 – guest list inclusa”.

Mi ero portata due bottiglie di Valpolicella per celebrare i miei sette anni a Berlino e sapevo che non avrei avuto problemi a farmele aprire, perchè il barista del Berghain viene da Bassano del Grappa e perchè il buttafuori Mike di solito apprezza tutte le schifezze che ci portiamo da mangiare. Ci ha anche detto che forse lo vedremo di meno, nei prossimi mesi. Sta cercando un altro lavoro. Aggiunge che gli piace quando facciamo i concerti noi, ma che quando fai i turni di otto ore al Berghain, quello vero, bé, preferirebbe passare le serate a casa.

In due momenti mi è dispiaciuto che non ci fossi anche tu: quando ho dato a Boris il resto dell’erba che avevi comprato quando eri venuto a trovarmi a Berlino (lui comunque si é lamentato perché era poca) e quando alla fine del concerto è arrivato un tuo amico. L’ho riconosciuto dalle foto sul tuo Instagram, e mi sono presentata. Era arrivato quando il concerto era già finito da un pezzo e Mike non faceva più entrare la gente. Prima ancora che lui potesse dire che era in lista, io avevo già detto a Mike che lui era a posto e che poteva farlo entrare. Quindi forse era un po’ confuso perchè io sembravo conoscerlo ma lui non mi aveva mai vista. “Sono Anita. Tu sei amico dei gemelli, giusto?” “Ah, te sei la ragazza italiana del tour? Piacere!” Poi gli ho detto che in realtá ci eravamo incrociati giá, recentemente: a Belgrado, una sera del febbraio scorso, l’avevo riconosciuto all’inaugurazione di una mostra. Gli dico che galleria e che mostra era e mi dice che sì, era lí. “E perché non ti sei presentata allora?” “Non lo so” gli dico “Probabilmente mi sentivo un po’ timida quella sera.” “Peccato” mi dice “Quella sera poi siamo andati ad una festa, saresti potuta venire!”

(Mi ricordo che la mostra era solo la prima tappa di qualcos’altro che avevo in programma quella sera, quindi anche se mi fossi presentata, anche se mi avesse invitata, non ci sarei probabilmente andata, ma è comunque interessante pensare a come sarebbero potute andare le cose se mi fossi presentata quella sera, e se fossi andata a quella festa).

Il concerto era di venerdí, quindi era pieno di gente che cercava il Berghain (quello vero). Un tizio che a me sembrava ubriaco era stato tra i primi ad entrare. Accortosi dell’errore si era seduto ad un tavolo e aveva cominciato a dare fastidio alla gente. Allora Mike mi aveva detto: “Comunque non è ubriaco: è fatto. Forse è meglio ridargli i soldi e mandarlo via”. Io e Peter eravamo d’accordo. “Non avrei mai capito che era fatto.” “Lo è, e posso dirti anche cosa ha preso. È troppo lucido per aver preso LSD. È troppo di buon umore per aver preso cocaina. Probabilmente è un misto di cristalli e altro.”

Poco meno di sette anni fa, quando ero a Berlino da un paio di mesi, ero anche io finita alla Kantine pensando che fosse il Berghain. Tobi era andato a Friburgo a trovare suo padre e io ero per la prima volta rimasta da sola per il fine settimana. Ero andata ad un WG party e l’avevo lasciato qualche ora dopo, con un gruppo di persone che non avevo mai visto prima e che non avrei rivisto mai più, ed eravamo andati alla Kantine e io non avevo capito che non era il vero Berghain ed ero abbastanza orgogliosa di me per esserci finita in modo così liscio. Avevo capito solo molto tempo dopo che il Berghain, quello vero, era un altro.

Quando abbiamo dichiarato il sold out mi sono versata l’ultimo vino rimasto dentro la seconda bottiglia e sono andata a bermelo al bar, guardando il concerto e pensando a tutte le cose che si sono ingrandite e interconnesse in questi anni e che quella serata era davvero il modo perfetto per celebrare questo anniversario.

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Qualcosa rimarrà per sempre
Scritto da verdeanita il gennaio 18th, 2016 | 2 comments
bowie
Di solito mi sveglio con la radio. È una sveglia gentile. La tengo a volume medio, così il risveglio non è brusco ma rimango un po’ in dormiveglia prima di capire che la musica o le parole che sento non fanno parte del mio sogno e che ormai è ora di alzarsi.
Lunedì scorso la radio mi ha svegliata con “Heroes” e mentre mi rigiravo nel letto pensavo che era una canzone stupenda, potente e perfetta. Quante canzoni vengono suonate così spesso senza perdere lucentezza?
Avevo ascoltato “Blackstar” proprio la sera prima e avevo pensato che chissà, magari Bowie sarebbe venuto a fare un concerto a Berlino. Sarebbe stato bello, sarei dovuta andarci di sicuro.
Poi ho preso in mano il cellulare e ho letto Instagram e Twitter e ho pensato, come tutti: “Ma come? Il suo album è uscito due giorni fa!”
Subito dopo ho scritto a Rachel che volevo andare a Schöneberg.
In ufficio mi chiedo se sia il caso di post celebrativi o meno, ma il problema è che mi pare davvero brutto postare i nostri tour e i nuovi video dei nostri gruppi senza dire una parola e facendo finta che non sia successo niente. Decido che basta un video. Vorrei postare “Let’s dance”, perché è una di quelle che ascolto più spesso (fa parte della playlist che ascolto prima di uscire di casa per andare a ballare), ma alla fine decido di postare “Space Oddity”, perché l’altra mi pare troppo allegra.
Una volta, parlando con il mio amico Mathias di Berlino che cambia e della gentrificazione, avevo detto che io non la vedevo così tragica. Sì, ci stanno chiudendo tutti i locali, ma sono sicura che qualcosa di rappresentativo di questi anni resisterà sempre, come esistono balere quasi intoccate degli anni ’30, gli squat degli anni ’80 nelle Altbau di Kreuzberg, gli edifici con le facciate scrostate della Berlino Est. E poi ci sono posti a Schöneberg che rimangono un po’ misteriosi. Anni fa Lorina mi aveva invitata ad un suo concerto all’Ex’n’pop e da allora non l’ho mai più sentito nominare. Le guide di Berlino un po’ vecchie che possiedo, dicono che è famoso per i suoi locali gay, ma chi ha bisogno di andare fino a Schöneberg quando a Kreuzberg c’è il Silver Future e lo Schwuz e un sacco di altri posti? Pensa – gli avevo detto – anni fa era pieno di posti a Schöneberg e noi ora non ci andiamo quasi mai. È come se David Bowie e Iggy Pop avessero vissuto in un’altra città. E comunque sono sicura che qualcuno dei loro posti è rimasto. Vedrai, gli avevo detto, magari chiuderanno la maggior parte dei nostri posti, ma qualcosa di questo periodo rimarrà per sempre.
Per andare a Schöneberg e scendere alla fermata giusta devo dare una controllatina alla piantina della metro. Sì, ho beccato la direzione giusta. Non ci vado quasi mai, a Schöneberg. Ci vado quando voglio un po’ perdermi, quando vado da Tiger, quando andavo al planetario, quando andavo a casa della Giulia. Una volta sono andata al Neues Ufer a scrivere una lettera che non ho mai spedito. Cominciava dicendo “Sono andata a passeggiare a Schöneberg per perdermi un po’ e il bar da dove ti scrivo è pieno di foto di Bowie alle pareti”.
Io e Rachel ci vediamo fuori dalla metro, ma mentre aspettiamo Vincent – perché non potevamo compiere questo pellegrinaggio senza Vincent – torniamo dentro a comprare dei fiori. Io ne prendo uno bianco, lei uno arancione “come i suoi capelli”. Il tipo che ci vende i fiori non ha l’aria di capire quello che sta accadendo, anche se probabilmente non ha mai venduto tanti fiori in un giorno solo.
Invece una signora che ci vede capisce subito cosa stiamo facendo: “Andate da Bowie? Dovete prendere quell’uscita”.
Vincent arriva e andiamo verso il numero 155 della Hauptstraße, dove la porta è già coperta da talmente tanti fiori e foto e dediche e candele e la gente che ci abita fa fatica ad uscire.
Il bar proprio di fianco alla vecchia casa di Bowie è pieno di gente dall’aria mesta che beve birra e che, come forse ci si poteva aspettare, ascolta canzoni di Bowie. Ci rimane una mezz’ora prima di vederci con gli altri per andare al cinema e decidiamo che sì, possiamo anche noi andare a bere una birra nel bar ed essere ancora tristi per un altro po’. Poi però, proprio quando sono al bancone del bar e quella canzone un po’ triste finisce, ne comincia un’altra completamente diversa.
Quando parte “Let’s dance” siamo tutti presi alla sprovvista, ma alla fine c’è chi urla “Fuck yeah!” e tutto il bar comincia a ballare. Ballo anche io, ovviamente, e non so se concentrarmi su quello o sul farmi largo al bancone per prendere queste birre. Probabilmente non hanno mai versato tante birre in un solo giro, come il fioraio non ha mai venduto tanti fiori. È una festa stranissima e bellissima e quando mi giro verso Vincent per porgergli la birra vedo che sta piangendo e piangendo di brutto, ma che non ha smesso di ballare. Quando poi parte “Under Pressure” e poi “Moder Love”, continuiamo a ballare e io comincio a sentire la mancanza di tutti i miei amici, perché è una cosa specialissima vivere in un posto, essere in un posto che è parte di una storia così straordinaria, dove sono successe cose che rimarranno per sempre.

Somewhere in Schöneberg

Ein von verdeanitarrrr (@verdeanita) gepostetes Video am

(Una volta avevo fatto i conti per vedere che età aveva Bowie quando si era trasferito a Berlino, pensandolo un po’ come me, che ero venuta a Berlino a ventidue anni, invece avevo scoperto che di anni ne aveva ventinove e mi ero sentita meglio, come se avessi ancora tutto il tempo di trovare la mia ispirazione, non facendo caso al fatto che a ventinove anni lui aveva già registrato dieci album)
(Anche se l’abbiamo scoperto di lunedì mattina, David Bowie è morto di domenica, proprio mentre stavo ascoltando “Blackstar”. Anche Lou Reed è morto di domenica. Lo so perché quella sera ero andata all’Open Mic e tutti avevano fatto cover di Lou Reed e Heiko aveva detto “In qualche modo sono preparato” e poi aveva suonato “The Barcade Song”, che ha gli stessi accordi di “I’m Waiting for the Man”. Probabilmente anche mentre sto scrivendo queste cose, adesso che è domenica, un sacco di gente all’Open Mic avrà cantato canzoni di Bowie.)
(Due mesi fa, in un second hand in un passage orribile a due passi da Kleistpark, avevo trovato una copia di “Aladdin Sane” ad un prezzo non troppo eccessivo ma neanche eccezionale, ed ero rimasta a rigirarmelo per le mani per cinque minuti pensando poi che no,  forse avevo già la borsa piena di cazzate di Tiger e non ci stava oppure forse dovevo andare al planetario ed ero di fretta e non avevo tempo di aprirlo con calma e vedere com’era dentro e poi sono sempre senza soldi e allora magari ci penso e passo di qui la prossima volta che vado al planetario e l’avevo lasciato lì.)
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Dieci dischi che mi ricorderanno il 2015
Scritto da verdeanita il dicembre 29th, 2015 | 2 comments

Per il 2015 mi ero comprata una bellissima agenda MUJI con due pagine per mese. Considerando che non ho impeghi specifici in determinati giorni, ma piuttosto to-do-list infinite e ramificate che posso depennare un po’ quando mi pare, due pagine sono perfette per avere un Überblick sulle cose da fare, ma soprattutto per tener conto delle cose fatte. Questo per dire che in questo 2015 ho tenuto conto di tutto quello che facevo in modo maniacale. So, ad esempio, che sono stata a teatro solo una volta e 10 volte al cinema (due volte a vedere lo stesso film, una volta a vedere due film uno dopo l’altro). So anche che ho letto 14 libri che non avevano nulla a che fare con l’università (anche se spero di finirne un altro paio di già cominciati prima della fine dell’anno) che ovviamente è pochissimo, ma è molto di più rispetto agli anni passati e, soprattutto, mi permette di regolarmi per migliorare il prossimo anno.

In compenso, sono stata a 91 concerti (tour compresi) e ho ascoltato, con quella che ritengo essere la giusta attenzione, 47 dischi. E a tutti questi dischi ho voluto mediamente abbastanza bene, il che rende ovviamente difficile sceglierne solo 10, ma lo faccio lo stesso perché è divertente e perché fossero queste le difficoltà della vita. Cominciamo!

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1. Viet Cong – “Viet Cong”
E non solo perché è un bell’album, ma anche (e forse soprattutto) perché è quello che mia ha accompagnata di più durante questo 2015. Uno dei primi concerti che ho visto a Berlino quando sono ritornata (al West Germany: perfetto per loro). Il disco più ascoltato in tour con i VVhile (e anche quello più sentito nei locali che ci hanno ospitati) e anche un concerto che ha riempito un day off. Però, sì, hanno un nome cretino.

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2. Car Seat Headrest – “Teens of Style”
Posso mettere un album che ho scoperto appena un paio di settimane fa nella classifica di fine anno? E posso, soprattutto, metterlo così in alto? Considerando che nell’ultima settimana praticamente non ho ascoltato altro e che una cotta musicale così non mi capitava da… vabbè, non mi capitava forse dall’anno scorso, ma non è questo il punto. Oltre ad essere un bellissimo album lo-fi, un po’ cupo alla Joy Division, che per il resto ricorda Guided by Voice, Pavement e simili, c’è anche una bellissima storia dietro (mille dischi pubblicati su Bandcamp per poi approdare alla Matador), che mi fa ben sperare e mi sprona a cercare gemme nascoste e meravigliose nei meandri dell’internet.
Non vedo l’ora di vederlo dal vivo a Berlino a febbraio, portato dai coinquilini d’ufficio Puschen, e spero anche di avere la giornata libera per fargli la pizza. Will Toledo, sappi che hai trovato la tua nuova stalker.

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3. Tocotronic – “Das rote Album”
Da qualche parte sull’internet c’è una mia recensione che dice, parlando di musica tedesca “A me questa lingua suona ancora stranissima, quando appoggiata ad una qualche melodia”.
Ebbene, quest’anno ho superato anche questa barriera musico-linguistica, e l’emblema di questo superamento è l’ultimo album dei Tocotronic, che ho ascoltato tantissimo e su cui canta anche la mia coinquilina. #namedroppinginutile
Ne ho parlato un pochino nel post “Limonare fino ad essere stanchi”.

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4. Aloa Input – “Mars etc.”
Una piacevole conferma da quando li avevo scoperti una paio di anni fa, divenendo la loro più affezionata stalker (del tipo che sono andata al loro concerto di Dresda anche se li avevo visti il giorno prima a Berlino e quando ero in tour con i VVhile e suonavano a Mainz lo stesso giorno che c’ero anche io, ho fatto una comparsata al loro concerto per le prime tre canzoni).
Quest’album è ancora più variopinto del primo, le varie influenze, tra glitch, roba a la Anticon e psichedelia, sono ancora più definite e meglio amalgamate del precedente lavoro. E niente, gli voglio molto bene.

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5. Fenster – “Emocean”
Avendo partecipato alle riprese di Emocean e avendo percepito la follia che vi si celava dietro, ero al contempo curiosa e terrorizzata per l’uscita dell’album/film. L’abbiamo visto al Marie Antoniette e la prima reazione è stata “ODDIO MA È TOTALMENTE ASSURDO”. Lo è. Sta di fatto che quando l’album è uscito l’ho ascoltato di seguito per giorni interi. I Fenster hanno fatto un percorso stupendo nei loro tre album, partendo da un pop molto minimale che è andato via via arricchendosi, fino a questo disco onirico, psichedelico, e inaspettato come mai ti aspetteresti (aha) da un disco strumentale.

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6. Any Other – “Silently. Quietly. Going Away.”
Mi capita raramente di comprare un album ad un concerto, però la prima volta che ho visto suonare Adele, quando suonava ancora con Cecilia e le Lovecats facevano ancora le cover, ho comprato subito il loro EP, perché avevo davvero del (molto) buono in loro. Oltre a essere uno dei pochi album italiani in inglese con dei testi più che sensati (litote per dire che i testi sono bellissimi, ma è la barra che in Italia è settata su un livello bassissimo), è anche un disco che rimane onesto e vero nonostante chiarissime influenze.
Sono ovviamente orgogliosissima di aver organizzato le loro prime date europee che trovate qui.

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7. Gun Outfit – “Dream All Over”
Quest’anno sono usciti 22 album di artisti di Paper and Iron e penso di averli, seppur distrattamente, ascoltati tutti. Poi un giorno ho chiesto a Nikita di farmi ascoltare quel nuovo gruppo che aveva appena preso e me ne sono completamente innamorata. Assomigliano un po’ agli Yo La Tengo (quindi ovvio che sono impazzita) ma anche tantissimo ai Galaxie 500.
Anche loro non vedo l’ora di vederli a febbraio (che già si preannuncia un mese intenso). Anche per loro spero di trovare il tempo di fare la pizza.

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8. Hop Along – “Painted Shut”
A novembre sono andata a vedere gli Hop Along al Marie Antoniette. Era la settimana del mio compleanno, nella quale sono andata – praticamente – ad un concerto al giorno (Lower Dens – Kurt Vile – Girl Names – Hop Along (appunto) e Built to Spill, che fatica – fossero queste le fatiche della vita). Ero però convinta che quel giorno sarei crollata a letto e avrei saltato il concerto, tanto più che era l’unico per cui non avevo il biglietto, quindi non mi sono messa d’accordo con amici vari per 1. non paccare dalla stanchezza 2. perché avevo invitato un tipo che mi piaceva un pochino 3. perché comunque era da tanto che non andavo ad un concerto da sola 4. perché comunque tutti quelli a cui l’avevo detto mi avevano risposto confusi “I chi?”
Per qualche oscuro mistero delle distribuzioni e degli uffici stampa, infatti, gli Hop Along a Berlino non godono dello stesso amore di cui godono altrove.
Al concerto c’erano abbastanza persone da non far sembrare il locale vuoto, ma ne avrebbero meritate molte di più. E poi al concerto ho incontrato (per caso) il mio amico Jo, che si è rivelato provvidenziale perché 1. non ci piaceva il gruppo spalla e ne abbiamo approfittato per andare al Burger King a mangiarci delle patatine 2. perché alla fine il concerto era stato talmente bello e io ero talmente povera che mi sono fatta prestare da lui i soldi per comprare il disco.

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9. Courtney Barnett – “Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit”
Perché non sono andata a vedere Courtney Barnett la prima volta che è venuta a Berlino? Perché non sono andata a vederla neanche la seconda volta che è tornata? Forse perché scettica della sua esplosione mediatica non avevo ancora degnato il disco di un degno ascolto? Forse sì. Me ne sono pentita? Sì, molto.

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10. Dan Deacon – “Gliss Riffer”
A Dan Deacon ho effettivamente fatto la pizza. Poi mi sono anche fatta autografare un poster per Michele e me lo sono dimenticata a Berlino anche questa volta.
Oltre ad un concerto stupendo (uno dei primi che ho visto tornata a Berlino), ha anche fatto un bellissimo disco anti-ansia.

Ah, è stato difficilissimo ma non vedo l’ora di rifarlo.

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