I thought I found it. But I found out I don’t know shit
Scritto da verdeanita il dicembre 31st, 2017 | 2 comments

Istanbul. Perché a febbraio ero finita a Istanbul a caso per un paio d’ore.

Vorrei far finta che quest’anno abbia avuto 14 mesi, e che sia cominciato quando sono atterrata a Torino alla fine dell’ottobre scorso e che sia finito la settimana scorsa, sempre a Torino, quando ho chiesto Battiato perché stavamo per andare a casa e tutta l’enoteca si è messa a ballare “Bandiera Bianca”. Ma vorrei anche ficcarci dentro tutti gli strascichi significativi che sono successi immediatamente dopo. Tipo andare a Milano e passare la sera a guardare Fantaghirò 2, che tanto eravamo sbronzi e di andare fuori non avevo voglia, perché tanto Milano mi odia. Torino invece mi vuole bene.
Anche Bologna mi vuole bene. Me l’ha fatto capire nelle otto ore che pensavo fosse troppo e invece sono state pienissime di persone che non vedevo da tanto tempo e cibo buono e io che corro velocemente da una parte all’altra perché ho preso troppi appuntamenti in troppo poco tempo e me la ricordavo più piccola questa città. In quella manciata di mezz’ore che ho avuto per me, sono tornata a Palazzo Hercolani, preoccupata di trovarlo troppo identico. Ho provato ad entrare nel giardino Alexander Dubček e non è successo. Ho deciso che in questa città devo tornarci almeno due volte all’anno, o non tornaci mai più.
Anche a giugno ero tornata a Bologna, per due ore, solo per mangiare. Al ristorante si erano arrabbiati che ci ero andata da sola. La mia vita sentimentale aveva appena subito un leggero twist che mi aveva fatto capire che volevo tutt’altro. Mi ero anche appena ricordata com’è fare in bagno nell’acqua calda. Avevo anche appena mangiato una piadina dopo sette anni. Avevo salutato Vasko sulla spiaggia, che non vedevo da febbraio, avevo camminato tra le meduse spiaggiate e sciolte fino a quando non mi era venuta tanta fame.
A febbraio ero andata a Skopje e prima a Belgrado e prima a Ljubljana (e due ore a Zagabria). A Skopje mi ero accorta di non avere il biglietto di ritorno. Ho seriamente pensato di rimanere lì per sempre. A Belgrado ho passato molto tempo nelle periferie, passando la mia prima notte nel palazzone con il mio ascensore preferito, al Block 61, facendomi spiegare il vuoto a rendere nei supermercati di Borča, andando a lezione di yoga vicino all’Eastern Gate. Dopo cinque anni c’era chi mi ha riconosciuta e chi non si ricordava di me. Ho fatto una passeggiata malinconica per le strade di Dorćol. Ha fatto freddissimo.
Alla fine di febbraio ho finito di girare. Sono tornata a Berlino. A marzo mi sono seduta per la prima volta a Tempelhof senza pensare alla tesi. Ho guardato Jurassic Park per la pima volta quest’anno. Sono tornata ad Amburgo.
Sinkane – Life & Livin’ it
Ho tempo da passare in ufficio e per ascoltare almeno una volta ogni disco che sento nominare. Questo lo ascolto perché non ha praticamente niente a che fare con il resto. Mi fa sorridere tantissimo. Lo ascolto ininterrottamente fino a maggio. Quando all’Immergut Angel Olsen finisce di suonare io abbraccio tutti e corro a vederlo. Alla fine dl concerto è lui ad abbracciare me. Quando metto i dischi a Verona è la canzone che fa ballare tutti. A Torino è la canzone che non mi aspettavo di sentire.
Future Island – The Far Field
Allo Schokoladen non vedo il concerto dei Mauno ma lo sento e basta, perché sono già alla postazione del DJ. È la prima volta che metto i dischi qui e sono contentissima e agitatissima. Ho ricostruito con grande fatica tutti i concerti che ho visto qui dentro (ma non ricordo quando era stata la prima volta, e darei oro per poterlo ricordare). Mi sono chiesta spesso: ma i Future Island li ho già visti qui dentro? Perché ogni volta che li ascolto è come se avessi un deja vu.
Big Thief – Capacity
Non si diventa dischi dell’anno solo per bellezza o per volte che ho schiacciato play. Lo si diventa anche perché il disco dell’anno è più vischioso degli altri, e non se ne vuole andare. Pare anche che l’unico modo per vedermi e godermi un concerto per bene sia andare ad Amburgo dove non conosco nessuno. Anche se il piano non prevedeva di andarci da sola. Ma alla fine va bene lo stesso. Perché Amburgo mi vuole bene.
Arcade Fire – Everything Now
Ho spiegato canzone per canzone che questo è un album strano. Che fa un po’ schifo, ma non troppo. Che “Everything Now” non è un granché ma tutto sommato mi piace. Che “Sign of Life” e “Creature Comfort” mi piacciono molto. Che “Chemestry” è il vero punto dove ci stanno probabilmente trollando, perché è una delle canzoni più brutte che io abbia mai sentito. Che “Electric Blue” è la “Afterlife” di questo album. E che dopo di questa arrivino canzoni non epiche, ma buone e che quindi tutto sommato questo sia un album da salvare.
Land of Talk – Life after Youth
Ho l’impressione che il tempo dentro il mio cervello si stia accartocciando, che accadano cose che sono già successe, che io senta cose che ho già sentito. In questo caso è il 2008 e io sto andando St. Malò a vedere i Notwist per la seconda volta. O sto pedalando di notte per Verona per andare al cinema. O sono nel giardino Alexander Dubček a scrivere lettere a mano mentre intorno a me cominciano a cadere le foglie. Tutto stava cambiando, ero io che facevo cambiare le cose, e sentivo le vertigini da settimane.
Chastity Belt – I Used to Spend so Much Time Alone
Se avessi preso decisioni diverse in altri momenti della mia vita, ora non sarei sulla parete del Lido, la stessa da dove avevo visto i Lali Puna nel 2010, ma in un’altra stanza dello stesso locale. Il concerto è stranamente poco rumoroso, perfetto per mandare messaggi vocali. È il 17 settembre e so esattamente cosa voglio fare e cosa voglio dire tra due mesi esatti. Mi sento strana e voglio andarmene senza salutare. Torno a casa con un cappello nuovo.
Mauno – Tuning
A Settembre sono di nuovo ad Amburgo e anche qui rivedo gente che non vedevo da anni. Rivedo anche i Mauno, che non vedevo da Aprile. La mia parte preferita di essere ad Amburgo questa volta è quando corro da sola da un locale all’altro. Sono in una delle mie città preferita e ovunque c’è gente che ho conosciuto in posti e tempi diversissimi. Anche quando io e Peter prendiamo il bus notturno per Berlino e poi la sera ci ritroviamo al Monarch a (ri)vedere i Mauno mi sembra di aver corso da un locale all’altro della stessa città.
Baths – Romaplasm
Le giornate stanno per raggiungere il picco della loro brevità ed è arrivato il momento in cui non succede niente. Sono triste non appena diventa buio e so che lo sarò per tutto il resto del giorno e poiché il buio è arrivato alle 16.30, ho ancora un sacco di tempo. Decido di ascoltare cose che non c’entrano nulla con il resto dell’anno e che ancora non mi ricordano nulla.
Come ho detto spesso, questo è stato un anno anticlimatico. Potevano accadere molte più cose, e alcune ho anche sperato che accadessero e fatto del mio meglio per farle accadere. E invece non è andato tutto in modo esplosivo, ma in fondo va bene anche così.
Sono passati 10 anni dal 2008, che per me è stato l’anno più movimentato. La grande differenza però è che io 10 anni fa non sapevo esattamente cosa volevo, quindi qualsiasi cosa accadesse per me andava bene. A caso. Mentre adesso ho idee molto più chiare e quindi il buon proposito per l’anno nuovo è avere in mente quello che voglio e fare qualcosa per arrivarci.
Altri dischi a cui ho voluto molto bene quest’anno:
ampl:tude – Endlich Mittwoch
St. Vincent –  Masseduction
Sacred Paws – Strike a Match
Jon McKiel – Memorial Ten Count
Colapesce – L’Infedele
Faith Healer – Try ;-)
Sylvan Esso – What Now
LCD Soundsystem – american dream
Waxahatchee – Out in the Storm
The Courtneys – The Courtneys II
Halfalib – Malamocco
Priests – Nothing Feels Natural
E i dischi dei miei artisti usciti quest’anno:
Say Sue Me – s/t
The Homesick – Youth Hu
Alex Napping – Mise en Place
Jaye Bartell – In A Time Of Trouble A Wild Exultation
Good Morning – Glory/Shawcross
Common Holly – Playing House
Degli 88 concerti che ho visto, questi sono quelli che mi sono piaciuti di più:
18.02 Bernays Propaganda + VVhile @ MKC (Skopje, MK)
24.10 Katie Von Schleicher + Big Thief @ Molotow (Hamburg, DE)
02.07 Arcade Fire @ Wuhlheide (Berlin, DE)
17.09 Chastity Belt @ Lido (Berlin, DE)
14.04 Repetitor + IHNMAIMS @ Kantine am Berghain (Berlin, DE)
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14.04.2017
Scritto da verdeanita il aprile 25th, 2017 | Leave a comment

Il concerto dei Repetitor è andato sold out. Finora è stato il mio concerto piú grande.

Era la terza volta che organizzavo un loro concerto a Berlino (il quarto loro concerto in totale, se contiamo quella volta che avevano suonato a Interzona, a Verona). Questa volta l’avevo organizzato con Peter ed era lui a tenere i conti delle prevendite. E anche se Jo mi mandava una mail ogni martedì – o lunedì notte – per dirmi quanti biglietti avevamo venduto, io chiedevo comunque ogni giorno (ogni ora) a Peter: “Sold out?” e lui mi diceva un numero. Ovviamente sarebbe bello che ogni concerto andasse sold out, ma in questo caso la previsione più ottimistica era quella di Andreas, che aveva scommesso su “177 – guest list inclusa”.

Mi ero portata due bottiglie di Valpolicella per celebrare i miei sette anni a Berlino e sapevo che non avrei avuto problemi a farmele aprire, perchè il barista del Berghain viene da Bassano del Grappa e perchè il buttafuori Mike di solito apprezza tutte le schifezze che ci portiamo da mangiare. Ci ha anche detto che forse lo vedremo di meno, nei prossimi mesi. Sta cercando un altro lavoro. Aggiunge che gli piace quando facciamo i concerti noi, ma che quando fai i turni di otto ore al Berghain, quello vero, bé, preferirebbe passare le serate a casa.

In due momenti mi è dispiaciuto che non ci fossi anche tu: quando ho dato a Boris il resto dell’erba che avevi comprato quando eri venuto a trovarmi a Berlino (lui comunque si é lamentato perché era poca) e quando alla fine del concerto è arrivato un tuo amico. L’ho riconosciuto dalle foto sul tuo Instagram, e mi sono presentata. Era arrivato quando il concerto era già finito da un pezzo e Mike non faceva più entrare la gente. Prima ancora che lui potesse dire che era in lista, io avevo già detto a Mike che lui era a posto e che poteva farlo entrare. Quindi forse era un po’ confuso perchè io sembravo conoscerlo ma lui non mi aveva mai vista. “Sono Anita. Tu sei amico dei gemelli, giusto?” “Ah, te sei la ragazza italiana del tour? Piacere!” Poi gli ho detto che in realtá ci eravamo incrociati giá, recentemente: a Belgrado, una sera del febbraio scorso, l’avevo riconosciuto all’inaugurazione di una mostra. Gli dico che galleria e che mostra era e mi dice che sì, era lí. “E perché non ti sei presentata allora?” “Non lo so” gli dico “Probabilmente mi sentivo un po’ timida quella sera.” “Peccato” mi dice “Quella sera poi siamo andati ad una festa, saresti potuta venire!”

(Mi ricordo che la mostra era solo la prima tappa di qualcos’altro che avevo in programma quella sera, quindi anche se mi fossi presentata, anche se mi avesse invitata, non ci sarei probabilmente andata, ma è comunque interessante pensare a come sarebbero potute andare le cose se mi fossi presentata quella sera, e se fossi andata a quella festa).

Il concerto era di venerdí, quindi era pieno di gente che cercava il Berghain (quello vero). Un tizio che a me sembrava ubriaco era stato tra i primi ad entrare. Accortosi dell’errore si era seduto ad un tavolo e aveva cominciato a dare fastidio alla gente. Allora Mike mi aveva detto: “Comunque non è ubriaco: è fatto. Forse è meglio ridargli i soldi e mandarlo via”. Io e Peter eravamo d’accordo. “Non avrei mai capito che era fatto.” “Lo è, e posso dirti anche cosa ha preso. È troppo lucido per aver preso LSD. È troppo di buon umore per aver preso cocaina. Probabilmente è un misto di cristalli e altro.”

Poco meno di sette anni fa, quando ero a Berlino da un paio di mesi, ero anche io finita alla Kantine pensando che fosse il Berghain. Tobi era andato a Friburgo a trovare suo padre e io ero per la prima volta rimasta da sola per il fine settimana. Ero andata ad un WG party e l’avevo lasciato qualche ora dopo, con un gruppo di persone che non avevo mai visto prima e che non avrei rivisto mai più, ed eravamo andati alla Kantine e io non avevo capito che non era il vero Berghain ed ero abbastanza orgogliosa di me per esserci finita in modo così liscio. Avevo capito solo molto tempo dopo che il Berghain, quello vero, era un altro.

Quando abbiamo dichiarato il sold out mi sono versata l’ultimo vino rimasto dentro la seconda bottiglia e sono andata a bermelo al bar, guardando il concerto e pensando a tutte le cose che si sono ingrandite e interconnesse in questi anni e che quella serata era davvero il modo perfetto per celebrare questo anniversario.

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Il comunicato stampa che non scriverò mai
Scritto da verdeanita il maggio 4th, 2014 | 2 comments


Belgrado vista dal Bigz

– Come descriveresti i Repetitor?
– Una fantastica live band.
– E basta?

Io e Sash stiamo bevendo una birra e un tè (io la birra, lui il tè), in un bar di Friedrichshain. Io sono nervosissima perché tra 60 minuti incontrerò un “tizio che mi piace” (sì, diciamolo così, come se fossi alle medie) e quindi parlo a raffica, ma questa domanda un po’ mi blocca. Stiamo organizzando insieme il loro concerto di Berlino del 20 maggio e ci siamo incontrati per discutere un po’ di cose e capire dove sono i poster che ci hanno mandato da Ljubljana tramite una tizia che ancora non si è fatta sentire.
Una delle mille cose da fare sulla mia to-do-list mentale è scrivere i comunicati stampa da mandare ai blog e ad ostacolarmi, oltre alla mancanza di tempo, è il fatto che per spiegare questa cosa di certo non mi bastano poche righe. Potrei scriverci un libro su questa cosa.
Il giorno che me ne andai da Belgrado mi regalarono, per motivi lunghi da raccontare, tre chili di pere e dissero di me che quando non ero in ufficio andavo in giro a fotografare edifici enormi e che ero diventata amica di un sacco di musicisti. Ho già parlato di me che andavo in giro a fotografare edifici enormi, quindi questa è la storia di me che divento amica di un sacco di musicisti. O una parte di questa storia.

Mentre io e Sash beviamo la nostra birra e il nostro tè, i minuti che mi separano dall’incontro che mi rende tanto nervosa stanno diminuendo. Sono anche i minuti che mi separano dal concerto di un gruppo tedesco che fa cover di Adriano Celentano e di altre vecchie canzoni italiane anni ’50. Sì. Suonano tutti i mesi all’Antje Öklesund e io ci vado quasi sempre. E tutte le volte io e un pubblico composto per metà da italiani nostalgici e per metà da tedeschi esaltati ci divertiamo da matti, nonostante loro non capiscano una parola e io mi ritrovi incredula a urlare “Se telefonando” a squarciagola.
Cosa c’entra una cover band tedesca con un gruppo punk serbo? Bè, per me un po’ c’entra.

C’entra il fatto che essendo nata e cresciuta in Italia, per me c’era sempre stata una divisione tra “la musica italiana” e “la musica cantata in inglese”. La prima era quella che ascoltavano i miei genitori, la seconda quella che avevo scoperto da sola e che mi faceva sognare e immaginare altre cose. Poi “la musica cantata in inglese” divenne anche la musica che suonavano i miei amici, prima facendo cover, poi scrivendo le loro canzoni. E a me è sempre parsa una musica di serie b, una copia, l’imitazione di qualcos’altro. Cantare in inglese, anche se ognuno dava la sua motivazione, per me era sempre un tentativo per cercare di assomigliare a qualcosa di più bello, ma diverso da noi. D’altra parte, pensavo, cantando in italiano non si hanno speranze all’estero, perché tanto la gente non capirebbe niente. E infatti io quando mai mi sono messa ad ascoltare musica francese o tedesca?


Gagi dei Kriške, una sera al Bigz

Due anni fa circa camminavo incuriosita per i corridoi del Bigz, a Belgrado e, sentendo qualcosa di veramente bello provenire da una delle sale prove, chiesi il nome del gruppo che stava suonando e venni invitata a sedermi su un divano dentro la stanza e ad assistere. Quello che suonavano mi piaceva tantissimo, assomigliava a gruppi che adoravo ma era anche diverso, non capivo una parola dei loro testi e dietro la loro musica c’era energia vera. Probabilmente anche in questo caso un tentativo di imitazione era presente, ma era molto più rabbioso e disperato, convinti com’erano (a torto)  che quello che stavano facendo mai sarebbe stato lontanamente vicino a quello che avevano fatto i gruppi che loro stessi ammiravano. Era qualcosa di talmente potente che mi trasmetteva sensazioni completamente nuove, e devastanti. Che differenza faceva capire o meno quello che dicevano? In fondo, quando avevo cominciato ad ascoltare la “mia” musica, capivo perfettamente quello che i gruppi cantavano? Non era per me molto più importante il modo in cui lo facevano, l’immaginario che ricreavano nella mia testa?
Ero seduta su un divano in questa enorme sala prove all’interno di un palazzo altrettanto enorme. Fino a quel momento le sale prove me le ero sempre immaginate in cantine e garage sottoterra. Da lì invece, in una stanza con vetrate grandissime al settimo piano, potevo vedere tutte le luci di quella città stranissima. Mi parve tutto capovolto, tutto il contrario di quello che avevo sempre pensato.


Milena dei Repetitor, una sera al Bigz

Non erano i Repetitor, il gruppo di quella volta, ma poco importa. Loro li vidi la prima volta a Subotica, il marzo seguente, durante il mio primo viaggio in Serbia dopo averci vissuto per un po’. Ero con Ana, che qualche mese prima mi aveva chiesto aiuto per un progetto fotografico al quale voleva lavorare. Aveva chiesto che le consigliassi qualche locale di Belgrado, o qualche gruppo che avevo conosciuto. A me. Aveva chiesto a me qualche dritta sulla sua città natale.
Ci trovammo insieme in Serbia, visto che i nostri viaggi si sovrapponevano di qualche giorno, e decidemmo di andare a passare il sabato sera in questa città bellissima e triste a quattro ore di pullman da Belgrado. Il locale era pienissimo ma, mi dicevo, credo sia normale in una città così piccola che non avrà altri eventi per il resto della settimana.
La seconda volta che vidi i Repetitor dal vivo fu lo scorso ottobre, questa volta a Zagabria, dove mi trovavo da sola durante l’Interrail che mi ero regalata prima di entrare nella metà sbagliata dei vent’anni. Suonavano con i Japanther e avevo pure convinto un tizio francese conosciuto in ostello a venire con me. Arrivata al locale mi misi a chiacchierare con loro e scoprii che non erano, come avevo pensato, il gruppo spalla, bensì quello principale. Nella mia ormai lunga carriera di organizzatrice di concerti (sì, se cominci a 18 anni, poi a 26 ti ritrovi già con una “lunga carriera”) è sempre stata una normale regola di cortesia e buon senso, chiamare un gruppo locale ad aprire al gruppo foresto. Era pur vero che in questo caso di gruppi locali non ce n’erano, ma era comunque una scelta che mi parve buffa. Fino a quando non mi ritrovai in mezzo ad un pogo devastante in mezzo a un migliaio di coetanei esaltatissimi per quello che, capii finalmente, era un gruppo importantissimo per loro. Mi ritrovai a cantare parole di cui sapevo benissimo il suono ma non il significato, a mischiarmi ad un pubblico che amava il gruppo quanto me, anche se in modo diverso.


Japanther a Zagabria, purtroppo l’ultimo fotogramma sul rullino (e quello nuovo era rimasto in ostello)

È un po’ questo che sono i Repetitor, o i gruppi di Belgrado che ho conosciuto, per me. È stato un nuovo modo di vivere cose che devo per scontate. È stato trovare “una scena” che pensavo fosse esistita solo dall’altra parte dell’oceano un paio di decenni fa. Non è una cosa che posso riassumere in un comunicato stampa.

I Repetitor andranno in tour in Europa la settimana prossima e se avessi guardato il loro tour plan un paio di anni fa probabilmente mi sarei meravigliata nel vederli suonare a Verona. Ma in questo caso so che c’è il mio zampino e la cosa ha perfettamente senso. Inoltre, ad accompagnare entrambi i concerti in cui il mio Lou Fai Booking è coinvolto, ci sarà la mostra di Ana Blagojevic che ho visto mano a mano prender forma. E sono molto contenta di tutto questo.

10.05 Interzona (Verona)
20.05 West Germany (Berlin)

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