Verona solo andata
Scritto da verdeanita il settembre 17th, 2014 | 2 comments

Il 16 settembre me ne sono tornata a Verona. Non ho un biglietto di ritorno e tutte le mie cose sono state impacchettate nella mia stanza in modo da riempire tre scatole SAMLA, quattro scompartimenti della mia libreria LACK e il mobile rosso IKEA PS. Bello usare i mobili dell’IKEA come unità di misura. Sono stata brava a incastrare tutto e ho anche buttato via un sacco di cose. Ad occuparla in mia assenza sarà una ragazza spagnola. Avevo uno zaino pesantissimo e mio padre ha detto “Ma saranno almeno 20 chili!” “No, solo 19.3.” ho risposto io.

Giulio mi ha portata a Tegel in macchina, altrimenti non ce l’avrei mai fatta. E’ venuto a prendermi alle nove e mezza e aveva scelto un disco degli Arcade Fire che ci stava benissimo con la temperatura e la luce autunnale di quel martedì mattina.

Avevamo passato insieme anche la sera prima, nel modo meno berlinese possibile: lasagne con funghi e gorgonzola, una bottiglia di Valpolicella Ripasso Classico Superiore e un vecchio film italiano.

Avevo già dedicato il fine settimana a salutare i miei amici. Venerdì c’era stato un matrimonio a cui avevano suonato anche i The Burning Hell. Avevo fissato la mia partenza a settembre proprio per fare in tempo a salutarli, visto che questo tour non passa dall’Italia. Sabato in molti erano venuti a casa mia e sabato sera, nonostante la stanchezza accumulata, ero andata all’Antje Oklesund a ballare.

Verso le tre ero a pezzi e ho deciso di cominciare il giro dei saluti partendo dal Dj il quale mi ha detto: “Rimani per una sola canzone!”. Ho proseguito il giro pronta a ballare perché sapevo perfettamente che canzone mi avrebbe messo su. Quello fu anche l’istante in cui capii che il tizio bellissimo che mi aveva chiesto di uscire la settimana prima era effettivamente venuto a cercarmi e io non avevo cuore di dirgli ciao e addio allo stesso tempo e ballai quindi con gli occhi bassi e socchiusi per tutti i sei meravigliosi minuti di quell’ultima canzone, uscendomene poi senza neanche guardarlo e sentendomi cretina perché era bello e carino e simpatico e tutto ma io me ne stavo per andare e quindi che senso aveva. (C’era anche stato un momento in cui Vincent mi aveva chiesto di chi era la canzone che stavano suonando e io lo avevo schiaffeggiato urlando “Pavement!” o quando lui si era messo a saltellare quando avevano messo Jonathan Richman o altri mille momenti bellissimi)

A volte a Berlino ci sono susseguirsi infiniti di giorni fantastici. Tipo, questa lunga fila di giorni fantastici quando era cominciata? Quando io e Anni avevamo deciso di passare insieme il pomeriggio e faceva caldo ed eravamo fuggite al laghetto? Quando io e Rachel ci siamo viste gli Aloa Input lungo la Sprea? Quando io e Lorina siamo andati a prenderci una torta in quel posto polacco-italiano tra Weserstrasse e il canale? (In assoluto il posto più Gilmore Girls di tutta Berlino) O quando c’era stato il Torstrassenfestival e Mitte per una sera era come doveva essere vent’anni fa? Potrei andare indietro e indietro e indietro e probabilmente il susseguirsi infinito di giorni fantastici comincerebbe il giorno che mi sono trasferita lì.

Io non riesco ad immaginarmi di vivere a Berlino per sempre perché è troppo bello per essere reale.

Quando abitavo a Bologna succedevano poche cose e io facevo cose stupide per far accadere le cose. A Berlino le cose accadono da sole. Io però non sono abituata a tutto questo. Nel posto da dove vengo le cose sono sempre praticamente ferme. Così a volte devo andarmene da Berlino, tornare indietro, andarmene da qualche altra parte. Ed è per questo e per altri motivi di diverse grandezze che il 16 settembre me ne sono tornata a casa senza biglietto di ritorno.

(nelle foto ci sono io in mezzo a Tempelhof, il mio aeroporto vuoto preferito)

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Resteremo tutti qui
Scritto da verdeanita il agosto 22nd, 2014 | Leave a comment

“Il breve attimo in cui tutto è possibile. Quello è l’attimo dell’amore. Come rimpiango di non poter afferrare quell’attimo in cui tutto è possibile, e fermarmi lì.”
– Per Olov Enquist, “Il libro di Blanche e Marie”


Non sapevo che quel locale con le vetrate enormi vicino a Boddinstraße fosse Villa Neukölln. Comunque è lì che ci troviamo, seduti su un divano enorme, a raccontarci episodi significativi delle nostre vite.
“Avevamo cominciato a chattare e poi eravamo diventati amici su MySpace e poi su Skype e poi… credo di aver attraversato sette anni di evoluzione dei social network, chiedendole l’amicizia. E non l’avevo mai vista. E poi lei ad un certo punto mi ha detto: – Ehi, vengo in Europa!- e io ho detto: – Ok, andiamo in tour insieme! – e quando sono andato a prenderla in aeroporto credo di non essere mai stato così nervoso in vita mia. E poi i primi giorni sono stati strani e i giorni successivi… bè, lo sono stati ancora di più. E non importa quante canzoni avessi scritto per lei e quanto avessi fantasticato sul momento in cui saremmo finalmente stati insieme… alla fine è andato tutto male e non so spiegarmelo.”

Venerdì, anche se in realtà era già sabato mattina, passeggiamo fino a Rosenthaler Platz. Lo guido io perché lui non conosce le vie, anche se io l’avevo avvisato che in quella zona di Berlino mi perdo sempre, anche dopo quattro anni, ed è un po’ imbarazzante come cosa.
“Credo che capisci di essere a Berlino da un tempo considerevole quando, uscendo dalla metro a Rosenthaler Platz azzecchi l’uscita più vicina al posto dove devi andare.”
“Noi dobbiamo andare là, vero?”
“Sì, infatti l’uscita per il Kim Bar è la più semplice perché basta seguire le indicazioni per Brunnenstrasse e il Kim Bar è proprio di fianco.”
Al Kim Bar non ci mettevo piede da mesi e comunque riconosco metà degli avventori. La cosa che mi mette tristezza, però, è vedere le impalcature sulla facciata del civico 183. Hanno cominciato i lavori e la gigantesca scritta che tanto mi piaceva non si legge più.
Ci passavo davanti spesso, quando avevo tempo e passavo le domeniche a passeggiare per Berlino facendo foto con la mia Canon.

Quando passeggiavo per Berlino facendo foto con la mia Canon ascoltavo gli Electric President e la mia canzone preferita parlava di dieci migliaia di linee. Sono quelle che ti partono dalla pancia quando fai progetti bellissimi perché hai voglia di farli, perché sai che sono realizzabili o almeno quello è quello che la pancia ti dice.

Un altro giorno torno anche a Wedding, dopo mesi. Era un posto dove andavo quando la mia vita era diversa, perché a Berlino le cose cambiano sempre velocemente.
Io e la mia amica siamo in un bar e ci raccontiamo gli ultimi mesi, perché ci vediamo solo saltuariamente e c’è sempre tanto da raccontare.
“…e poi mi ha detto che si è innamorato di una ragazza francese.”
“E ci pensi ancora?”
“Ma sì, un pochino ci penso. Ma sono solo invidiosa, non sono gelosa, perché se c’è una cosa che ho imparato l’anno scorso è che siamo tutti ugualmente fantastici e quindi di sicuro lei non è meglio di me. E neanche peggio di me. Probabilmente è fantastica, come me!”
Alla fine io le dico che sono contenta che le cose, tutte le cose, siano andate come sono andate. Che tutto sommato non importa che sia finita, con lui, perché quando stavamo insieme stavamo insieme sul serio.

Che non importa tanto se le cose alla fine non vanno come le si era programmate all’inizio, se l’incontro che si era aspettato per tanto tempo non va come previsto, se il giorno della festa sul prato piove, se il regalo che hai comprato si rompe, se la casa che avresti voluto occupare per sempre viene sgomberata, se Berlino cambia. La cosa più bella è la sensazione di possibilità che si prova.

A volte penso che la nostra storia sia rimasta là, dentro quel supermercato. Eravamo andati a fare la spesa per smettere di pensare a quello a cui stavamo pensando, e poi ad un certo punto ero tornata ad essere triste e mi ero fermata, mentre camminavamo tra i reparti tenendoci per mano e gli avevo detto: “Ma non avremo mai tempo per fare tutto quello che volevamo fare!”
Che è un po’ quello che provavo quando passavo per Brunnenstraße e leggevo quelle scritte enormi che dicevano “Resteremo tutti qui!” e invece non è rimasto nessuno.

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Chissà come si dice “gurken” in inglese.
Scritto da verdeanita il febbraio 5th, 2013 | Leave a comment

Ieri, sulla strada verso il lavoro, mi sono posta interessanti questioni. Mancavano venti minuti all’inizio del mio turno, ovvero mancavano dieci minuti al momento in cui avrei dovuto accendere il computer perché all’inizio del mio turno devo essere già loggata in tutti i programmini vari. Avevo ottanta centesimi e non sapevo cosa comprarmi da mangiare (e dove soprattutto, perché come facevo a prelevare e procacciarmi del cibo in dieci minuti?). Così cominciai a pensare:
“Ma che ho mangiato la settimana scorsa a pranzo?”
“Ah, sì! Hummus e cose di pasta con la feta dentro. Ma l’hummus mica l’avevo finito. Che l’abbia abbandonato nel frigo dell’ufficio?”
“Ma dopo così tanto farà schifo.”
“Ma no, non l’hai messo in frigo. L’hai messo nella borsa per portarlo a casa, ricordi?”
“Oh, sì! Cavolo, ma a casa non ci è mai arrivato!”
“Oddio, che schifo, è ancora nella borsa?”
“Non può essere ancora nella borsa, me ne sarei accorta, dai”
“Ah, ma l’hai mangiato, non ti ricordi?”
“Ah, me lo ricordo! Ma perché ne ho un ricordo così vago?”
“Forse perché eri sbronza? Dai, con cosa l’hai mangiato?”
“Con un cetriolo!”
“Un cetriolo?”
“Sí, un cetriolo ed ero al bancone di un bar!”
Così sulla via verso al lavoro mi sono tornati in mente dettagli buffi della serata di giovedì, cominciata alla pizzeria di Rosenthaler Platz e finita aspettando l’autobus notturno a Rosenthaler Platz.
Poco prima ero dentro al King Kong Klub, il dj era particolarmente malleabile e io e Karin eravamo riuscite a farci mettere tutte le canzoni della nostra gioventù.
E prima ancora ero al Kim Bar e forse avevo ancora il cetriolo e l’hummus in mano (il cetriolo, giuro, non so da dove fosse spuntato, fatto sta che con l’hummus ci stava divinamente) quando era partita “Kicked in the sun” e io avevo scritto a Michele “We’re special in other ways”.
Era già tardissimo e non sono sicura che l’abbia ricevuto, più che altro non sono neanche sicura di essere riuscita a spedirlo.

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