La mia vita violenta
Scritto da verdeanita il dicembre 21st, 2007 | 5 comments

Ci terrei a narrare le gesta della mia vita violenta, come l’ha definita Miguel. Fanno parte di una certa goduriostià ginnasiale. E io amo sentirmi giovine.
Giunsi domenica pomeriggio nella città dei portici, vidi un mezzo concerto dei Mam, bello come al solito, ma formato da sole sei canzoni estremamente spaccose, e non degnai minimamente d’attenzione il libro di Macroeconomia (l’amabile Krugman-Weels, a cui dovrei dedicare un post per descriverne la bellezza).
Mi svegliai lunedì mattina, beandomi della mia ignoranza, e giunsi alle 11 a Viale Berti, per fare l’esame da vera cazzona.
La sera mi recai a Painoro, in provincia di Bologna, dove riempii il mio stomaco di gustose e abbondanti pietanze nonché di una considerevole quantità di vino. Mi intrattenni con il mio amico Pavu di fronte al fuoco, parlando di Meganoidi, Belle and Sebastian e Rosolina Mar. Mi addormentai su una poltrona. Mi sveglia alle 6 e appresi che le mie accompagnatrici se ne erano tornate a casa, lasciandomi dormire. Fui felice di questo. Ma un po’ preoccupata, perchè alle 11 mi attendeva l’ultima lezione di batteria dell’anno e nel mio corpo sonno, vino e caffè lottavano fra di loro, e mi impedivano un uso appropriato delle mie facoltà psico-fisiche.
Tornai a casa e, vestita com’ero, mi gettai sul letto. Dormii meno di un ora, e giunsi in via Polese in uno stato mediamente confusionario.
Ci fu una prima parte della lezione, quella in cui imparo a destreggiarmi sul rullante, in cui non capii molto.
Poi ci fu una seconda parte, quella in cui uso un po’ tutta la batteria, in cui scoprii la mia parte cattiva. Imparai che il vino mi faceva dare dei bellissimi colpi sulla grancassa.
Tornai a casa e mi cibai, perchè ero in uno stato decisamente pietoso. Con in treno delle tre e mezza tornai a Verona.
A Verona non c’era nessuno, e quindi non intendevo restarci molto.
Mercoledì mattina decisi di andare a trovare Alex a Venezia. Partii presto, perchè sapevo che la sua casa non era allegra e che quindi non avrei potuto dormirvi.
Venezia è splendida. Me ne resi conto solo quel giorno.
In passato l’avevo visitata più volte, ma sempre con quello spirito da turista che non permette di capire veramente una città.
In quella città infatti, questa volta c’erano volti amici ad attendermi in fondo al binario.
Ho girato per le calli non per recarmi in piazz S. Marco, ma per recarmi a casa di Alex. E poi ho visto l’accademi di Belle Arti e ho atteso Alex mentre era a lezione, girando i corridoi, tra quadri, gente che pitturava o suonava, disegni improbabili e sculture falliche.
C’era anche Matteo a Venezia e approfittai della mia permanenza in laguna per salutare anche lui.
Casa di Matteo, l’enorme casa di Matteo che probabilmente presto sarà anche casa di Alex, si trova vicino all’ospedale di Venezia.
L’ospedale di Venezia è meraviglioso e non sembra neanche lontanamente un ospedale.
A casa di Matteo stava per svolgersi una tipica cena veronese, con polenta e lesso con la pearà. Fui invitata a restare per cena. E io accettai volentieri, a patto che oltre alla cena mi venisse offerto anche un divano o un materasso per passare la notte.
E così fu.
Alex se ne tornò a casa a tarda serata, a piedi , ovviamente, perchè a Venezia non esistono macchine o biciclette, ma solo i piedi.
Io dormii su un materasso e mi svegliai alle nove.
Matteo mi portò in giro per Venezia, mostrandomi angoli meravigliosi che sfuggono al giro turistico.
Verso mezzogiorno presi un lentissimo treno regionale (Grisignano di Zocco! Prossima fermata Grisignano di Zocco!).
Alle tre mi stabilii definitivamente a Verona.
Ora qui me ne starò, fino al prossimo esame.
Note:
1. I Rosolina Mar sono il mio gruppo preferito del mese.
2. La mia vita 2.0 ha raggiunto il culmine e in un momento di insoddisfazione ho realizzato il mio twitter.
3. Sono cosciente del fatto che questo post è scritto con i piedi, ma volevo parlare della mia permanenza lagunare e delle altre cose, e sono cose che vorrei ricordare e raccontare, ma la mia capacità di scrivere è inversamente proporzionale alla mia volontà di narrare determinati eventi. Chiedo quindi perdono.
4. Sì, il titolo è uguale al disco dei Blonde Redhead, ma io devo ancora ascoltarlo.

 Venezia

5. Questa foto risale al mio penultimo viaggetto a Venezia, l’ho scattata con la mia Canon F-1 che non usavo da un anno e che ho riesumato proprio in occasione di questa trasferta. L’ho riempita con un HP-5 tirato a 1600 ASA.
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She fell in love with the drummer
Scritto da verdeanita il novembre 28th, 2007 | 2 comments
Entrare nello stanzino delle batteria e trovarvi una Gretsch non è cosa da poco, anche se lo stanzino non è la casetta di legno nota ai più come Lou Fai ma il garage in via Polese dove ogni settimana passo un’oretta della mio tempo in modo particolarmente appagante.
Suonare la batteria può cambiare la tua vita: devo colpire la cassa come se fosse un vitello morto e quando do l’accento sul rullante devo darlo con più ignoranza e durante le lezioni, di Macroeconomia o Scienze dell’Amministrazione I, devo tenere la penna come se fosse una bacchetta, devo fare con la mano destra le cose che generalmente faccio con la sinistra e devo battere per terra il piede destro perchè non ho forza sul charleston e quindi devo allenare quel muscolo che ho ignorato per tutta la vita.
I piatti della batteria che uso a Bologna sono bellissimi.
La batteria della Lou Fai ha dei piatti Pearl, marca che notoriamente non produce piatti. E questo dovrebbe bastare per rendere l’idea.
Per questo motivo non mi scandalizzo se i batteristi che condividono con me la sala prove non si portano i loro. Io non sono particolarmente gelosa dei miei piatti.
E quando giro la batteria, rendendola mancina, il mio crash/ride in crisi di identità si incastra tra la parete e il freezer obeso ed è scomodissimo da suonare.
Questo fine settimana non tornerò alla Lou Fai, e quindi farò esercizi su quel coso di gomma che fa rimbalzare le bacchette.
Ci sono un paio di concerti interessanti questo fine settimana. Uno, in paricolare lo attendo da parecchio.
Non c’entra in realtà, ma esattamente un anno e un giorno fa ero a Milano con il Giovane Sonico Miguel.
E un concerto come quello di quella sera difficilmente mi ricapiterà.
Ma ieri, invece di commemorarlo con Miguel, passando la notte alla Lou Fai a mangiare pizza fredda e a comporre la nostra "I Heard You Looking", mi sono ritrovata a parlare dei Sonic Youth con un mio compagno di facoltà.
Mi parlava di quello che stava accadendo in piazza Castello durante ‘Cross The Breeze perchè io, sinceramente, durante ‘Cross The Breeze non ero in grado di capire cose stesse accadendo sul palco.
Questo fine settimana non tornerò a Verona, perchè effettivamente è uno sbatti tornare ogni volta, anche se sono solo due ore.
E poi ormai a Bologna ci sto bene.
E non devo vergognarmi a dire che l’anno scorso non stavo bene, perchè era così per molti, anzi, era così per tutti.
E tutto questo era normale, perchè eravamo tanti, e prima non ci eravamo neanche mai visti, ed è tutto normale: litigare, provarci, provare antipatie e simpatie. I nostri sono tutti rapporti umani che partivano dallo zero assoluto.
E qualcuno dice che le fa piacere quando mi incazzo e dico "Porca Merda" invece di tirare qualche bestemmia.
Non so come farò nel secondo semestre, senza il corso di Inglese.
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Il grande amplificatore Marshall e l’asta storta del charleston
Scritto da verdeanita il settembre 28th, 2007 | 4 comments

Sto cercando di capire cosa mi piaccia di più: fare concerti, organizzarli o andarci.
Ma credo che “Organizzali” stia sopra tutti (anche perchè spesso permette di fare le altre due cose). La mia casetta in campagna ogni tanto diventa Woodstock.
Mi piacciono le scritte Marshall o Pearl. E ogni volta queste scritte si moltiplicano e sono applicate su amplificatori sempre più grandi, o sulla mia batteria (mia, mia, mia).
Mi piace immensamente chiedere ai gruppi di suonare, disegnare il volantino, invitare la gente e poi dire ai Musicanti: “Venite alle sei per il sound chek”. [Quanto bello è dire “Sound Check”?]
E vedere gli amplificatori che si spargono per il prato con le casse, il mixer e i cavi.
E la casetta di legno che si riempie di bassi, chitarre, tromboni e flauti traverso.
E abbandonare il mio Crash/Ride in crisi di identità in cucina, per sostituirlo con dei veri Crash e dei veri Ride.
E la sera che cala e le lucine sfigate sparse per il campo che si accendono.
E poi la gente che arriva, che è sempre tanta, sempre diversa.
E infine la musica che si espande per tutta la valle.
Sabato, per primi, hanno suonato i Camera Stilo. C’era ancora poca gente e io per un po’ mi sono occupata di persone che arrivavano e di casse di birra. Però “Brick is Red” me la sono ascoltata con gusto.
Poi hanno suonato i Jokers e come al solito non mi hanno deluso. Mi hanno commosso. “Cross-eyed Mary” vorrei sottolineare.
Mi aggiravo per il pubblico in estasi, in preda alla mia consueta ansia da prestazione. “Come sono?” “Come va?” “Ti diverti?”. E le risposte erano sempre positive.
I Jokers sono bellissimi. Faranno impazzire le ginnasiali. Dovrebbero farle impazziere. Ma di ginnasiali rockettare ne sono rimaste poche. Io, in ogni caso, sarei impazzita.
E probabilmente, sono impazzita.
Dopo i Jokers, gli Elicotrema, il gruppo “serio” (ed è già il secondo gruppo serio che suona a casa mia). Bravi anche loro. Non ho seguito la loro esibizione con grande attenzione perchè ero finita nella trappola alcolica da loro tesa, ma mi sono piaciuti più delle altre volte, e ho sentito commenti positivi anche da chi generalmente non apprezza quel tipo di musica.
La cosa estremamente goduriosa di questa festa è stata che il chitarrista degli Elicotrema, nonchè mio capo scout, ad una certa ora (le tre e mezzo di mattina) è stato da me costretto ad accompagnarmi a casa. Ho quindi lasciato ai Musicanti il compito di riportare la mia casa ad un livello socialmente accettato di decenza.
Da questa festa ho inoltre imparato che i trentenni non sono molto diversi dai sedicenni: anche loro non riescono a comprendere la funzione di un cestino, anche loro non riescono ad aprire una lattina senza aver finito quella che stavano bevendo prima, anche loro non riescono a stabilire un livello di alcol tale da renderti barcollante ma non vomitante, anche loro ad una certa ora cominciano a ballare in mezzo alla gente che suona, ma loro in più non riescono neanche a reggersi in piedi, così da precipitare addosso alla mia adorata Pearl.
Ho un charleston storto.
Ma nonostante questo è stata una bella serata. Non ci riesco ad arrabbiarmi e a dire “basta stronzi, ora niente più concerti”. Mi sono troppo divertita. E poi sono cose che metto in conto. L’ultima volta ci avevo rimesso un paio di bacchette, quella prima un tavolo e quella prima un paio di sedie. Ma cosa mi importa?
Forse ho veramente trovato una cosa che mi piace fare?

“Detouring America With Horns” – Yo La Tengo
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