Vorrei una casa per i miei oggetti
Scritto da verdeanita il luglio 17th, 2012 | 6 comments

Una cosa che mi sta un po’ sulle palle di me stessa è che mi viene molto più facile scrivere quando sono depressa e malinconica e non quando sono radiosa ed esplosiva. Tipo adesso ho una marea di cose belle da raccontare, perché l’ultimo mese è stato incredibile, e temo che non troverò mai il tempo per farlo. Ci sono concerti, nuovi edifici abbandonati (nella foto una vecchia fabbrica del ghiaccio a Berlino), gente che è venuta a trovarmi, tanti concerti, tante persone nuove, posti che fino ad un mese fa non avrei saputo collocare su una cartina e che ora vorrei visitare, partenze, tanti treni, auto, dormite in posti scomodi, record polverizzati, festival. Di tutto. Forse non avrò mai tempo per raccontarlo ma, cara Anita Del Futuro, ricordati che il tuo quasi ultimo mese a Berlino prima di partire per Belgrado è stato fighissimo (e anche stressante, perché in mezzo a tutto c’erano le lezioni, le cose da scrivere, il lavoro).

E sì, ho prenotato tutti i voli e l’8 agosto me ne vado a Belgrado per due mesi e mezzo, così, forse per la prima volta nella mia vita, terrò fede ai famosi buoni propositi per l’anno nuovo che di solito vengono dimenticati nel giro di qualche settimana.

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Il cellone
Scritto da verdeanita il marzo 27th, 2012 | 1 comment

foto di Giulio Callegaro

Come posso cominciare? Sono tornata a casa a Verona da una settimana e ancora non ho trovato il tempo di raccontare lo scorso fine settimana.
Comincerò con un posto, un posto che non esiste più. Un posto che, nonostante tutti i posti abbandonati che abbia visto finora, restava il più incredibile di tutti. La stanza più incredibile dentro l’edificio più incredibile.
Ci entrai una volta sola, l’estate scorsa. A causa della scarsa luce non riuscii a scattare nessuna foto, ma non era importante, perché nessuna foto sarebbe riuscita a trasmettere l’emozione e lo stupore che provai entrando dentro quello che era chiamato “il cellone”.
Nella Stazione Frigorifera Specializzata sono da poco ripresi i lavori dopo anni di inutilizzo. Quando vi entrai, l’estate scorsa, la Stazione Frigorifera Specializzata era quindi rovinata. Le pareti erano grigie e scrostate, le porte arrugginite, i pavimenti pieni di buchi e il tetto in alcuni punti era crollato. Quando entrai nel cellone mi sembrò di entrare in un altro universo. Mi pareva di essere su un altro pianeta. La stanza era enorme e dalla forma irregolare. Le pareti si curvavano per adattarsi alla forma dell’edificio. Un paio di colonne si ergevano in mezzo alla stanza. Per entrare eravamo scesi per una rampa. Non entrava luce dall’esterno e tutto, dalle pareti alle colonne, passando per il soffitto, tutto era coperto di alluminio. E tutto era perfettamente conservato e contrastava in modo quasi surreale con le altre stanze che cadevano a pezzi. Il suono era diverso, la luce era diversa. Avevo visto le foto di quel posto, ma entrarci e camminarci attraverso con i miei piedi e i miei occhi mi parve una cosa tutta nuova e impossibile da descrivere. Pareva che il tempo in quella stanza si fosse fermato. Era tutto luccicante, freddo e perfetto. Pareva intoccabile, pareva immortale.
Ma la settimana scorsa i lavori sono ripresi e quella stanza, che pareva destinata a restare immobile e a non invecchiare mai, è stata distrutta.
Quando mi è arrivata la notizia ho ripensato a quanto fosse bella, a quanto fosse indescrivibile e a quante volte, nonostante questo, ne avessi parlato a tutti i miei amici e a quando avrei desiderato portarceli ad uno a uno, per farli scendere lungo quella rampa e per poi sentire i loro versi di stupore, come era successo a me. E ho sentito del vuoto in fondo allo stomaco.
E ancora ho pensato a come quella stanza, che pure era vuota e immobile, mi aveva emozionato. E ho pensato poi a tutte le persone che quella stanza l’avevano riempita e vissuta e mi sono sentita ancora peggio.
Così, senza dire niente, senza un progetto approvato, senza un annuncio sui giornali, in silenzio, senza un ricordo, quella stanza è stata cancellata.
Mi dispiace, ma mi ripeto che non importa. Che l’importante non è il vuoto, ma quello che il vuoto lo riempie.

Sul sito di Interzona abbiamo creato (o meglio: Davide ha creato) una pagina dove chiunque può lasciare un messaggio e un ricordo che riguarda il cellone. Io ho guardato le foto e mi sono ricordata che, e questo è buffo, la prima volta in assoluto che vidi il cellone era nel video di “Acidoacida” dei Prozac+ e avevo 11 anni.

Oltre alle foto Giorgio ha caricato un video della serata “Cento Bombe”. E’ stata l’ultima serata dentro la Stazione Frigorifera Specializzata e aveva suonato un sacco di bella gente, dagli Uzeda ai Giardini di Mirò.

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La mia vita violenta “Wien and posti abbandonati” edition
Scritto da verdeanita il marzo 19th, 2012 | 5 comments

Detta anche Bewegung, detta anche “Äpflel gibt es auch in Wien“. Più semplicemente gli eventi salienti degli ultimi giorni.

Foto di Daniele

I treni
I treni battono gli aerei, mi dispiace. Anche se sono lenti e ci mettono ore interminabili ad arrivare dall’altra parte. All’andata mi sono gustata tutti gli edifici abbandonati che si vedono lungo i binari vicino a Dresda. Mi sono persa nei miei pensieri guardando lo scorrere di un fiume enorme. Ho parlato con un padre dolcissimo tra Praga e Brno. E poi al ritorno ho scritto tanto, parlato, guardato il fiume di nuovo.

Il Danubio
Il Danubio non è come l’Arno, che spacca Firenze a metà, non è come l’Adige, che abbraccia Verona dolcemente, non è come i fiumiciattoli di Bologna che sono un po’ ridicoli, diciamocelo, non è come la Sprea e i suoi canali che spuntano dappertutto in mezzo alla città. Il Danubio è grande ma per vederlo devi andare fuori dal centro e io l’altra volta non l’avevo visto. Così un pomeriggio ho preso la metro e ci sono andata e per un’ora ho passeggiato lì intorno e non c’era freddo ma non c’erano i colori vivaci della primavera. C’erano locali ancora vuoti e palazzi di vetro. Era esattamente quello che volevo vedere.

Il revival liceale
Io e Lamberto non ci vedevamo da circa due anni e ci siamo incontrati sui binari della stazione di Thaliastraße e siamo andati a mangiare in un locale turco di Brunnengasse. Abbiamo parlato di un sacco di cose, forse anche troppe, perché ogni discorso si diramava in diecimila direzioni e io e lui abbiamo due opinioni completamente diverse, quindi ogni parola andava discussa. Abbiamo anche parlato del Maffei e di quel tempo strano che era il liceo.
Il giorno dopo al Leopold Museum ho trovato il manifesto di Fillmore che avevo usato per fare un manifesto di un concerto. L’avevo anche regalato ad Alex quando era partito e l’avevo ritrovato appeso nella sua casa di New York.

Il WUK di Vienna VS il Tacheles di Berlino
Cosa può diventare una vecchia fabbrica di locomotive? La risposta è „praticamente tutto“. Bettina, una ragazza che avevo conosciuto in Estonia l’anno scorso, ha mostrato a me e a Daniele tutte le stanze di questo centro culturale di Vienna. Atelier, sale per esposizioni, una sala per teatri e concerti, laboratori per il legno, il ferro, le biciclette. E anche una scuola per bambini. Tutto felicemente occupato dalla metà degli anni ottanta.
Le dimensioni e la presenza di tutti quegli atelier e laboratori mi hanno fatto venire in mente il Tacheles di Berlino, di cui proprio mercoledì notte si paventava la chiusura. E mi ha dato un po’ fastidio, questa somiglianza. Perché il WUK, pur senza contratto, è riuscito a costruire uno spazio bellissimo, pulito e funzionale. Il Tacheles, che ha avuto un contratto per anni, ha ancora le pareti sporche che puzzano di piscio. Comunque una delle prime cose che ho fatto al mio ritorno a Berlino è stata andare a controllare che tutto fosse a posto e sì, lo era. Compresi tutti i banchetti che vengono i souvenir hippy peace and love volemmosebenne. Sono anche entrata in una stanza che non avevo mai visto, dove stavano facendo una performance musicale. Una stanza bellissima, grande e decorata con degli stucchi ormai distrutti. Io al Tacheles voglio bene, in qualche modo, anche se a volte mi sembrano troppo legati ad un ambiente alternativo che è troppo poco (o per niente) costruttivo. Anche al WUK c’è gente così, che si lamenta perché hanno cambiato il sistema di serrature perché toglie libertà. Posizioni radicali e inutili. Poi lo so che dentro queste associazioni c’è gente che ci crede davvero e che quasi piange durante le interviste. Detto questo concludo dicendo che le case e le cose occupate sono bellissime.

Le persone che incontri a caso dopo anni in altre parti d’Europa
L’ultima sera a Vienna siamo andati a mangiare. Io, Daniele, Melanie e il suo ragazzo e un’altra ragazza che avevo conosciuto nel 2009 quando ero andata a trovare Meni a Bruxelles (anche lei insieme al ragazzo). Ho parlato abbastanza agilmente in tre lingue ed era veramente bello pensare a tutti i giri di tempo e spazio che ci avevano fatto arrivare tutti lì.

Teufelsberg
Sabato sono finalmente andata a Teufelsberg con Daniele. Era una torre radio americana in mezzo a Grunewald, che con la metro si raggiunge in mezz’ora. Un posto abbandonato, ovviamente. Per entrare bastava trovare un buco nella recinzione (un gioco da ragazzi, per usare una frase fatta). Dentro era tutto vuoto, tutto distutto, tutto ricorperto di cocci di vetro di bottiglie di birra. Un posto utilizzato per rave, grafitti, fuochi. C’era un sacco di gente e tutti avevano una macchina fotografica al collo perché la vista che si vedeva da lì era apocalittica e splendida. Era una bella giornata ma c’era quella nebbiolina grigia tipica delle grandi città che ricopriva tutto il bosco. Probabilmente tutte le foto che abbiamo fatto esistono in quantità enorme sulla faccia di questa terra, come quelle della Torre Eiffel. Fatto sta che vedere questo ciclista che, seduto sul cemento armato, si affacciava sul niente è stata un’immagine che difficilmente mi toglierò dalla testa.

Il sottile confine tra la noia assoluta e l’interesse sconfinato
Ovvero i miei ultimi libri. Uno sulle occupazioni nella DDR (non erano occupazioni politiche e neanche di necessità. Era una cosa un po’ a casaccio di cui forse un giorno vi parlerò) e uno sulla storia della SED che ho comprato al Tacheles per due euro (perché non so quasi niente della DDR. Vabbè, forse più di voi, ma comunque poco per una politologa come me).

“Äpflel gibt es auch in Wien“
La frase che ho ripetuto di più in questi giorni è stata “Vuoi una mela?”. Preoccupata dal lungo viaggio ne avevo portate in grande quantità e Meni mi ha fatto notare che c’erano anche a Vienna. Sono poi rimaste nella mia borsa e mi hanno ristorata durante miei lunghi giri.

E ora ho tre giorni per riposarmi perché giovedì si parte di nuovo.

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