Le Luci della Centrale Elettica + Supergonzo @ Emporio Malkovich
Scritto da verdeanita il marzo 3rd, 2008 | 4 comments
Il primo marzo metto per la prima volta piede all’Emporio Malkovich che scopro essere il posto più trascendentale e meraviglioso dell’universo subito dopo la casetta Lou Fai.
Sembra, ed in effetti è, ricavato dalla taverna dei regaz/butei.
La tessera associativa ha le sembianze di una Polaroid.
La infilo contenta tra la tessera Arci e quella di Interzona e comincio a perlustrare il locale, accompagnata dall’Amico Matte e dalla sua coinquilina Bea, entrambi ancora poco convinti, nonostante le mie rassicurazioni che Le Luci della Centrale Elettrica siano in realtà una sola persona.
La serata si apre con l’esibizione incerta di un gruppo denominato Supergonzo (e solo il nome basta a terrorizzarmi).
Ancora sospetto che i componenti di codesto gruppo siano cugini del fratello del gestore, perché solo questo potrebbe spiegarmi la loro presenza sul palco. Per tutto il tempo in cui mi rimangono davanti nella mia testa campeggia una sola parola: perché?
Perché suonano con un passamontagna nero in testa? Perché hanno deciso di suonare tutto questo? Perché sono tornati sul palco se erano usciti tutti e tre? Perché non ho comprato una batteria gialla?
Dopo mezz’ora di completa perplessità, Vasco compare sul palco.
E comincia. E mi piace ancora come ad agosto.
Mi piace quando usa il delay sulla voce e così sembra che sul palco siano in tanti e dice "Noi siamo Le Luci della Centrale Elettrica". Mi piace quando per annunciare le canzoni dice "Questa canzone parla più o meno delle stesse cose delle altre". Mi piace quando urla, da solo, in mezzo a tutta la gente che lo ascolta in silenzio. E mi piace quando parla della Coop e della precarietà, di macchine, fumo e fanali. E quando parla di ospedali maggiori e piazze verdi e di una qualunque tangenziale. E senti la provincia che si dimena dentro quelle parole e pensi che vorresti scriverlo sui muri "trasformiamo questa città in un’altra cazzo di città".
Mi chiedo se l’abbia fatto per tenersi calmo il cervello da tanta rabbia, di lasciare Ferrara per andare a Milano.
Perché quando sto a Bologna il mio cervello è molto più attivo ma anche molto più rilassato di quando sto a Verona.
Percepisco la mia nascente bolognesità snob durante il dopo-concerto, mentre nell’aria scorre una playlist che avrebbe esaltato la me stessa degli anni più ottimisti.
La me stessa di adesso, quella snob e un po’ stronza, che passa dalle spillette alle magliette dei Jethro Tull con aria di superiorità si chiede semplicemente: con quale criterio sono poste queste canzoni? Cosa lega i Beatles, Rock’n’Roll dei Led Zeppelin, una delle tante canzoni tutte uguali di "Rooms on Fire" degli Strookes, la summa del socialismo tascabile che è "Robespierre" degli Offlaga Disco Pax e una canzone dei Franz Ferdinand?
Nella mia testa penso che ci avrei messo "Oxford Comma" dei Vampire Weekend o una dei Los Campesinos! o anche quella ballabile sui Joy Division dei Wombats.
E in questa che dovrebbe essere una ventata di freschezza mi sento appassita. E stronza.
Comincio ad osservare i manifesti appesi e torno perplessa. Perché gli Offlaga Disco Pax, dentro quel meraviglioso posticino, ci potevano anche stare. Ma quando comincio a leggere Low o Jens Lekman la cosa comincia a puzzarmi di cialtroneria. Bello, per carità, ma possibile?
Il dubbio mi rode così tanto che appena tornata a casa, controllo.
E mi accordo che in fondo, tutto ciò è possibile. Jens Lekman ha veramente suonato all’Emporio, il 22 aprile 2005, mentre io ero a Istanbul, per la cronaca.
Sono proprio una stronza a disprezzare così la mia piccola Verona. Sono io che non la conosco tanto bene.
Categories: diario dalla camera oscura | Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , |