La prima sera che si stava bene solo con il cardigan
Scritto da verdeanita il maggio 7th, 2012 | 6 comments

The first evening you could wear just a cardigan

(Scritto qualche giorno fa) Questo pomeriggio ho indossato il vestito con il miglior rapporto stupidità / prezzo del mio guardaroba e sono andata ad Hermannplatz a prendere la Bongio, il che era un tragitto un po’ stupido, visto che poi siamo tornate nella mia direzione, dividendo una bottiglia di birra. La nostra destinazione era il Kater Holzig, per la festa dei cinque anni del Luzia, un bar su Oranienstraße teatro dei uno dei miei tanti fallimentari appuntamenti con uomini di nome Stephan. Una specie di serata super hype per la gente che ama ballare. L’ingresso costava la bellezza di 12 euro e c’era pure la selezione. Io sfruttai un momento di distrazione del pirla che stava all’ingresso ed entrai senza sganciare un centesimo.
Io amo ballare? Credevo di sì, ma in realtà riesco a ballare solo la musica che piace a me e che conosco, a meno che non si tratti di elettronica particolarmente bella.
A Berlino c’è tutta una serie di locali dove l’ingresso costa 10 euro o poco più (che credo sia comunque molto poco, rispetto a quello che si paga in altre capitali) e di solito pago il biglietto senza lamentarmi. Ma non per ballare: per guardare l’edificio.
Il Zur Wilde Renate, ad esempio, è praticamente dentro un condominio e ci sono un sacco di stanze. Il Sysiphos è un vecchio magazzino per mangimi. Il Berghain una vecchia centrale elettrica. Il Kater Holzig una vecchia fabbrica di sapone.
Tutti questi posti sono arredati con lo stesso stile, più o meno. Ho motivo di credere che una volta lo stile “berlinese” fosse: divani e sedie di tipi diversi, un po’ rotti e un po’ stilosi. E questo era cool.
Una vola che questo è diventato lo standard lo stile “berlinese” è diventato un’accozzaglia colorata di oggetti molto kitsch. Grandi cornici dorate, grandi specchi, grandi lampadari, manichini, addobbi, festoni, grappoli di lampadine colorate. I posti che vedo sono più o meno tutti così.
Il fatto è che a me piace andare in questi locali ma il più delle volte passo dieci minuti a ballare in ogni stanza, bevo due birre, vado in bagno ed già comincio ad annoiarmi.
Questa sera, ad esempio, l’arredamento era molto bello e  molto colorato ma l’atmosfera non mi piaceva per niente e la musica nemmeno.
Verso le dieci me ne sono andata.
Avevo fame e mi sono diretta al baracchino di currywurst all’angolo di Kopenicker Straße. L’uomo dietro al bancone aveva tutti i capelli bianchi ed era amabile. Un currywurst con il panino costava solo un euro e settanta e fu la mia cena. Lo amai per dei prezzi così socialisti, nonostante quello fosse l’unico baracchino nel giro di qualche centinaio di metri e di conseguenza l’unico posto dove la gente che ama ballare sia probabilmente solita cibarsi.
Mentre tornavo alla metro passai davanti al Tresor, che è un’altro di quei posti dove andrei solo per l’edificio. Questa sera c’era un’altra stanzona aperta, con un’installazione gratuita di Ryoji Ikeda, ad ingresso gratuito ed aperta fino alle dieci. Ho salito delle scale di metallo e sono entrata in questa stanza enorme e buia, con tante colonne bianche. Un edificio che probabilmente è molto simile ai magazzini di fianco ad Interzona che presto saranno demoliti.
Dopo una manciata di minuti il posto doveva chiudere, e mi sono quindi diretta alla fermata Heinrich-Heine-Straße, che è una fermata dove non si scende mai, perché sta in posto di confine tra Est ed Ovest dove ci sono solo uffici e Plattenbau e qualche Club. Tutti i miei amici con i quali andavo in cerca dei club, però, mi hanno sempre fatta scendere a Jannowitzbrucke, ovvero una fermata più in là. Il fatto è che quella nei paraggi di Heinrich-Heine-Straße è una zona dove non si va mai a passeggiare, dove le case sono grandi, dove non ci sono negozi. E la gente non la conosce bene e pensa quindi che la via più breve sia un’altra.
La stazione di Heinrich-Heine-Straße si è chiamata Neanderstraße fino al 1960. Quando la città era divisa si trovava nella parte est e divenne una delle tante “stazioni fantasma”: l’ultima fermata ad ovest era quella di Moritzplatz, dopodiché il treno proseguiva al buio e senza fermarsi, saltando sei stazioni, fino a Voltastraße.
L’atmosfera di stazione fantasma si sente un po’ ancora oggi: l’insegna fuori da due entrate è una vecchia U di plastica. Un’altra entrata ha delle vetrate ormai opacissime, che non vengono sistemate da anni.
Non è una fermata turistica, non è una zona di rappresentanza, non è una zona dall’alto valore estetico. E’ abbandonata a sè, e va bene così.

Si muove, si muove tutto e sono soprattutto le persone a farlo. Gli edifici, invece, rimangono fermi. E capita quindi che le strade e i palazzi si trovino nel posto sbagliato: una strada enorme e vuota, una vietta piccola sovraffollata, una stazione della metro enorme senza che ciò serva, due parti di città che a volte paiono ancora divise.

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