Everything is soft. Everything is clear.
Scritto da verdeanita il novembre 23rd, 2008 | 1 comment

Ero davanti al primo binario e aspettavo un treno diretto a Parigi. Ero seduta per terra, appoggiata ad un cartellone pubblicitario, e scrivevo, con un pennarello verde a punta grossa, dei versi di una canzone sul mio blocco per appunti. Erano circa le nove e mezza e io ero da sola. Qualcuno stava per arrivare, ma non avevo nulla di particolare da fare. Allora, visto che avevo bisogno di un consulto psicologico, decisi di chiamare uno degli ultimi personaggi che era comparso i miei racconti.
La sera prima, davanti a quello che era forse il quinto bicchiere di spritz (che sicuramente era il quinto bicchiere, e poco probabilmente era spritz) parlavo con le mie amiche usando un sacco di nomi nuovi e Mara, che era a Bologna perché aveva perso un aereo, aveva richiesto un veloce riassunto della mia vita. E il personaggio che stavo per chiamare, davanti a quel binario, mentre aspettavo il treno che avrebbe riportato Mara a Parigi, ne era uscito in modo abbastanza fondamentale e divertente. Così, lo chiamai, per salutarlo e basta. Fu una telefonata molto breve, tipo sette secondi, tipo sono in Norvegia e ti succhio tutti i soldi ci sentiamo quando torno. E forse era esattamente quello che volevo sentirmi dire.
Poi, quando il treno con Mara dentro è partito, e quando siamo rimaste io e Irene, sono andata con lei nell’atrio della stazione e abbiamo letto le frasi deprimenti che parlano di viaggi scritte sulle vetrate, e lei ha proposto di sederci sul marciapiede della fermata dell’autobus. Io ho detto, nono, prima ho bisogno di un caffè, e poi, se dobbiamo parlare, andiamo all’ultimo binario, e guardiamo i treni che passano. E siamo rimaste un po’ lì, ma non tanto.
Erano le dieci e mezza e potevo scegliere di andare a schiantarmi su uno dei divanetti del Locomotiv e ascoltare il concerto in cui dovevano suonare i Fake P ma alla fine non ci suonavano e per questo dovrei dargli un pizzicotto a testa, altro che bacio. Invece, visto che in quella breve telefonata non avevo ricevuto consigli, decisi di darmeli da sola e proposi a Irene di andare a casa sua a guardaci un film. C’era freddo ma c’eravamo fatte un tè caldo. Il Rocky Horror Picture Show l’ho visto ottomila volte da sola, altre ottomila volte in compagnia e ben due volte dal vivo. La seconda era al Locomotiv e le coinquiline non capivano perché fossi uscita di casa con una pistola ad acqua, un giornale, una confezione di riso e un rotolo di carta igienica.
Comunque, il problema è che mi sono sempre concentrata sulla prima parte e non ho mai colto il reale significato della seconda, quando Frank sta andando a casa e dice che ha distribuito carte del dolore e carte della sofferenza.
Mi sono data delle regole e devo cercare di rispettarle. Le ho scritte su un foglietto giallo.
E ho imparato che i viaggi a caso sono belli uguali, che siano a Parigi o a Mirandola.
E che i miei sogni spezzettati sono divertenti, perché si dividono tra Istanbul e Finale Emilia, e per me vogliono dire più o meno la stessa cosa.

 

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