Politica Spicciola
Scritto da verdeanita il febbraio 26th, 2010 | 7 comments

A me dispiace per il Partito Democratico, poveretto, che da me, finora, ha avuto solamente un voto ad una primaria, due euro e tanta pietà.
A me dispiace per il Partito Democratico e l’unica cosa che gli devo è il fatto che in lui ho ritrovato svariati elementi riconducibili al “Cartel Party” teorizzato da Katz & Mair che mi ha permesso di inculcarmelo per bene in testa mentre ripassavo l’esame di politica comparata nello stanzino microfilm del dipartimento di storia.
Il fatto che il Partito Democratico mi ricordi il Cartel Party non è un complimento, ma, anzi, una cosa terribile. Il Cartel Party è forse pure peggio di un partito di destra xenofobo e razzista o di un partito personalizzato. Se il Partito Democratico fosse effettivamente riconducibile ad un Cartel Party potrebbe essere definito anche “il partito dei finti tonti”.
Il Partito Democratico si comporta in modo idiota, ma mi pare un’idiozia talmente precisa da essere calcolata.
Io non credo di essere un’abile stratega di comunicazione politica e vattelapesca, ma non mi ci è voluto un grande spremimento di meningi per capire una cosa che è impossibile che il Partito Democratico non abbia capito.
Il popolo italiano è stupido, ignorante, non legge, non sa le lingue, neanche la propria, non conosce il funzionamento costituzionale dello stato, e non lo conoscono nemmeno le persone che questo stato lo fanno funzionare, non ha rispetto per le istituzioni, anche perché sono le stesse a non farsi rispettare, non ha identità precisa, che sia linguistica, gastronomica, letteraria o cinematografica. Ma soprattutto, appunto perché è ignorante, ha paura. Ha paura di cose tipo perdere il lavoro, perdere la casa, non riuscire ad arrivare in tempo in un posto perché il treno è in ritardo, non riuscire a pagare le tasse perché il modulo è incomprensibile, non riuscire a far recapitare una lettera perché le poste non funzionano, eccetera.
Da questo nascono due cose: uno stupido e improduttivo individualismo, che porta a comprarsi e usare a sproposito la macchina per non usare i mezzi pubblici, a non timbrare il biglietto sull’autobus perché costa meno una multa dell’abbonamento e altre cose stupide che messe insieme fanno un colossale schifo, e, seconda cosa, a catapultare tutte queste paure su cose a caso tipo gli stranieri, i terroni, i giovani drogati e i comunisti mangiabambini.
E su queste paure sceme si costruiscono grandi e piccoli imperi. L’ha fatto Hitler, come la Lega, come Berlusconi.
Sarebbe sì bello poter cambiare le cose facendo precipitare un carico di libri da Roald Dahl ad Hannah Arendt sulla testa di tutti, trasmettere i documentari della BBC al posto del Grande Fratello, mettere i Pavement o i Massimo Volume al posto di Laura Pausini o trasformando le macchine in biciclette. Ma ovviamente non si può. O perlomeno il processo per farlo è molto più lento.
E senza usare stupidi e subdole bugie, basterebbe cercare i voti che servono anche in quella fascia di popolazione impaurita, invece che rassicurare sulle proprie indefinite posizioni quelli speranzosi che ancora vi votano, perdendo comunque quell’elettorato che aspetta da voi posizioni un po’ più… no, semplicemente delle posizioni.
E quindi miei cari amici del PD, ritenete più efficace, per carpire la gente che ha paura, un bel manifesto con un tizio di fianco ad una macchina della polizia che urla “sicurezza” o una faccia pulita che dice cose in ostrogoto tipo “meno precari” (lo so che non è ostrogoto, ma la gente usa la parola precario solo perché la sente al tg, non perché sa cosa significa) e poi “un’altra italia”?
Ma la gente non la vuole un’altra Italia!! Alla gente va bene questa, o meglio (ma qui il discorso è già complesso) appunto perché l’Italia in senso culturale, come dicevo prima, non esiste, come può essercene un’altra?
E ancora, come apprendo adesso, che senso ha appoggiare una manifestazione come lo sciopero degli stranieri, che non fa altro che allontanare i voti degli impauriti?
La cosa di per sé sarebbe anche sensata e giusta e buona, ma non avrebbe più senso, prima che appoggiare una cosa che può facilmente giocare a sfavore, perché sembra che un partito appoggi proprio quelli che disturbano l’ordine pubblico, appoggiare cose come le manifestazioni del popolo viola, o urlare a squarciagola la nefandezza della prescrizione del processo di Mills, così da conquistare almeno quella parte di elettorato che ha paura, sì, ma di qualcosa di definito?
Il Cartel party, per tornare all’esempio iniziale, è un partito che oramai è una macchina interna allo stato. Non ha paura di perdere la competizione elettorale, che poi è regolata da leggi elettorali che si fa da solo, ma neanche di vincerla: il partito è solo interessato a mantenere quelle quattro poltrone in parlamento che gli permettono di sopravvivere. Una schifezza insomma.

Non c’è conclusione, ma se ancora non vi siete annoiati, la storiella del Cartel Party l’ho spiegata meglio negli appunti di Politica Comprata, che pari pari incollo:

Il modello di partito cartel party, teorizzato da Katz e Mair nasce dall’idea che il rapporto tra partiti e società sia di tipo dialettico e che il partito di massa sia solo uno stadio dell’evoluzione permanente dei partiti.
Il loro cartel party rappresenta uno stadio in cui il rapporto tra partito e stato raggiunge la simbiosi.
Le fasi di evoluzione dei partiti vengono ridotte a tre:
1.    i partiti di quadri o di notabili, identificabili sia nella società civile che nello stato
2.    i partiti di massa, collegamento tra società civile e stato
3.    i partito come intermediari tra Società civile e stato
In seguito al mutarsi di questo rapporto i partiti sono stati costretti a cercare risorse, rivolgendosi ad esempio allo Stato, per ricevere finanziamenti.
In breve, lo stato, che è invaso dai partiti, e le sue regole, che sono determinate dai partiti, diventano una fonte di risorse attraverso cui tutti i partiti non solo contribuiscono ad assicurarsi la sopravvivenza, ma possono anche rafforzare la loro capacità di far fronte alle minacce di nuove alternative apparse sulla scena. Lo Stato diventa una struttura istituzionalizzata di sostengo, che agisce a favore di chi è dentro ed esclude chi è fuori. I partiti diventano agenzie parastatali.
Le sfide che pone alla democrazia sono:
–    il fatto che i partiti non devono più trasmettere domande allo stato e questo diventa compito dei gruppi di interesse;
–    la competizione che diventa limitata, i programmi uguali.
Per via dei Cartel Party la politica diventa autoreferenziale e la democrazia si blocca, non vi è più progresso o cambiamento ma solo stabilità.

Ora torno alla tesi. Stamane ho incontrato Tosi al bar. A parte il travaso di bile e la tentazione di urlargli il mio odio sono sicura che la cosa mi porterà fortuna.

(la foto sopra è presa da Wittgenstein)
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Mr. Penguin, Giovanni Sartori e il sistema elettorale australiano
Scritto da verdeanita il settembre 6th, 2007 | 6 comments

Una volta odiavo Mr. Penguin. Lo ritenevo un essere spregevole e privo di sentimenti.
A scuola si notava per il suo abbigliamento particolarmente distinto, che al contempo incuteva un certo timore.
I miei rapporti con Mr. Penguin migliorarono leggermente quando cominciai a frequentare il Corso di Teatro del Liceo Bicentenario. Il Corso di Teatro aveva infatti la capacità straordinaria di far andare d’accordo i tipi umani più diversi.
L’anno seguente ci candidammo entrambi come rappresentanti d’istituto. Si svolsero in quel tempo numerose cene di socializzazione tra Liste Serie, coalizzatesi contro le Liste Stupide. Lo conoscevo ormai abbastanza bene per poter discutere amabilmente di politica scolastica, ambito in cui ci trovavamo abbastanza d’accordo (quando le nostre discussioni si aprivano a nuovi orizzonti lui usava zittirmi dicendo “ATEA, COMUNISTA!” e io ribattevo urlandogli “CAPITALISTA, BORGHESE, IMPERIALISTA, SIGNORE DELLA GUERRA, SCHIAVISTA, BASTARDO FASCISTA!”).
Poi Mr. Penguin si diplomò, ma non abbandonò il Liceo. Continuò invece ad aggirasi lì intorno e lì dentro.
Così facendo si attirò le antipatie di tutti i liceali che non capivano perchè mai fosse ancora lì quanto tutti loro desideravano unicamente e ardentemente abbandonare le mura bicentenarie.
Io, in mezzo a tanto odio, sentivo di volergli bene, perchè lo sapevo che anche io sarei stata come lui. Infatti imparai in seguito che cinque anni di studi classici, più che trasmettermi amore per la cultura o apertura mentale, mi avevano fatto irrimediabilmente ammalare di Sindrome di Stoccolma.
In ogni caso gli studi universitari di Mr. Penguin mi aiutarono durante la maturità.
Passammo una serata nella mia terrazza a bere coca-cola calda, rimembrando gli eventi storici del ‘900.
L’anno seguente mi diplomai anche io e diventammo colleghi: entrambi studenti di Scienze Politiche.
Ci divertimmo, durante l’anno, a fare battute di cui solo noi potevamo ridere e a organizzare simposi per ex-studenti del Liceo Bicentenario. Durante l’estate intrattenemmo una breve e colorata corrispondenza cartacea tra Londra, Verona ed Avesa.
Ora ci battiamo perchè in Italia venga introdotto un sistema elettorale di tipo australiano.
Quando scoprii che Giovanni Sartori avrebbe tenuto un incontro al Festival Letteratura di Mantova gli inviai un gaio messaggio di invito.
L’evento N. 5, cioè quello di Sartori, venne però preso d’assalto su internet e un’ora dopo l’apertura delle prenotazioni risultava già esaurito.
Ma noi decidemmo di andarci lo stesso.
Mi recai a Mantova ieri pomeriggio, due ore prima l’inizio dell’evento. Nel mio zaino avevo un blocco per appunti, un registratore mp3, una bottiglietta di te alla pesca, un sacchetto di plastica con dentro cinque pere da poco raccolte dall’albero della sala prove (la mia bucolica sala prove a cui dedicherò un post appena possibile) e due monetine da due euro per pagarmi la conferenza (che invece mi fu poi gentilemente offerta). Cercai solingamente piazza Castello, mi fiondai nella coda degli sbigliettati e attesi pazientemente il mio collega che stava giungendo direttamente da Rimini. Mr. Penguin arrivò di lì a poco.
Mentre la coda si allungava dietro di noi e il sole ci cuoceva dolcemente, notammo, molto dispiaciuti, di essere l’unica presenza giovane. Il pubblico under-25 era praticamente assente e la piazza si riempì presto di persone che avevano dimenticato già da un bel po’ di aver varcato la soglia degli “anta”.
Andammo a salutare Giovanni Sartori, con la stessa faccia tosta di quando strinsi le mani ad Ira Kaplan.
Le uniche parole che mi rivolse furono “male, male” anche se calate all’interno di una conversazione abbastanza insignificante.
La conferenza fu assai piacevole. Gli studi classici e politici si resero utili ripetutamente durante la conferenza (riuscii a prendere appunti usando anche l’alfabeto greco e il mio cuore ebbe un piccolo balzo quando sentì parlare di “Legge Ferrea dell’Oligarchia”, facendomi tornare in mente l’orrendo libro arancione del Prof. Pasquino).
Sartori litigò con Canfora che vedeva una minaccia in Aristotele, ammise pubblicamente di essere un elitista, fece molte battute divertenti e quindi non fece altro che consolidare la mia stima nei suoi confronti.
Io e il mio collega fummo però molto delusi quando alla domanda “Quale sistema elettorale potrebbe risolvere i nostri problemi?” rispose banalmente “Un doppio turno alla Francese”. Ma tutto sommato ce ne andammo soddisfatti.
Mr. Penguin mi concesse un passaggio fino alla mia dimora. Lungo la via del ritorno mi allietò con i suoi particolari gusti musicali (dagli Aqua alle Spice Girl, passando per Max Pezzali). La collezione di dischi di Mr. Penguin meriterebbe un post a parte poichè brilla di originalità e completezza. Ma questa è un’altra storia.

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