Astronauti, sociologi e gatti: appunti da #rp15
Scritto da verdeanita il maggio 11th, 2015 | 2 comments
Il primo giorno di re-publica ho annunciato che sarei fisicamente sparita nell’internet per tre giorni e questo è il modo più simile al vero per descrivere quello che è successo. Non saprei come definire in altro modo questa specie di conferenza che riesce a spaziare tra i temi più vari mantenendo comunque un filo conduttore: la società digitale.
Era il quarto anno di fila che partecipavo. I biglietti erano, come sempre, particolarmente esosi, il che è cosa perfettamente normale vista la qualità dell’evento, il fatto che non sia per niente commerciale e l’assenza di fastidiosi sponsor, ma io, da brava squattrinata, ho deciso di fare come negli anni passati, ovvero di lavorare una giornata e ricevere in cambio l’ingresso alle altre due. Va benissimo così.
Anyway, ecco i punti principali di questi tre giorni:
IL PRIMO GIORNO
Il primo giorno mi sono quindi dedicata a distribuire cuffie ai palchi più piccoli, stupendomi di quante persone tornavano indietro dicendomi che la cuffia era rotta quando in realtà il volume era solo troppo basso: dal pubblico di un evento del genere mi sarei aspettata una maggiore dimestichezza con la tecnologia.
Nonostante fossi obbligata a rimanere impostazione, e non abbia quindi scelto i talk da seguire, ho sentito un sacco di cose interessantissime. Il talk più bello è stato quello dedicato ai fashion blog e al femminismo: “Empowerment by Fashion: Feministiche Mode im Netz”. Era poco più di una carrellata su diversi blog e hashtag usati per rivendicare che ognuno può vestirsi come vuole, indipendentemente dalla forma del suo corpo, dalla sua fede religiosa (vedi outfit con velo), dal suo genere sessuale e così via. Ispirazione a bizzeffe e tonnellate di pregio.
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L’ESA
Il secondo giorno sono arrivata 15 minuti in ritardo ad un talk di cui ho immediatamente perso il filo. Frustrata da tutto ciò ho buttato un occhio al cellulare e notato che l’agenzia spaziale europea stava twittando proprio da re-publica.
Mi sono quindi catapultata allo Stage 4, dove stavano raccontando della sonda Rosetta. Nello specifico stavano raccontando di come l’atterraggio sulla cometa sia stato presentato attraverso i social media (perché parlare dell’atterraggio in se non era già interessante?!). Anche se sono arrivata alla fine è stato bellissimo.
Poi mi sono detta: “Ehi, forse l’ESA farà anche degli altri talk oggi!” e BAM! ho scoperto che di lì a poco avrebbe parlato un astronauta.
Il talk di Alexander Gerst, tornato da pochi mesi dall’ISS, è stato in assoluto il più bello di tutta re-publica. Semplicissimo, divertente, interessante e commovente. Credo di essere stata più volte sull’orlo delle lacrime: quando ha parlato di fenomeni naturali visti dallo spazio, quando ha mostrato quanto è insignificante quel puntino blu che è la terra vista da Saturno, quando ha sottolineato che ci vogliono anche più astronaute donne e quando ha risposto alle intelligentissime domande dei bambini.

I BAMBINI
Durante il talk di Alexander Gerst la prima fila è stata riservata ai bambini e anche le domande sono in buona parte arrivate da loro. E poco prima avevo assistito ad un talk dove i bambini stessi spiegavano come usano internet e i motori di ricerca (“So suchen Kinder im Internet”). A parte la mega invidia per la loro abilità di usare i verbi separabili, la cosa più bella è vedere l’importanza che gli veniva data e la professionalità con cui gestivano il pubblico e rispondevano alle domande. Vedere tutti questi incoraggiamenti era incoraggiante a sua volta.
Insomma, quanto è figo avere 11 anni e stare sul palco a rispondere a degli adulti che ti chiedono cose sui tuoi interessi?
E poi, quando una bambina ha chiesto ad Alexander Gerst se avesse scoperto qualcosa sui buchi neri, lui ha risposto che i buchi neri sono ancora troppo pericolosi e lontani per essere studiati, ma che forse in futuro sarà possibile e che se vuole potrebbe dedicarcisi proprio lei. DITE ANCHE VOI QUESTE COSE AI VOSTRI BAMBINI.

BIG DATA, PRIVACY E ZYGMUNT BAUMAN
Re-publica è stato il luogo dove ho cominciato a pensare alla marea di informazioni che immetto (e immettiamo) quotidianamente dentro l’internet. Probabilmente qui sono nate molte delle riflessioni che mi hanno portata a chiudere Facebook. E anche quest’anno sono capitata (a caso) ad un talk che ne parlava. E bum, aiuto.
Non è tanto il fatto che si possano raccogliere tante informazioni su di noi a far paura. Fa più paura il fatto che queste informazioni abbiano un valore di cui non ci rendiamo neanche conto e che sui nostri status su Facebook c’è chi guadagna un sacco di soldoni. E fa ancora più paura pensare che il raccogliere e vendere queste informazioni sia regolato da pochissime leggi.
A coronare il tutto è arrivato Bauman, che ho finalmente visto di persona e che mi ha trasformata in una vera #fangirl. Se gli altri talk sul tema sono condotti per lo più da attivisti pirati cattivi, questo ne parlava in una visione più ampia e mi ha fatta riflettere molto sul fatto che sì, per alcuni versi sia raccapricciante, ma che l’internet è anche uno dei miei posti preferiti e che mi ha fatto conoscere tante persone adorabili. E dove posso esprimermi al meglio come individuo.
Il punto è che ancora mi sta bene che alcuni miei dati vengano raccolti, fin tanto che sono sicura che le decisioni che prendo con i miei click sono solo mie e non manovrate da un qualche algoritmo basato sui miei dati. Spoiler: non sono sicura.
Con questi sentimenti nel cuore me ne sono andata al talk successivo.
MUSICA E BIG DATA
Il talk successivo mi ha fatto venire la nausea. Proprio un bel mal di pancia. Sostanzialmente si parlava dei soliti big data e di come questi vengano usati nell’industria musicale. Il fatto che mi sia fisicamente sentita male è segno che a questa cosa ci tengo davvero e ho deciso quindi di prenderlo per un buon segno.
Si parlava di come i dati sull’ascolto e la presenza sui social siano indicatori non solo del successo di un artista (visto che ormai le vendite degli album fisici, ma anche quelle degli mp3, non sono assolutamente indicative degli ascolti o della fama di un gruppo), ma anche un fattore importante (per non dire fondamentale) nella scelta di metterlo sotto contratto, più del famoso “istinto di pancia”, che una volta era fondamentale.
A parlare erano rappresentanti di grandi etichette, quindi gente su un livello completamente diverso dal mio. Purtroppo però certe riflessioni le facciamo quotidianamente in ufficio e l’attenzione ai social network occupa una grandissima parte del nostro lavoro.
Pensare però che il servizio X di streaming possa farmi piacere un gruppo Y basandosi sui miei ascolti precedenti tramite un algoritmo che non tiene minimamente conto di cose per me fondamentali come il contesto culturale in cui un gruppo si muove mi ha fatto sentire terribilmente vuota.
Tutto ciò meriterebbe un post a parte.
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ALTRE COSE
40% di speaker donne. Spazi per i bambini (non solo alle conferenze, ma anche con aree gioco in mezzo ai vari stand). Altissima partecipazione di persone con difficoltà motoria. Persone in completi eleganti seduti di fianco a gente con i capelli arcobaleno. Era bello vedere che stavamo tutti bene.
Rispetto al primo anno, quando mi aggiravo solitaria, quest’anno ho incontrato un sacco di facce conosciute, tra qui gli organizzatori del Torstraßenfestival (che è uno dei miei festival preferiti), svariati compagni di università e altra gente. Bello.

E un’altra cosa carina era uno stand decorato con i lucky cat cinesi che fanno su e giù con la zampina, la cui faccia era però stata sostituita da quella di Grumpy Cat.
L’internet è un posto bellissimo.

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Re:publica
Scritto da verdeanita il maggio 10th, 2012 | Leave a comment


A volte penso che twitter sia la cosa migliore dell’intenet. E che gli hashtag siano la cosa migliore di twitter.
Qualche mese fa, seguendo l’hashtag della protesta a favore dello Schokolanden avevo cominciato a seguire un paio di profili tedeschi che mi sembravano interessanti. Grazie ad uno di questi avevo scoperto il festival re:publica. Alla prima occhiata al sito avevo avuto un sussulto di gioia perché sembrava la cosa più anitosa che avessi mai visto.
Il mio sussulto di gioia si era spento subito alla vista dei prezzi dei biglietti. Gli early bird, già esauriti, costavano 90 euro. Non vi dico quelli normali. Disperata smisi di pensarci e una settimana ancora esultai di nuovo vedendo che cercavano volontari. “Auf jeden Fall!” fu la prima cosa che pensai.
Che poi non è solo per il biglietto gratis che si fanno queste cose, ma anche perché, se ad una cosa del genere devi andarci da sola, fare la volontaria ti permette di avere una funzione in quel luogo e di non girare con lo sguardo preso per tutto il tempo. In dono ricevetti anche una maglietta con scritto “Actionist!”, visto che il motto di quest’anno era “Action!”
Ma che cos’era, sostanzialmente?
È un po’ difficile da dire… un festival? Un insieme di conferenze? Un meeting? Era un po’ tutto questo e anche i temi erano vari, anche se il filo conduttore era internet, i blog, i social network e la loro influenza sulla società. Le varie conferenze, o meglio Vortrag ovvero “discussioni”, riguardavano la politica, l’economia, l’ambiente delle startup, l’istruzione, la privacy. Erano cose assai diverse tra loro, multidisciplinari ed interessantissime. Quelle che ho seguito io riguardavano: i cambiamenti che le tecnologie possono produrre a livello urbano (tipo, già ascoltando la musica con l’iPod si crea un ambiente tutto diverso o il fatto che grazie ad un computer portatile smartphone un parco di può trasformare in un ufficio), i servizi si musica in streaming tipo Spotify, Soundcloud e altro e il loro essere in bilico tra legalità e illegalità e poi un altro sull’uso di internet da parte dei musicisti, una riflessione sul movimento Occupy e le sue differenze e analogie con altri tipi di protesta e infine un incontro sull’uso dei blog da parte delle insegnanti e come questo influisca sull’educazione (e questi sono solo quelli che ho seguito per intero, perché poi ho saltellato da un Vortrag all’altro).
Il cervello spento ed il cervello acceso
La cosa un po’ blöd* di tutto questo era che quella settimana lì avevo cominciato il mio nuovo lavoro, a cui voglio tanto bene ma che non richiede grandi capacità critiche. La mattina il mio cervello era qui sopito e abituato ad azioni meccaniche e ripetitive, al pomeriggio invece esso esplodeva in pensieri vorticosi e variopinti come stelle filanti.
Lo spazio e le persone
La sede di questa cosa bellissima era la vecchia stazione della posta di Kreuzberg e già solo per l’edificio avrei potuto dare di matto. Era tutto arredato in stile veramente grazioso e “analogico”, in contrasto ai temi super tecnologici. Pensate che i twit relativi al festival venivano stampati e incollati su una grande parete al centro della stanza centrale. I palchi erano ben otto e 3 di essi si trovavano al piano superiore, in mezzo ad un open space dove era possibile organizzare i propri workshop personali su qualunque tema (c’erano tavoli di cartone e post it coloratissimi a disposizione di tutti).

Le sedie

L’altra caratteristica fondamentale dell’arredamento erano delle sedie di plastica coloratissime e leggerissime che, secondo la loro idea, dovevano dare la possibilità ad ognuno di sentirsi comodo ovunque. Perciö si potevano portare di conferenza in conferenza, sulla piazza principale, sul cortile esterno eccetera. Era veramente bello vedere questa massa colorata spostarsi continuamente.
Usare il tedesco in modo formale e svelto
Non è stata solo la conferenza in sé ad essere bella e interessante, ma anche il contesto mi è stato molto utile. Per la prima volta ho dovuto usare il tedesco in modo svelto e con responsabilità, sia quando dovevo cercare una giacca al guardaroba sia quando dovevo spiegare agli Speaker come funzionava il loro accredito e cosa dovevano fare.
Conoscere un po’ di personaggi tedeschi
Potrei paragonare questa conferenza al festival di Internazionale a Ferrara, dove intervengono speaker che sono mediamente conosciuti, tipo Gad Lerner o Tito Boeri. Gente di cui si sente spesso il nome sui giornali o in televisione. Ecco, qui i vari speaker erano conosciuti più o meno allo stesso livello, solo che essendo loro tedeschi e non avendo io mai avuto questo tipo di rapporto con la cultura tedesca (non ho la televisione e non leggo molto i giornali) non conoscevo quasi tutti i loro nomi. Ciò ha causato episodi divertenti, tipo un tizio che mi si è presentato al banco accrediti e che ho trattato come un perfetto sconosciuto chiedendogli di ripetermi il cognome quindici volte per poi scoprire che era il capo dei Pirati al parlamento di Berlino.
I capelli colorati
Sascha LoboLa fauna che popola certi eventi ha spesso tratti in comune. Ai festival di musica ci vanno gli hipster, ai festival di cinema ci vanno giornalisti ed intellettuali, ecc. Che gente andava invece a questo tipo di evento? Potremmo dire che ci andavano i punk nerd, ovvero un nuovo tipo di individuo con idee politiche verso il piratesco e l’anarchico e con una passione per internet e tutto quello che ci gira intorno. Non ho mai visto tanta gente con i capelli colorati tutta assieme. E non sto parlando solo di capelli blu o verdi. C’erano bellissime creste rosse (come quella di Sascha Lobo, altro personaggio chiave dell’evento di cui prima ignoravo l’esistenza) ma anche lunghi capelli che sfumavano dal viola all’azzurro, tagli corti metà gialli e metà arancioni. Insomma, un tripudio di divertenti colorazioni a caso.
Sentirsi al proprio posto
Spesso, anche in un posto che mi piace abbastanza, mi trovo a disagio con la fauna circostante. Ad esempio, come vi dicevo l’altra volta, nonostante la bellezza del posto mi trovavo a disagio con la gente del Kater Holzig . Anche al Berlin Festival mi ero un po’ sentita a disagio. Qui invece non mi sono mai sentita a disagio. Mi sono sentita proprio in un posto a cui in qualche modo appartenevo, come mi succede allo Schokoladen o alla Route du Rock.
Il mondo che ci creiamo e il mondo che viviamo
Ad un certo punto, durante una conferenza, hanno citato Joe Strummer e l’hanno fatto senza spiegare chi fosse. E ho pensato che forse, in un contesto appena diverso, tipo una conferenza all’università, molte persone avrebbero potuto chiedersi “Ma chi è questo? Che ha fatto nella vita? Suonava in un gruppo, e allora?”. Era bello avere la certezza di essere in un posto dove le persone condividevano lo stesso background.
Poco dopo, però, ad un’altra conferenza hanno chiesto di alzare le mani a chi conoscesse Bandcamp e se ne sono alzate solo una piccola parte. Eppure eravamo ad un Vortrag sulla musica online, ed eravamo ad una conferenza nerd! Com’era possibile? Allora ho pensato a quanto in realtà sia enorme il mondo e a quante cose ci siano da scoprire, anche da persone che magari ci sembrano identiche a noi e che magari nascondono una conoscenza vastissima in un campo completamente diverso.
E ora?
E ora devo cercare di mettere in pratica non solo gli insegnamenti generali, ma anche i mille spunti particolari che mi sono stati dati. Tipo le mille idee che mi sono venute per Soft Revolution, sia a livello organizzativo che per temi riguardo agli articoli. Ma anche al fatto che questo evento mi ha un po’ ricordato l’autogestione del liceo, quando finalmente si diventava protagonisti per tre giorni e a come spesso queste occasioni mancano e che quindi sarebbe bello organizzare in Italia una cosa del genere, alla Casetta o forse anche ad Interzona.

Era una conferenza sul web 2.0 e non funzionava la w-lan. Ma è stato bellissimo lo stesso.

*traduciamo come “fastidiosa”

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