Caelum, non animum mutant, qui trans mare currunt
Scritto da verdeanita il luglio 5th, 2009 | 2 comments

Ro vive in una casa vicino alla nostra facoltà. Qualche settimana fa anche Irene si è trasferita da lei. Ci sono tre stanza singole, un bagno blu e una cucina verde. Così, adesso che due mie care amiche vivono insieme, sono da loro molto spesso. Come ieri sera, ad esempio. Avevo chiesto a Irene se le andava di accompagnarmi ad un concerto e lei aveva detto di sì. Così ero arrivata a casa loro alle dieci, ma lei non era ancora vestita. Mi sedetti in cucina a guardare la TV con Ro (che non stava tanto bene e non aveva voglia di uscire).
Gettai uno sguardo sul tavolo e dissi:
“Oh, avete comprato Internazionale. Non ho ancora letto l’oroscopo. E’ stata una giornata pessima, chissà che dice.”
“Perché?”
“Adesso vi racconto. Ma prima sapete di cosa avrei bisogno?”
“Di una canna?”
“No, di un bicchiere di vino bianco fresco fresco da frigo”. E così dicendo tirai fuori dalla borsa una bottiglia di Custoza, fresco fresco da frigo.
Il vino fu accolto da urla di giubilo e fu immediatamente aperto e versato in bicchieri forse non proprio adeguati.
“Sono andata a fare colazione alle Scuderie, con Francesco. E non è stato molto bello.”
E poi giù con parole a caso, sempre le stesse da mesi.
“Comunque non è questo il punto. Ero agitata e inquieta e non sapevo dove andare a studiare. Perché devo assolutamente studiare in questi giorni.
Sono passata in facoltà a salutare chi c’era, e c’era solo Maurizio. Ho pensato di andare a S. Giovanni in Monte ma è completamente deserto e mi mette angoscia. E poi, comunque, in qualunque posto fossi andata, sarei tornata a casa dopo dieci minuti, perché ero troppo inquieta. Sapete, avevo bisogno di andare in un posto distante, un posto senza distrazioni…”
“E quindi dove sei andata a studiare?”
“Alla biblioteca comunale di Ferrara”.

oh, You and Ferrara.

Alla fine ricordo che sono finita ai giardini Margherita, sdraiata per terra con Irene. Avevamo finito il vino e, non so come, lei era riuscita a prendere un Martini e una Sambuca per soli tre euro e ottanta (tutti gli spiccioli che avevamo).
“Manca il limone, cazzo.”
“E pensa che me l’aveva chiesto e io nono, grazie, niente limone”.
“Ehi” dico io “guarda come si muove velocemente quella stella”.

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Everything is soft. Everything is clear.
Scritto da verdeanita il novembre 23rd, 2008 | 1 comment

Ero davanti al primo binario e aspettavo un treno diretto a Parigi. Ero seduta per terra, appoggiata ad un cartellone pubblicitario, e scrivevo, con un pennarello verde a punta grossa, dei versi di una canzone sul mio blocco per appunti. Erano circa le nove e mezza e io ero da sola. Qualcuno stava per arrivare, ma non avevo nulla di particolare da fare. Allora, visto che avevo bisogno di un consulto psicologico, decisi di chiamare uno degli ultimi personaggi che era comparso i miei racconti.
La sera prima, davanti a quello che era forse il quinto bicchiere di spritz (che sicuramente era il quinto bicchiere, e poco probabilmente era spritz) parlavo con le mie amiche usando un sacco di nomi nuovi e Mara, che era a Bologna perché aveva perso un aereo, aveva richiesto un veloce riassunto della mia vita. E il personaggio che stavo per chiamare, davanti a quel binario, mentre aspettavo il treno che avrebbe riportato Mara a Parigi, ne era uscito in modo abbastanza fondamentale e divertente. Così, lo chiamai, per salutarlo e basta. Fu una telefonata molto breve, tipo sette secondi, tipo sono in Norvegia e ti succhio tutti i soldi ci sentiamo quando torno. E forse era esattamente quello che volevo sentirmi dire.
Poi, quando il treno con Mara dentro è partito, e quando siamo rimaste io e Irene, sono andata con lei nell’atrio della stazione e abbiamo letto le frasi deprimenti che parlano di viaggi scritte sulle vetrate, e lei ha proposto di sederci sul marciapiede della fermata dell’autobus. Io ho detto, nono, prima ho bisogno di un caffè, e poi, se dobbiamo parlare, andiamo all’ultimo binario, e guardiamo i treni che passano. E siamo rimaste un po’ lì, ma non tanto.
Erano le dieci e mezza e potevo scegliere di andare a schiantarmi su uno dei divanetti del Locomotiv e ascoltare il concerto in cui dovevano suonare i Fake P ma alla fine non ci suonavano e per questo dovrei dargli un pizzicotto a testa, altro che bacio. Invece, visto che in quella breve telefonata non avevo ricevuto consigli, decisi di darmeli da sola e proposi a Irene di andare a casa sua a guardaci un film. C’era freddo ma c’eravamo fatte un tè caldo. Il Rocky Horror Picture Show l’ho visto ottomila volte da sola, altre ottomila volte in compagnia e ben due volte dal vivo. La seconda era al Locomotiv e le coinquiline non capivano perché fossi uscita di casa con una pistola ad acqua, un giornale, una confezione di riso e un rotolo di carta igienica.
Comunque, il problema è che mi sono sempre concentrata sulla prima parte e non ho mai colto il reale significato della seconda, quando Frank sta andando a casa e dice che ha distribuito carte del dolore e carte della sofferenza.
Mi sono data delle regole e devo cercare di rispettarle. Le ho scritte su un foglietto giallo.
E ho imparato che i viaggi a caso sono belli uguali, che siano a Parigi o a Mirandola.
E che i miei sogni spezzettati sono divertenti, perché si dividono tra Istanbul e Finale Emilia, e per me vogliono dire più o meno la stessa cosa.

 

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