Scritto da anita51 il agosto 22nd, 2005 | 2 comments
L’inutilità dei sabati sera estivi.
Si discuteva sull’omologazione della gioventù veronese.
Ci si chiedeva se quei tizi con lo sprintz in mano, fuori dal locale (perchè è questo che rende il locale trendi: l’essere talmente piccolo e strabordante che la gente si riversa nella piazze erbe, nel corso porta borsari o nella via sottoriva di turno) si rendono conto di essere tristemente tutti uguali.
"Probabilmente lo siamo anche noi" dice l’amico Matte mentre pedala di fianco a me per le vie del centro "però almeno cerchiamo di non esserlo"
Perchè, a ripensarci, ci eravamo dati appuntamento alle dieci senza specificare il luogo.
Perchè tanto si sa, che siamo sempre in piazza Dante.
Così, dopo aver ascoltato questo cd su freddi gradini di marmo ci siamo dedicati alla scalata e ci siamo arrampicati sulle colline fino a Castel S. Pietro, più semplicemente chiamato "il castello". Luogo di ritrovo di coppiette stomachevolmente innamorate che io e l’amico Matte ci siamo divertiti a disturbare ascoltando gli Afterhours e urlando a squarciagola le frasi più malefiche.
Abbiamo ammirato un po’ la città dall’alto con tutte quelle lucine traballanti.
Matteo continua a lamentarsi delle varie tipe che non lo cagano.
 
[Penso a Francesco che mi racconta che la carta contrastata, che qui non riesco a trovare, che a Napoli costava due euro, che contavo di farmi spedire, è finita. E non nel senso che ne arriverà dell’altra, è finita nel senso che è finita. Che non ce n’è più. Adesso toccherà anche a lui comprare la carta multicontrast, che costa venti euro a confezione.
Ho riso e l’ho preso in giro. E poi ho detto "Ci aspettano tempi duri".
 
E ripenso a mia madre che mi ricarica il cellulare di 45 euro prima di partire per Dublino e mi dice "fatteli durare". Ed eccomi, sono tornata da poco più di un mese e la ricarica è già finita.]
 
Poi siamo di nuovo scesi in città e la serata è finita sui gradini del municipio, guardando le scenografie dell’opera e mangiando una piadina presa poco prima "da Morgan".
 
Sono tornata anche dalla Serbia.
Rieccomi qui.
 
Il sottofondo: Afterhours – Siam tre piccoli porcellin (acustico)
(gentilmente offerto dall’amico Matte)
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Scritto da anita51 il agosto 5th, 2005 | 1 comment
“Vado in centro”
“Con chi?” mi chiede mia madre.
“Con me” rispondo.
Con me.
 
Ho bisogno di andarci di sola, di starci da sola.
 
Verona e Napoli sono proprio lontane. In realtà l’ho sempre saputo, però vederlo sulla cartina è una cosa diversa.
Ero nella libreria. Il commesso dai capelli rossi non c’era e pensavo che in quel momento proprio non me ne fregava niente.
Cercavo di capire come mai la mia visone dell’Italia fosse così distorta. Forse mi immaginavo Napoli più verso Roma. Oppure l’Italia mi sembrava più corta.
“Perché l’Italia è così lunga?” è una frase geniale che ho pronunciato all’aeroporto di Milano Malpensa.
Ho già sviluppato quattro dei sette rullini che ho fatto in Irlanda.
E mi manca, l’Irlanda, mi manca enormemente.
I mie amici guardano le foto, e indicano, e chiedono, “è lui? è lui?” e poi fanno commenti idioti.
Napoli è lontana e la mia vita è buffa.
Sono due delle mie certezze.
 
In Irlanda vigeva una moda che prevedeva l’andare a colazione scalzi e in accappatoio.
E ovviamente il mercato si è regolato di conseguenza e ha realizzato una serie di accappatoi trendi e fescion. Così ho potuto acquistare un bellissimo accappatoio a pois azzurri per la cifra di sette euri.
 
Lo scopo della vacanza a Dublino era “imparare l’Inglese” ma essendo in un gruppo di soli italiani direi che l’inglese l’ho parlato veramente molto poco (in compenso ho acquisito una parlata che riunisce in se accenti e modi di dire dell’intera penisola e adesso tutti sanno dire: ciunga, butel, a buso, fare berna, sgrendeno, cicca, tranqui e ghiaccio) [Giochino: cercate di scoprire il significato di queste parole e sarete pronti per un viaggio nell’underground veronese!].
Però qualche frase complicata l’ho formulata:
“Posso provare la small della maglietta dei Velvet Underground?”
“Sto cercando questo tipo di batteria.”
“Conosco questa canzone perché l’ha suonata Joe Cocker durante il festival di Woodstock del ‘69”
 
Il clima che si respirava era quello da me definito “clima da orgia” ossia: tutti-sanno-che-tutti-ci-proveranno-con-tutti-e-tutti-ci-staranno-con-tutti-indi-tutti-ci-provano-con-tutti-e-tutti-ci-stanno-con-tutti. Quando all’aeroporto ho confidato questa mia teoria a due ragazze che erano lì vicino, loro si sono subito trovate perfettamente d’accordo nel dire che era una tristezza e che loro nel clima da orgia non ci volevano entrare e quindi abbiamo passato la vacanza insieme. [adesso verranno a Verona a settembre per una vacanza pre-definita cultucazzona].
 
Ho fatto conoscenza con “il popolo di Vasco”.
Chi ha suonato all’Heineken mi aveva messo in guardia: oltre a dirmi che le fan di Vasco mostrano sempre le loro tette, il popolo di Vasco ama solo Vasco.
E io, che mi ero già appropriata delle casse e del lettore cd e che avevo messo su dello ska (Giuliano Palma = nessuna reazione favorevole da parte della gioventù), mi sono sentita richiedere l’amato rocker italiano.
“Metti Vasco Rossi”.
“No!” ho detto (con lo stesso tono di quando l’insegnante di inglese mi ha detto “Jimi Hendrix! Quello dei Led Zeppelin!”).
“Allora Rossi Vasco”.
No, no, e no.
E poi l’ultima sera, il popolo di Vasco canta “Generale”, che non è di De Gregori, è di Vasco, di Vasco e di Vasco.
 
Sono tornata e le zanzare mi hanno mangiato.
Mio fratello ha imparato a suonare “Smoke on the water” e la suona sempre sempre sempre.
Sono andata ad una festa dell’unità dove ho incontrato gente che ha suonato alla mia festa e che era assai contenta di vedermi. E hanno suonato “I Bambini Fanno Oh!” in versione punk.
E hanno suonato senza basso perché il basso è Alex, e Alex è in America.
Sono tornata e non vorrei mai essermene andata. E domani riparto.
Ho comprato due rullini.
Sono pronta.
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