How to survive the Berlin Music Week
Scritto da verdeanita il settembre 11th, 2011 | 1 comment

– Scommetto che non ti è sfuggito che la Berlin Music Week comincia oggi – mi scrive Claes mercoledì sulla bacheca di Facebook. No, non mi era sfuggito. Avevo appunto comprato tip-berlin per la prima volta (uno dei due giornali con scritto tutto, o quasi, quello che accade in città nelle due settimane seguenti) e avevo selezionato accuratemente i concerti tra i diciottomila eventi previsti. La Berlin Music Week per noi comuni mortali non si discosta troppo da quello che a Berlino accade normalmente, ovvero una marea di concerti. Per chi lavoro in ambito musicale c’è anche la possiblità di partecipare alla fiera Popkomm. Io, essendo povera, non potevo. E poi prevedevo di dissipare tutte le mie finanze nell’evento conclusivo, ovvero il Berlin Festival all’aeroporto di Templehof.

La mia Berlin Music Week comincia quindi mercoledì con qualcosa di classico e abituale come una serata allo Schokoladen che prevedeva Bernhard Eder dall’Austria (un classico indiepop barboso, nel senso di “provvisto di barba”) e Kitty Solaris, dream pop berlinese.

Giovedì è invece la volta del Roter Salon per un concerto che stavo aspettando da quando ho rimesso piede a Berlino. Roba che mi ha fatto sussultare di gioia quando ho visto il manifesto sulla Schönhauser Allee. Norman Palm. L’ho scoperto uno dei primi giorni d’ufficio, mentre cercavo musica su Soundcloud (dove infatti è presente tutto l’ultimo Shore to Shore). Al primo ascolto mi ha fatto quasi piangere, e raramente una cosa del genere mi succede. Ho quindi cominciato a spereare in un suo concerto. Travolta poi dalla contentezza ho distribuito link a manciate tra le mie colleghe, trovandone infine una disposta a seguirmi. Prima di lui hanno suonato tre gruppi Miracle Fortress, elettronichetta tunzetta, Einar Stray, che facevano una cosa che mi ha ricordato Get Well Soon, Sigur Rós , Múm e Efterklang (insomma, tutto questo per dire bravi!) e poi tali Kill it Kid, che teoricamente avrebbero dovuto suonare una cosa rumorosa che generalmente mi piace, solo che erano estremamente pallosi. Norman Palm invece è adorabile. Alla fine del concerto sono costretta ad intortarlo capire come portarlo in quelche modo dalle mie parti, magari a Interzona.

Venerdì mi prendo proudly un giorno di ferie, mi preparo con calma e mi dirigo a Templehof intorno alle quattro del pomeriggio. Il posto è meraviglioso. L’atmosfera no. Rimpiango la Route du Rock e i suoi astanti sporchi, felici ed educati (o anche sbronzi, ma comunque simpatici). Qui sembra di passeggiare per Lookbook. Il primo gruppo che mi tocca vedere, poi, tali Austra, se la tirano come pochi altri. I palchi sono tre, divisi in tre hangar. Mi dirigo verso il numero 4, che sarà praticamente il mio unico palco per sabato, e assisto a dieci minuti di Dry the River, gruppo barboso (nel senso di provvisto di barbe, ma anche noioso) prima di rendermi conto che nell’Hangar 5 (ovverò dalla parte esattamente opposta) stava per cominciare Yelle, che poteva essere un po’ più divertente. E infatti lo era. Dopo un’oretta scopro che la sigla di Misfits è opera dei The Rapture, che a parte questo simpatico momento non mi regalano troppe emozioni. Anche i Drums distruggono tutte le mie (alte) aspettative con un concerto smortissimo. Abbandono anche il loro palco per andare a vedere i CSS che sono stati esattamente come me li aspettavo.

Finalmente comincia la parte spezzacuore della serata, che è veramente spezzata in due. Sul palco principale suonano infatti i Battles, che so di poter guardare solo per trenta minuti tondi, prima che sull’altro palco comincino i Clap Your Hands Say Yeah. Fortunatamente riescono a infilare molti dei miei pezzi preferiti, Atlas e qualche brandello di Race in all’inizio del concerto. Fuggo a vedere i CYSY, che non mi spezzano il cuore come pensavo ma fanno comunque un concerto grazioso. Prima di tornarmene già a casa provo a dare un’ultima chance a Screamadelica, che perde definitivamente ogni chance di piacermi. E anche Santigold, era brava ma non spaccava. Una giornata senza infamia nè lode, in pratica.

Sabato comincia già in modo più divertende, con qualche mail produttiva che mi getta comunque nel panico ma mi fa anche capire che devo mandarle lo stesso. Arrivo a Templehof intorno alle tre, e incontro anche Claes fuori dall’aeroporto, che non sa se entrare o meno. Dopo averlo salutato ed essere riuscita a far passare ben tre calorici Twix alla sicurezza (sì, il cibo non era permesso) mi fiondo all’Hangar 4. I primi a suonare sono i Last Days of 1984, gruppo consigliato da Fede, che apprezzo abbastanza. Dopo di loro arriva tUnE-yArDs, ovvero ciò che alla fine mi aveva fatto decidere per l’acquisto dell’esoso biglietto, e fa un concerto assolutamente da panico!

Recupero anche un po’ di amici e finalmente non mi sento più la nerd che va ai festival da sola. Vivo un momento un po’ peinlich quando incontro Florian dei Saroos e mentre gli parlo, dicendoli quanto sia felice di aver chiuso la loro data a Interzona, realizzo che sto indossando la maglietta dei Notwist. Non sembra farci caso. Mi dice di andare a sentire i Mount Kimbie, che in effetti non sono per niente male. Mi guardo anche i Black Angels, tutto sempre nell’Hangar 4.

E non mi devo spostare neanche per l’esibizione seguente, ovvero Pantha du Prince. Questo è il secondo concerto che vale il festival e non solo per la bellezza della musica, ma anche perchè è una cosa molto berlinese, sentirlo a Berlino dentro l’Hangar di un aeroporto vuoto. La parte intelligente del festival va in pausa per un momento. Il festival continua infatti con luci, suoni a palla e vampe di fuoco targate Boys Noize. Già che c’ero. Torniamo poi all’Hangar 4 a vedere i Mogwai.

Alla fine dell’ultimo concerto ci cacciano letterlmente e noi ci infiliamo ad un WG Party noioso come solo pochi WG Party berlinesi sanno essere. Decisi a sfruttare il nostro braccialettino del festival che dovrebbe teoricamente darci accesso a più di 60 Club in tutta Berlino, io e Claes abbandoniamo gli altri e ci dirigiamo verso il Radial System, un posto che adoro e dove teoricamente avrebbe dovuto esserci un party e che invece era chiuso. Cambiamo meta e decidiamo per il Kiki Blofeld, alla sua ultima sera di apertura. Lungo la strada ci si para però davanti una enorme casa vecchia e piena di lucine. Ci intrufoliamo in quello che scopro essere il Kopi 137, uno dei più antichi squat di Berlino. Perlustriamo le sue cantine soffermandoci in quella che manda musica anni ottanta e che ci fa credere che il muro sia appena caduto. Intanto cominciamo a bere Club Mate nella sua versione disco, ovvero corretta con Vodka. I miei piedi erano gonfi e dolenti come potrebbero essere solo dopo 10 ore di posizione eretta passata ad ondeggiare e ballare. Dopo The Shoop Shoop Song cambiamo stanza e finiamo in un bar dove punk esteticamente perfetti cantano vecchie canzoni seduti sul bancone. Sembrava quasi di stare in un covo di pirati. Era tutto bellissimo e mi vergognavo da morire a tirare fuori la macchina fotografica.

Alla fine arrivamo finalemene al Kiki, che mi aspettavo molto più pieno, vista l’imminente chiusura. Era invece mezzo vuoto, e bello. C’era una barca attraccata in mezzo alla pista da ballo, e una mirror ball sopra di essa. Sembrava un posto elegante ormai dimenticato da tutti. Sarebbe stato bellissimo vedere l’alba arrivare lì all’interno, dalle vetrate che davano sulla Sprea. Nonostante fossero però ormai le cinque passate, a Berlino faceva ancora buio, il che vuol dire che l’estate, nonostante la serata calda, è ormai finita (o non è mai arrivata).

Categories: berlin, diary, music |

One Comment

  1. […] (la prima foto viene da Wikipedia, mentre le altre due le ho scattate io al Kiki durante la serata di chiusura) […]

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