Scritto da anita51 il maggio 11th, 2005 | 3 comments
La luce del mattino mi ha visto arrivare davanti a scuola con la mia affezionata bicicletta verde e poi lanciare domande ad Alex.
“Goldoni, Alex! In che anno nasce Goldoni?”
“Anche le date devo sapere…?
“Millesettecentosette, nasce nel millesettecentosette”
“Millesettecentosette, ok. E quando muore?”
“Millesettecentonovantatre”.
“E Parini? Quando nasce Parini?”
Eravamo entrambi preoccupati perché di lì a poco saremmo stati interrogati in Italiano.
Ma perché farsi volontari? Perché dare ai tuoi compagni la possibilità di non studiare quando loro ogni giorno fanno gli stronzi e a scuola non ci vengono neanche?
“Parini… Millesettecentoventinove! Si, si… o no? Cristo, non mi ricordo!”
E fece la sua comparsa Mr. Penguin. Non era in giacca e cravatta ma era comunque molto elegante come al solito.
“Mr. Penguin! In che anno nasce Parini?”
“Non lo so. Non sono un nozionista.”
“Dai su, sforzati… che ti faccio ripassare il programma di seconda… ti fa bene…”
E lui si dileguò girando a destra.
E io e Alex girammo a sinistra.
Oggi l’interrogazione di italiano era certa. Perché erano state programmate. E poi, forse, mi aspettava un’interrogazione di storia.
E che ho studiato io? Italiano.
Ma la profe è partita con le sue divagazioni su Pasolini, ha fatto qualcosa come cinque canti del purgatorio e quando mancavano cinque minuti alla campanella ha chiesto ad Alex di parlare di un argomento a piacere. E lui ha parlato per poco, per molto poco…
Sabato. La mia interrogazione è stata spostata a sabato.
E meno male che non mi ha interrogato in storia.
Ma perché la giovane Anita aveva preferito prepararsi per mercoledì?
Farsi interrogare sabato vuol dire studiare venerdì.
E il mio prossimo venerdì, venerdì 13 maggio è strutturato nel seguente modo:
La scuola finirà per le 13.40. La mia bicicletta scassata arriverà davanti a casa alle 14.00 circa.
Alle 16.00 mi aspetteranno i bambini del doposcuola che non mi vedono da due settimane, ma, alle 16.00 dovrei essere contemporaneamente alla Fnac per tenere i posti perché alle 18.00 arriveranno gli Afterhours e per una volta che vengono lì a due passi da casa e suonano dal vivo in versione acustica… scusate ma io ci terrei ad andare (e non è esagerato andare lì due ore prima… ricordo l’anno scorso con i Modena, due ore prima e non riuscivo comunque a vedere un cazzo).
Dopo questo simpatico intermezzo musicale, la giovane Anita riprenderà la sua bicicletta verde abbandonata vicino ad una colonna di marmo e andrà… alla pizza delle medie.
Dove non ci sarà nessuno, nessuno che capirà il suo leggero smarrimento e comunque nessuno con cui parlare del piacere dei pomeriggi nell’immenso edificio scolastico vuoto, della sua classe del cazzo, di Matteo, di Alex, della Compagna di Giochi e dei Musicanti e dei Personaggi Assurdi.
Perché sono tutte persone che loro, persone con cui ho condiviso tre anni deprimenti, non hanno mai visto, conosciuto, capito.
Mi metterà molta tristezza questo incontro.
E quando tornerò a casa la sera sarò malinconica, ascolterò vecchi cd, mi metterò la sveglia con i Pogues e mi sveglierò pimpante per il compito di greco.
E l’interrogazione di Italiano.
Categories: primo diario dalla camera oscura |

Scritto da anita51 il maggio 6th, 2005 | Leave a comment
Io brindo all’albero e al pesce.
 
Il mio stomaco stenta a riconoscere cibo sano perché è da innumerevoli giorni che si riempie solo di pizzette da un euro del panificio di fronte a scuola.
Le prove di teatro sono state stroncanti. Ed emozionanti.
 
Lunedì prove dalle 14.00 alle 18.45. Ho pranzato con le solite pizzette da un euro. E poi mi sono rinchiusa nell’aula della 3E deserta per fare qualche esercizio di matematica. Che poi ho subito abbandonato.
E durante le prove sono anche andata a fare un giro, mentre provavano il primo atto in cui io non compaio, e sono tornata con una pallina di gelato alla pera.
Martedì prove dalle 14.00 alle 21.00 e poi spettacolo. Finalmente un pranzo caldo, elemosinato alla Nuova Amica che abita vicino al teatro.
Tutti eravamo assolutamente tesi e stressati. Stressati al punto di scoppiare a piangere per una calza smagliata.

io non tremo

La mia spilletta degli Afterhours con scritto “Io non tremo” (comprata sabato sera a Bassano del Grappa al loro concerto) era assai rassicurante e molto appropriata.
Per cenare si è fatta una colletta e si è provveduto a comprare le schifezze più indicibili.
E si è cenato a teatro, assaltando i sacchetti della spesa, perché Mr. Penguin ci teneva segregati, ci impediva di uscire.
E lo spettacolo è andato fantasticamente. Perché la tensione si è liberata sprigionando energia.
A spettacolo finito ho salutato i miei amici, che quella sera erano tanti e c’era anche gente che non vedevo da tempo per via dell’università: amici sparsi per l’Italia.
E poi ho salutato e spedito a casa i parenti vari e ho preso la bici per andare fuori a mangiare o a bere; insomma: a festeggiare!
E ha cominciato a piovere.
Così ho richiamato la famiglia per provvedere al mio ritorno a casa.
E in macchina, smanettando con la radio mi sono imbattuta in una canzone superba: “All along the watchtower” cantata da Jimi Hendrix. Mai conclusione di serata fu più degna.
E mercoledì mattina ho dormito e ho pranzato ancora con cibo vero, dalla nonna.
E poi di nuovo a Teatro.
Niente prove, solo cazzeggio.
E ho cenato con una brioche e una crostatina alla marmellata chimica e un grissino.
Si percepiva un po’ di preoccupante rilassatezza ma lo spettacolo è andato ancora meglio.
Con le solite divertenti improvvisazioni e scherzi in scena.
Un orrendo alberello, assolutamente kitch, con pailette al posto delle foglie è diventato un dono di matrimonio, un centrotavola, un souvenir…
E poi c’era un pesce vero sul palco… che girava da due giorni… che puzzava, puzzava e puzzava… che a fine spettacolo è stato lanciato in aria creando scompiglio.
Dopo lo spettacolo si è andati tutti, come di consueto, fuori a bere.
In via venti settembre l’acqua ha cominciato a scrosciare, trenta persone hanno cercato di ripararsi dotto i portici, senza successo.
Correndo, chi a piedi, chi in bici, chi in macchina, si è giunti al vecchio Highlander Pub. Luogo triste, compagno di tante serate invernali di tanto, tanto tempo fa… quando ancora uscivo con la Vero e Giorgiboy e in piazza Dante c’era troppo freddo per sedersi sul marmo.
Era da mesi che non ci mettevo piede.
È un posto abbastanza squallido ma rispondeva a tutte le nostre necessità: è grande, si può sia mangiare sia bere e tutti sanno dov’è.
Ho brindato all’albero e al pesce con una birretta e poi con un rum e pera.
E, per chi è stanco e ha una stomaco che ormai il cibo ha dimenticato cosa sia, è abbastanza per non riuscire più a camminare in linea retta.
E con la Vali e Nicolò parlavamo con accento napoletano, bolognese e torinese.
Mr. Penguin indossava ancora il costume di scena: un completo gessato bianco, camicia bianca e cravatta nera, cappello panama e bastone in legno con testa di mastino in metallo.
E diceva: “Guardaci: siamo in 30 persone completamente diverse e siamo tutti insieme al pub. E pensa che questo spesso non si riesce a farlo in una classe di sedici persone. È questa la magia del gruppo di teatro!”
“E infatti io e te ci parliamo anche se tu mi consideri Comunista e Atea e tu ti fai chiamare Borghese Capitalista.”
Quando ho imboccato la via di casa erano le tre del mattino e la città era assolutamente deserta.
Pedalavo canticchiando “There’s a light that never goes out”.
 
Stamattina ci si poteva riconoscere: facce ancora truccate, assonnate e tutti in coda alla macchinetta del caffè.
“Ho bisogno di caffeina per carburare”.
Mancava la profe dell’ultima ora.
E sono andata in libreria.
Un rapido sguardo per constatare che c’era il mio commesso preferito, quello con i capelli rossi.
Ma non avevo tempo da trascorrere appostata il libreria per guardarlo e rimirarlo.
Ho chiesto il libro che mi serviva e sono uscita.
Ero preoccupata perché la mia razionalità era annegata nel rum, nella pera e nel caffè.
 
Mr. Penguin non c’era a scuola: era in gita a Torino. Mi ha assicurato che ci sarebbe andato col costume di scena.
Il costume del suo ultimo spettacolo.
Me lo vedo. E scatena in me la stessa tristezza che ho provato leggendo di Dean Moriarty e del suo pollice ingessato. Quello che gli serviva per fare autostop.
È lo strumento che usavi per fare quello che più ti piaceva che diventa inutile.
 
Jimi Hendrix – Are You Experienced?
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