L’inquietudine della settimana scorsa
Scritto da verdeanita il gennaio 2nd, 2012 | 3 comments

L’inquietudine della settimana scorsa trova origine in quel venerdì al Klub der Republik, quando tutti volevano andare a casa, e io no, e non sapevo come dare una svolta alla serata ed entrò in gioco Claes ancora una volta. Verso le due o tre del mattino mi ritrovai con gente completamente diversa dalle parti di Weser Straße, quella via di Neukölln piena di bar dove di solito vado ad ubriacarmi con la Bongio. I personaggi che erano con me, dopo aver bevuto un paio di birre, decisero di cambiare posto. Non camminammo molto ed entrammo in un locale silenzioso, con uno strano tizio sulla porta che sembrava un buttafuori. Ma il buttafuori di cosa, mi chiedevo, che qui non c’è nessuno? Il locale, in effetti, sembrava proprio chiuso. Un bar con il bancone vuoto, le luci spente e le sedie già riposte una sopra le altre, come se avessero già pulito i pavimenti e la serata fosse finita. Ma dall’altro lato della stanza, da una specie di botola sul pavimento, uscivano luci e qualche rumore. Scendemmo una piccola scaletta a chiocciola e ci ritrovammo in una immensa cantina, piena di gente. C’era musica anni ’20, che mi pare vada tanto di moda a Berlino ultimamente.
Adorai la pseudoclandestinità di quel luogo. Qualcuno mi spiegò che il bar aveva questa duplice vita e che quando i vicini cominiciavano a lamentarsi la festa si spostava in cantina. Adorai l’appropriarsi di un posto solitamente vuoto, triste e buio come una cantina per farlo scoppiare di vitalità, cercando di sfuggire alle regole noiose della gente che vuole dormire.
Dopo un altro paio di locali mi risvegliai dalle parti di Treptow.
Io adoro Treptow, come sanno le persone che ascoltano i miei discorsi ripetitivi. Lo adoro perché non c’è niente. Perché è il prossimo posto da riempire. E forse si sta già riempiendo.
La serata non era stata solo bella, divertente, inaspettata. Era stata soprattutto piena d’ispirazione. Quella festa così bella in quella cantina nella quale avrei potuto imbattermi solo per caso aveva messo in moto una serie di pensieri veloci e concatenati. Alcuni erano nuovi, altri erano semplicemente sopiti da tempo.

Nei giorni che ho passato a Verona ho cercato di dedicare un paio di ore al giorno a Interzona, all’allestimento di Capodanno. Abbiamo sistemato la sala grande ed è bello vedere che anno dopo anno prende una forma nuova e “nostra”. Adoro quando arrivo a Interzona e la giornata non è ancora finita, c’è ancora luce e posso affacciarmi sui Magazzini Generali o addirittura passeggiare tra i vecchi edifici abbandonati da vent’anni. Lo sento come un vero privilegio.
Dopo quella sera a  Neukölln ho cercato di immaginarmi come sarebbero potuti diventare i Magazzini se avessero avuto la fortuna di essersi trovati in un altro periodo storico o in una città popolata da abitanti diversi. Ho cercato di immaginarmi diversi corsi della storia o anche eventuali sviluppi futuri, ora che c’è la crisi e magari qualche cambiamento potrebbe avvenire. Nella mia testa ho creato storie magnifiche e distopiche.
Che potrebbe accadere, o cosa sarebbe potuto accadere, se quell’energia creatrice che nasce dal vuoto, che nasce dal cercare uno spazio per sè ad ogni costo, e che sento a Berlino, sento a Interzona, ho sentito a Tallin, si trovasse in misura maggiore anche nella mia città vecchia?
E mi è tornato in mente il momento in cui io ho sentito per la prima volta quella sensazione che ho poi ritrovato a Berlino. Era il 2005 ed era la prima volta che mettevo il naso fuori dall’Italia senza i miei genitori. Ero stata due settimane a Dublino e poi ero partita per un viaggio che sognavo e immaginavo già da tempo ed ero andata in Serbia. A Belgrado ci passai un giorno solo, anche se dalla mattina presto alla sera inoltrata (ricordo anche il viaggio notturno in pullman, con un autista che guidava in modo spericolato e durante il quale credetti più volte di essere prossima alla morte). La città era brutta e viva, come è brutta e viva Berlino. I muri distrutti erano pieni di poster di concerti e su una collinetta che si affacciava sui fiumi comprai delle spillette da un tizio con cui parlai un misto di italiano, inglese e quelle quattro parole di serbo che ancora ricordo. Le spillette – le conservo ancora – erano dei Clash e dei Pogues. A Verona era ovviamente impossibile procurarsele e io le avevo trovate in quello che nella mia testa era un posto sperduto, povero e inutile.

Mentre cercavo di proseguire i miei post per Soft Revolution, che parlano di un argomento un po’ complicato, e mentre mi documentavo su Internet ho scoperto che, oltre all’Icon, anche il Klub der Republik sta per chiudere. Ho fatto in tempo ad andarci una volta sola. Perché i posti vuoti prima sono tristi, poi si riempiono e diventano belli e poi, una volta riempiti, si svuotano di nuovo e diventano sostanzialmente noiosi. Come Prenzlauerberg a Berlino.
L’inquietudine della settimana scorsa era quindi in tensione tra un posto dove l’energia creatrice che nasce dal vuoto non è mai cominciata (Verona) e un posto dove questa energia sta cambiando rotta (Berlino).

Sono tornata a Berlino in treno. Quando prendo l’aereo ho come l’impressione di viaggiare tra due mondi paralleli e molto distanti. Il viaggio con il treno è stato invece molto più fisico e mi ha fatto pensare al fatto che sì, Berlino e Verona sono distanti e diverse, ma sono sulla stessa terra e per raggiungerle basta spostarsi. Sono tornata a Berlino alle sette di mattina, proprio quando la giornata stava per cominciare e ho pensato che anche mentre ero a Verona le giornate a Berlino continuavano a cominciare e che in un altra città sulla stessa terra, come Belgrado, le giornate cominciano senza di me dal 2005 e che sarei molto curiosa di vedere cosa sta accadendo là, perché secondo me è tutto molto bello e in movimento, in senso positivo.

E quindi il mio proposito per l’anno nuovo è tornare a Belgrado.

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nastrone per schiantarsi in bicicletta.
Scritto da verdeanita il febbraio 5th, 2010 | 3 comments

Non è molto originale ma non voleva neanche esserlo. Va bene per tornare a casa sabatosera, dopo Interzona, che sarà piena di gruppi pesi e bella gente, con le orecchie scoppiate e con quattro gin tonic in corpo, per essere sicuri che un eventuale incidente abbia almeno la degna colonna sonora.
Sono canzoni fumose per pedalare veloci e ubriachi, urlare e andare a schiantarsi contro un tir senza sentire nulla. Michele Adami ne sa qualcosa.

nastrone per schiantarsi in bicicletta
1 Carry the Zero – Built to Spill
2. And the Hazy Sea – Cymbals Eat Guitars
3. No Cars Go – Arcade Fire
4. Deeper Into Movies – Yo La Tengo
(situata strategicamente dopo un po’, quando la bici dovrebbe essere ormai in viale Piave, che è il posto più probabile dove schiantarsi, poichè è sicuramente la miglior canzone per schiantarsi in bicicletta)
5. Mr. November – The National
6. Ibi Dreams of Pavement (A Better Day) – Broken Social Scene
7. Flux = Rad – Pavement
8. Hard Rain – Shout Out Louds
9. Hljòmalind – Sigur Ros
10. Hallucinations – The Raveonettes
11. Naomi – Neutral Milk Hotel  
(per scaricare cliccare sulla copertina. foto scattata da me con un cellulare in un lontano duemilaesei o duemilaecinque)

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punteggiatura is overrated
Scritto da verdeanita il gennaio 28th, 2010 | 2 comments

ti giuro ti giuro ti giuro che se avessi saputo che di tutte le sere che ti ho trascinato al Malacarne per placcare il Dirigenze Aziendale 34enne che Ascolta i National (e che probabilmente non possiede nessuna di queste caratteristiche) l’avremmo incontrato solo mezza volta ce ne saremmo andati ai Preti a farci il nostro consueto litro di rosso.
Bu io ho la testa al contempo piena e vuota di date e persone che non ricordo e di brutti pensieri che non riesco a focalizzare. Prima di dormire prendo una pillola blu e faccio sogni a caso dall’andare a farsi una birra con uno dei miei gruppi preferiti a zombie e alieni nel giardino di casa passando per il baciare a caso questo o quello. Ho detto di no all’Anna quando mi ha detto andiamo al Kroen che è l’ultima sera perchè tornava troppo tardi e io la mattina devo studiare, il che, alla luce del fatto che probabilmente passerò l’ennesima notte in bianco, è una cosa inutile. E salutare il Kroen sarebbe stato bello, ma pazienza. Così ho il solito biccherino di vino che mi bevo con la cara Bongio, e Willy che stava aspettando qualcuno e mi chiede progetti futuri e io posso facilmente indicare il tavolo con la cartina di Berlino e dire, puntando il dito, VOGLIO ANDARE QUI. Intanto assisto al rimorchio più preciso della storia. Una tipa che si avvicina, chiede di pesarsi sulla bilancia vicino al nostro tavolo e poi dice cose a caso tipo "Ma eri tu a Interzona sabato sera?" e io divento rossa e mi vergogno e quando mi chiede "Ma come fai a fare la dj lì?" io mi chiedo cosa voglia dire in realtà questa domanda [Tu che metti musica di merda o tu che ti vesti male o tu che hai una vagina o tu che balli in modo così goffo, ma chissenefrega poi] ma alla fine, precisa, comincia a parlare con Willy e se lo porta lontano da Berlino, sul tavolo con la carina di Budapest o Barcellona. La Bongio mi dice che fuori c’è ancora l’Anna e io voglio e non voglio andare al Kroen che poi l’unico motivo per cui ci vado è forse incontare il Dirigenze Aziendale 34enne che Ascolta i National e che appunto probabilmente non possiede nessuna di queste caratteristiche. E poi non è nulla di che, è solo che mi annoio e i 14 punti di Wilsone e i due Roosvelt e i due New Deal e le 13 colonie. Io la prossima volta metto i Nationale e chissenefrega.

Abel – The National

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