I miei dischi del 2016
Scritto da verdeanita il marzo 4th, 2017 | Leave a comment

Questo blog è completamente abbandonato? Da quando è morto Bowie ho perso l’ispirazione? Oppure ho passato la primavera a fare gli ultimi tour e concerti, l’estate a scrivere la tesi a Dahlem Dorf e poi sono tornata in Italia e poi a Berlino e poi in Italia ancora e poi nei Balcani  (Ljubljana, Belgrado e Skopje) e quindi non avevo molto tempo ma se non posto almeno la classifica di fine anno è proprio la fine.

Quindi, come al solito, ecco i miei dischi del 2016. Da un paio di anni ho finalmente il tempo (e il dovere) di ascoltare molti più dischi, ma questa non è una classifica di qualità. Sono più gli album che mi hanno fatto da colonna sonora o che hanno significato qualcosa di particolare (poi ovvio che sono anche belli).

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10. Haley Bonar –  Impossible Dream

La prima canzone su quest’album si chiama “Hometown” e tutte le volte che l’ho ascoltata ho pensato a Verona e anche se è estremamente malinconica e non perfettamente adatta al mio ritorno a casa più bello (a ottobre), dice delle cose che ho spesso sentito vicine. Tutto l’album l’ho trovato stupendo e ascoltato tantissimo.

Qui “Hometown” live a KEXP. Se guardate tutto il live, l’host è Kevin Cole, che è già la mia persona preferita del 2017, dopo averlo conosciuto a Ljubljana.

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9. Lucy Dacus – No Burden

Era febbraio quando ho scoperto Lucy Dacus. Me lo ricordo perché questo disco mi ha accompagnata per un paio di passeggiate a Schoneberg, che ancora mi era nuovo. E c’era freddo. Lei non era ancora su Matador. I misteri del booking non l’hanno ancora portata a Berlino, ma spero di vederla presto.

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8. Slow Steve – Adventures

Quando i gruppi si reinventano, c’è sempre un po’ di paura. C’è ancora più paura quando tali gruppi sono tuoi amici e magari si aspettano commenti da te e tu invece hai visto un paio di concerti disastrosi e sgangherati e temi per il peggio. In questo caso temevo per il peggio. Quindi poi quando il disco è uscito e l’ho consumato ho ammesso a Remì più volte “È bello sai, è veramente bello!”. Poi dal vivo è ancora meglio, tanto che una volta suonavano a supporto a non mi ricordo chi e dopo di loro sono scappata a casa perché non volevo vedere altro.

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7. The Radio Dept. -Running Out of Love

La mia playlist “Album 2016” mette questo disco direttamente sotto quello dei Repetitor, che è in serbo. La prima canzone su “Running out of love” si chiama “Sloboda Narodu” che è un titolo in serbo. Mi piaceva tantissimo vedere i due dischi vicini. Ritorno stupendo. Probabilmente è ora di cambiare e mettere qualche nuova canzone al posto di “Heaven’s on fire” quando metto i dischi.

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6. Motorama – Dialogues

È capitato molto raramente che i ragazzi con cui mi frequentavo mi passassero gruppi di cui ignoravo totalmente l’esistenza e che finissero per piacermi. Anzi, probabilmente non era mai capitato. I Motorama sono quindi il primo gruppo che collego a scene romantiche, ad ascolti a distanza (dico io, mi prenderò mai una cotta per una persona che abita almeno nella stessa regione?). C’è un loro vinile che mi è stato regalato e che fortunatamente non ho schiacciato, mentre dormivo all’aeroporto di Parigi aspettando il mio volo. C’è un loro concerto a Padova a cui non sono andata per far finta che non ci pensavo più. E quindi dal vivo devo ancora vederli. Avevo detto “Mi piacciono, perché sono così cupi e malinconici, ma c’è sempre qualcosa di leggero nelle loro canzoni”. E sono anche molto derivativi, ma in un modo molto onesto e semplice.

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5. His Clancyness – Isolation Culture

Conflitto d’interessi? Ho avuto una diatriba in ufficio sul fatto se sia lecito o meno inserire i dischi dei propri artisti nelle classifiche di fine anno (o di Paper and Iron in generale, e in questa classifica ce ne sono parecchi), ma alla fine questo è uno dei dischi che ho ascoltato di più, l’ho adorato dal momento in cui me l’hanno passato come link privato e ho continuato ad ascoltarlo per tutto l’anno. E sono molto contenta di averlo portato in giro per l’Europa, e nei primi mesi del 2017 anche i posti a me incredibilmente cari (come Belgrado).

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4. Kevin Morby – Singing Saw

Ascoltavo questo disco sulla via per il laghetto di Krumme Lanke e mi rilassava tantissimo. Un’altra cosa che mi rilassava tantissimo era sentirlo cantare “i miei occhi si riempiranno di lacrime” in due canzoni, la prima con estrema calma, la seconda con gioiosa rassegnazione. I suoi concerti si sono matematicamente e specularmente sovrapposti a certe cose che mi sono capitate e lo so che sono solo coincindenze, ma a me le coincidenze piacciono molto.

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3. Jenny Hval -Blood Bitch

Quante volte ho ascoltato questo disco? Quanto ho amato il fatto che parlasse (anche) di cose disgustose di cui non si parla mai? Amore, capitalismo, sangue. L’unico mio problema con Jenny Hval è che ancora non sono riuscita a vederla dal vivo e anche nel prossimo futuro non sembrano esserci possibilità, nonostante grazie al mio lavoro abbia un sacco di spoiler sui suoi spostamenti.

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2. Mitski – Puberty 2

La prima volta che ho sentito Mitski ero in ufficio. Qualcuno aveva fatto partire “Your best american girl” e mi era piaciuta tantissimo. Poi un giorno ho deciso di ascoltare l’album intero e mi pareva che ogni canzone fosse meglio della precedente. Non ho fatto altro che pensare “Wow” per tutto il tempo.

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  1. Bernays Propaganda – Politika

Ogni volta che una band si reiventa, dicevo anche prima, c’è sempre un po’ di preoccupazione. Quando ho sentito che i Bernays Propaganda (che avevo visto a Belgrado nel 2012 in apertura ai The Ex) erano rimasti in tre e avevano sostituito il batterista con una drum machine non sapevo bene cosa aspettarmi. Ma in questo caso il cambiamento mi ha sopresa e in modo positivo.
Quando li ho visti la prima volta, ero rimasta spiazzata, perchè erano anche troppo potenti. Avevano una leader super carismatica, canzoni ballabilissimi ma piene di rieferimenti politici durissimi e testi in macedone: era un mix che poteva risultare troppo per molti (e per me lo era stato). Invece in “Politika” diventa tutto apparentemente più morbido, anche se è solo un’impressione iniziale, perché sotto la loro durezza rimane invariata.
Per me la scoperta dell’anno (infatti poi sono finita a Skopje come una vera fangirl per vederli suonare nella loro città, ma questa è un’altra storia).

Bonus: The Notwist, che hanno fatto un disco live che ho ascoltato forse troppo, La Femme, che hanno fatto un disco molto tamarro ma di cui avevo bisogno.

Canzoni: “Crvena” dei Repetitor, ha un testo bellissimo, e anche “Oroscopo” di Calcutta, che ho spesso ballato da sola in ufficio.
E qui la Top 3:
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Sorrisi giganteschi davanti a suoni imperfetti
Scritto da verdeanita il luglio 7th, 2015 | 1 comment
Di quando sono andata in una città dove ero già stata a vedere un gruppo che avevo già visto.
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Ho conosciuto Remi, credo, una sera di un paio di anni fa al Madame Claude. Ai tempi suonava con i Fenster, poi ha cominciato un altro progetto (Slow Steve, che è uscito per Morr Music a maggio) e da pochissimo suona anche come quarto membro con gli Aloa Input, che io adoro. Quando è andato a Monaco per provare con loro gli ho detto di fare il bravo e di impegnarsi seriamente. Poi è tornato a Berlino e mi ha detto che non solo andava in tour con gli Aloa Input, ma che erano stati invitati a fare da supporto ai Notwist. Ho sentito l’invidia ribollirmi nella pancia. Poi ho pensato che era inutile lasciarsi sopraffare da cattivi sentimenti: era meglio organizzarsi per andare a vederli alla data più raggiungibile. L’ho annunciato una sera al Marie Antoniette e Erin ha detto subito che veniva anche lei.
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Il primo concerto che ho organizzato, il primo concerto vero, dopo un paio di feste alle quali lo scopo primario era ubriacarsi e assai meno ascoltare il gruppi che suonavano, è stato quello dei Canadians alla Casetta Lou Fai nel 2008. A partire da quel concerto, il momento che mi è sempre piaciuto particolarmente di tutti i concerti che ho organizzato è sempre stato il soundcheck. Durante i soundcheck, quando i suoni sono ancora tutti disordinati, quando i gruppi suonano le canzoni a pezzettini, quando magari si lasciano sfuggire gli accordi di qualche canzone scema, quando il locale è ancora vuoto e ci sono solo gli addetti al lavoro, è sempre un momento speciale, perché è lì che mi rendo conto che presto succederà qualcosa di più grande, che mi rallegro perché magari quel qualcosa sta per accadere solo grazie a me e a poche altre persone, e perché è qualcosa che, pur non essendo bello da sentire o guardare, rappresenta una parte segreta e fondamentale al concerto, a cui per me è un privilegio assistere.
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 A Dresda, quando ho raggiunto gli altri nella sala del palco, i Notwist stavano finendo il loro, di soundcheck. Ho assistito ad una “Good Lies” quasi perfetta, quasi intera, in una stanza vuota di fronte a pochissime altre persone. Sia io che Erin eravamo emozionatissime. Ho cercato di calmarmi, dicendomi che era una canzone che avevo già sentito un sacco di volte, che ormai di soundcheck ne ho visti tantissimi, ma non sono riuscita a trattenermi e a levarmi quel sorriso gigantesco dalla faccia.
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Quasi tutti i miei amici più stretti sono musicisti, io invece credo di avere una specie di fobia per gli strumenti musicali. Conosco anche un sacco di gente che riesce ad ascoltare molti più album di me o che scrive facilmente di cose che ha ascoltato solo un paio di volte. Io invece sono molto lenta ad assimilare i dischi e le canzoni. Capitano raramente gli album che mi piacciono davvero davvero e mi ci vogliono tanti ascolti prima di avere un’opinione su una canzone. Quando sono ad un concerto, invece, diventa tutto più facile. Riesco a perdermici completamente, oppure riesco a capire subito perché qualcosa non mi piace. Mi piace vedere come vengono suonati gli strumenti, come gli artisti interagiscono col pubblico e viceversa, come sono le canzoni, come il concerto si evolve dall’inizio alla fine.
I gruppi che amo di più li ho scoperti proprio così: andandoli a vedere dal vivo, spesso conoscendo solo pochissime loro canzoni, o anche nessuna. Anche i Notwist. Ero andata a Ferrara perché in quel periodo andavo sempre a Ferrara per sfuggire da Bologna, perché quella sera era gratis e perché Enzo ne aveva parlato bene alla radio. E, pur avendo in seguito consumato i loro dischi, non è mai stato lo stesso come vederli dal vivo e li ho inseguiti praticamente ovunque (e ho anche la fortuna di abitare in un posto dove suonano spesso). Avevo promesso ad Erin che non avrei fatto nessuno spoiler, anche se ormai so più o meno cosa succede ai loro concerti.
So che suonano tanto, so che fanno sempre i pezzi vecchi, anche più vecchi di “Shrink”, so che fanno abbondantemente Neon Golden e che dal vivo “Pilot” ha una lunghissima coda elettronica e che “This Room”, una delle canzoni che su disco salto sempre perché trovo veramente noiosa, dal vivo è una delle mie preferite e forse uno dei motivi principali per cui continuo ad andare a vedere i loro concerti (e ogni volta questa contraddizione mi stupisce sempre di più), so che generalmente fanno due bis e che di solito “Consequence” la suonano alla fine, ma non le ho detto nulla di tutto questo. So anche esattamente qual’è la canzone che mi ha fatto innamorare la prima volta (“Puzzle”) e che hanno fatto sempre, finora, ma non a Dresda.
Non ha importanze, ovviamente, e quel sorriso gigantesco non se n’è andato per tutto il concerto. E ad un certo punto mi sono voltata e ho detto a Remì che ero davvero felice, davvero davvero tanto e l’ho ringraziato di tutto.
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Sala comune del nostro ostello

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Erin che recupera del sonno

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La prima volta che ho provato Lieferando. Consegneranno una pizza anche nel backstage? Sì!

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2014 Ohrwürmer Top 5
Scritto da verdeanita il dicembre 28th, 2014 | Leave a comment

“Ohrwurm” è una di quelle parole tedesche bellissime che non esistono in italiano. “Ohr” vuol dire orecchio e “Wurm” è verme. Verme dell’orecchio? In pratica gli Ohrwurm sono quelle canzoni che ti si infilano in testa e che non riesci a smettere di canticchiare o ascoltare. Ecco le cinque canzoni che sono risuonate di più nel mio cervello o nella mia stanza (e fortunatamente anche ai concerti e ai djset) in questo 2014.
Attenzione! Questo post contiene degli spiegoni che potrebbero risultare inutili. Ho deciso di coniare quindi il termine “anitasplaining” per quando vi disco cose che probabilmente già sapete se mi conoscete, tipo che mi piacciono i Notwist o gli Yo La Tengo e chi sono eccetera.

1. Hospitality, “Last Words”
Ero alla Kantine del Berghain prima del concerto di Chad VanGaalen, perché gli avevo appena portato la pizza che avevo amorevolmente preparato per lui. Il concerto si stava approcciando e io girovagavo per il locale che piano piano si stava riempiendo. Ad un certo punto è partita questa canzone bellissima e io sono corsa dal mio capo Andreas a chiedergli cosa fosse e lui ha detto entusiasta: “Vero che è bellissima? È la canzone più bella dell’anno!” e lo è davvero.
Il giorno dopo l’ho ascoltata tutto il giorno e quando il mio amico Torsten mi ha chiesto se avevo qualche richiesta per quel sabato in cui metteva i dischi all’Antje Öklesund io ho detto “Sì, questa!” e così è diventata anche l’ultima canzone che ho ballato a Berlino.

2. The Notwist, “Kong”
La prima volta che ho visto i Notwist ero a Ferrara da sola e ancora non sapevo se sarei tornata a dormire a Verona o a Bologna (e soprattutto come) e non sapevo neanche nulla di loro, a parte il loro ultimo singolo, che a quel tempo era “Good Lies”. Conoscevo una sola canzone ma mi innamorai follemente di loro, durante il concerto. La canzone che mi piacque di più si chiamava “Puzzle” ed era un’esplosione di chitarre e luci e si trovava su “12” (Zwölf!!), uno dei loro primi dischi di quando erano cattivissimi.
Quando il mio capo Andreas mi portò a rivederli (di nuovo grazie, capo Andreas!), a esattamente cinque anni da quel primo concerto, i Notwist suonarono un sacco di canzoni nuove bellissime, tra cui una molto simile (ma anche molto diversa) da quella che mi era tanto piaciuta.
“Kong”, e poi tutto il loro ultimo disco, è per me un perfetto riassunto di tutto quello che hanno sempre fatto, dalle chitarre cattive, alle ballate lente, all’elettronica sofisticata. Ed è stupenda e tutte le volte che la sento potrei mettermi a piangere.
(Ah, è anche la prima canzone che ho richiesto al mio amico Torsten la prima volta che metteva i dischi all’Antje per quella che è diventata la festa danzante più figa di Berlino)

3. Joasihno & JEL, “Hypnotize us”
Come sapete mi piacciono i Notwist (e se non lo sapevate ma avete letto il paragrafo sopra, ora lo sapete). I Notwist hanno influenzato tanti altri gruppi e alcuni loro membri suonano in altri progetti che poi hanno altri progetti eccetera eccetera. Uno dei progetti dei Notwist si chiama 13&God ed è formato da loro e dai membri dei Themselves, che sono un gruppo Anticon (etichetta americana di hip-hop) e che quindi potrebbe non c’entrare un tubo con un gruppo tedesco. E invece!
La cosa che mi piace è che da questa collaborazione ne sono nate altre diecimila e una è questa.
Joasihno è il progetto di un membro degli Aloa Input (Morr Music: grazie Thomas!) e JEL è uno dei fondatori della Anticon.
Un giorno i miei amici Andre e Amande hanno organizzato in quattro e quattrotto un concerto di JEL all’Antje Öklesund e io ho pensato “FIGATA!”.
Alla fine del concerto JEL ha suonato questa canzone e io ho pensato “Ma è Joasihno!” e invece no! Era un collage ipnotizzante di un paio di canzoni bellissime e diversissime ed è stata un’altra canzone che ho ascoltato tantissimo!


Come potete vedere questo 7″ si intona perfettamente con il mio triceratopo. L’ho comprato sul negozio della Morr Music e già che c’ero l’ho svaligiato comprando cose che volevo comprare da una vita. Ci sono ancora sconti! E il Sig. Morr non mi ha pagata per dirvi ciò! (Però nel pacco ho trovato una cosa bellissima che non doveva esserci. #cuori)
Ah, il disco sotto è un vinile dei Jethro Tull, perché io adoro i Jethro Tull.

4. Skiing, “Holly”
La mia amica Amande è indubbiamente una delle persone più cool che conosco. L’ho conosciuta un paio di anni fa e poi è sparita per andare in tour. Ho fatto un tirocinio di 3 mesi nell’ufficio di fianco al suo e lei non si è mai vista perché era sempre in tour. È tornata, le ho chiesto come andava e lei ha detto: “Sto per fondare un’etichetta!”
L’etichetta si chiama Späti Palace. Lo Späti è quel negozio sotto casa che è aperto fino a tardi e dove puoi comprare birra ad ogni ora. L’etichetta è una celebrazione di band locali (ovvero di Berlino), formate da gente che viene dal resto del mondo.
Il primo split conteneva questa bellissima canzone, che ho consumato nei giorni in cui avevo voglia di vedere gli Skiing dal vivo, di nuovo (hanno suonato sia al Down by the River che al Torstraßen Festival, regalandomi in entrambi i casi i concerti più belli della giornata) e ancora non ho capito perché non me lo sono comprata. Comunque appena torno a Berlino chiamo Amande, andiamo a berci una birra e me lo faccio portare.


5. Schnipo Schranke, “Pisse”
Il Down by the River è uno dei giorni più belli dell’anno. Il festival è organizzato da Four Track on Stage ed è difficile dire di che genere di musica si tratti. Ma basandosi sulla tradizione anti-folk da cui nasce si può dire che è un festival per quel genere di musica che non trova facilmente etichette, che è strana, che non troverebbe posto ad un altro festival, che è fatta col cuore.
La band più attesa era questo duo di ragazze tedesche e il fatto di poter capire i loro testi è uno dei motivi per cui vale la pena studiare il tedesco.

Schnipo Schranke – Pisse (OFFIZIELLES MUSIKVIDEO) from Daniela Reis on Vimeo.

 

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