Limonare fino ad essere stanchi
Scritto da verdeanita il giugno 3rd, 2015 | 1 comment

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Di fronte a casa mia a Berlino, sull’altro lato della strada, c’è un locale che si chiama Ficken 3000 e il nome lascia davvero pochissimo spazio all’immaginazione. Pare però che sia un locale simpatico e amichevole e una volta ci ha pure suonato la mia amica Karla.
La cosa buffa è che per un po’ di tempo di fianco ad esso c’è stato un bar che il proprietario aveva deciso di chiamare Café Limona, volendo probabilmente dare un sapore italiano alla sua attività e totalmente ignaro dell’effetto comico che l’accostamento invece creava.
Per mesi io e la mia coinquilina abbiamo ipotizzato di invitare qualcuno ad un appuntamento molto esplicito da consumarsi nei due locali.
Poi il Café Limona ha chiuso.
Il verbo “limonare” mi piace molto. Mi piace anche mandare dei limoni seguiti da dei punti interrogativi su Whatsapp per chiedere alla gente come è andato un appuntamento. Sfortunatamente funziona solo con gli amici italiani.
In tedesco limonare si dice “knutschen”, che è ovviamente una parola molto più difficile da pronunciare, ma che forse rende meglio l’aggrovigliamento di lingue che descrive.
È una parola che in questi giorni canticchio spesso, perché contenuta in un verso del singolo dei Tocotronic che sto ascoltando tantissimo, pensando ogni volta a quanto sia strano che un gruppo è così popolare qui, sia invece totalmente sconosciuto ai miei amici italiani.
È stato Giulio a farmi vedere il video di “Die Erwachsenen” la prima volta. “Sembra la nostra vita ma piú interessante”, l’ha descritto. Ed effettivamente è tutto un concentrato di cliché berlinesi, tramonti sui tetti, pavimenti di legno, scorribande nella metro, WG Party e pizze surgelate del LIDL. Gradevole però.
Non riesco a trovare un paragone italiano per loro. Diciamo che sono uno di quei gruppi che fa pop fatto bene, che puoi sentire alla radio ma che piacciono anche a chi ascolta musica piú alternativa. Uno di quei gruppi che tutti hanno ascoltato quando erano più giovani e che, pur essendo maturati nei gusti, si continua ad apprezzare. La cosa più vicina che mi viene in mente sono forse gli Afterhours, anche se loro alla radio non si sentono mai. Però sono andati a Sanremo. E cantano in italiano, come i Tocotronic cantano in tedesco.
La cosa che rende più difficile il paragone è però che quando vado a ballare qui, ad un certo punto arriva sempre il momento canzoni crucche. Ad un certo punto mettono su i Fehlfarben e i Grauzone e, appunto, i Tocotronic. Quando andavo a ballare in Italia invece non sentivo mai canzoni italiane, a parte forse gli Offlaga Disco Pax e i CCCP, a volte.
In Italia si balla e ho ballato troppo poco, comunque, quindi prego, correggetemi e ditemi i nomi delle hit che posso mettere qui quando finalmente di metteranno dei piatti sotto le mani. È stato infatti un momento strano e allo stesso tempo bello e brutto, quello in cui mi sono resa conto che se dovessi mettere i dischi adesso, avrei più canzoni tedesche che italiane su cui far ballare la gente.
Brutto, perché dovrei sapere più cose sulla musica italiana. Ma anche bello, perché mi sembra di possedere un qualcosa della Germania che dal di fuori non ha significato.
Il disco dei Tocotronic è uscito il 1 maggio e loro hanno deciso di fare un concerto all’SO36 lo stesso giorno. Che è appunto come se gli Afterhours facessero un concerto al Covo. Senza contare che l’SO36 è su Oranienstraße, che il 1 maggio è la strada più impraticabile di tutta Berlino. Ero curiosa, ma a parte il fatto che i biglietti erano (ovviamente) esauriti, la combinazione 1-maggio-kreuzberg non era invitante e poi comunque il giorno prima c’era il party What Difference Does it Make! all’Antje Öklesund e sapevo che avrei ballato fino all’alba.
Poi però verso le 3 mi ero sentita talmente stanca che avevo deciso di dirigermi a casa. Quella sera ero riuscita a piazzare all’ultimo minuto un concerto dei Niagara prima del party ed ero all’Antje dalle sette. Ad Alexanderplatz mi ero però accorta di essere senza chiavi ed era ormai un orario infame per farmi aprire dal citofono, così ero tornata indietro, mi ero presa da mangiare su Frankfurter Allee ed ero tornata a mischiarmi con i miei amici che ballavano. Ormai era il primo maggio da un bel po’ di ore.
E proprio in quel momento è partita “Die Erwachsenen” e l’ho riconosciuta subito. Era una canzone nuova, ma sapevo già il testo a memoria. Sono tornata a ballare, sentendomi molto a casa, e ho ballato poi fino all’alba come mi ero promessa.
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Astronauti, sociologi e gatti: appunti da #rp15
Scritto da verdeanita il maggio 11th, 2015 | 2 comments
Il primo giorno di re-publica ho annunciato che sarei fisicamente sparita nell’internet per tre giorni e questo è il modo più simile al vero per descrivere quello che è successo. Non saprei come definire in altro modo questa specie di conferenza che riesce a spaziare tra i temi più vari mantenendo comunque un filo conduttore: la società digitale.
Era il quarto anno di fila che partecipavo. I biglietti erano, come sempre, particolarmente esosi, il che è cosa perfettamente normale vista la qualità dell’evento, il fatto che non sia per niente commerciale e l’assenza di fastidiosi sponsor, ma io, da brava squattrinata, ho deciso di fare come negli anni passati, ovvero di lavorare una giornata e ricevere in cambio l’ingresso alle altre due. Va benissimo così.
Anyway, ecco i punti principali di questi tre giorni:
IL PRIMO GIORNO
Il primo giorno mi sono quindi dedicata a distribuire cuffie ai palchi più piccoli, stupendomi di quante persone tornavano indietro dicendomi che la cuffia era rotta quando in realtà il volume era solo troppo basso: dal pubblico di un evento del genere mi sarei aspettata una maggiore dimestichezza con la tecnologia.
Nonostante fossi obbligata a rimanere impostazione, e non abbia quindi scelto i talk da seguire, ho sentito un sacco di cose interessantissime. Il talk più bello è stato quello dedicato ai fashion blog e al femminismo: “Empowerment by Fashion: Feministiche Mode im Netz”. Era poco più di una carrellata su diversi blog e hashtag usati per rivendicare che ognuno può vestirsi come vuole, indipendentemente dalla forma del suo corpo, dalla sua fede religiosa (vedi outfit con velo), dal suo genere sessuale e così via. Ispirazione a bizzeffe e tonnellate di pregio.
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L’ESA
Il secondo giorno sono arrivata 15 minuti in ritardo ad un talk di cui ho immediatamente perso il filo. Frustrata da tutto ciò ho buttato un occhio al cellulare e notato che l’agenzia spaziale europea stava twittando proprio da re-publica.
Mi sono quindi catapultata allo Stage 4, dove stavano raccontando della sonda Rosetta. Nello specifico stavano raccontando di come l’atterraggio sulla cometa sia stato presentato attraverso i social media (perché parlare dell’atterraggio in se non era già interessante?!). Anche se sono arrivata alla fine è stato bellissimo.
Poi mi sono detta: “Ehi, forse l’ESA farà anche degli altri talk oggi!” e BAM! ho scoperto che di lì a poco avrebbe parlato un astronauta.
Il talk di Alexander Gerst, tornato da pochi mesi dall’ISS, è stato in assoluto il più bello di tutta re-publica. Semplicissimo, divertente, interessante e commovente. Credo di essere stata più volte sull’orlo delle lacrime: quando ha parlato di fenomeni naturali visti dallo spazio, quando ha mostrato quanto è insignificante quel puntino blu che è la terra vista da Saturno, quando ha sottolineato che ci vogliono anche più astronaute donne e quando ha risposto alle intelligentissime domande dei bambini.

I BAMBINI
Durante il talk di Alexander Gerst la prima fila è stata riservata ai bambini e anche le domande sono in buona parte arrivate da loro. E poco prima avevo assistito ad un talk dove i bambini stessi spiegavano come usano internet e i motori di ricerca (“So suchen Kinder im Internet”). A parte la mega invidia per la loro abilità di usare i verbi separabili, la cosa più bella è vedere l’importanza che gli veniva data e la professionalità con cui gestivano il pubblico e rispondevano alle domande. Vedere tutti questi incoraggiamenti era incoraggiante a sua volta.
Insomma, quanto è figo avere 11 anni e stare sul palco a rispondere a degli adulti che ti chiedono cose sui tuoi interessi?
E poi, quando una bambina ha chiesto ad Alexander Gerst se avesse scoperto qualcosa sui buchi neri, lui ha risposto che i buchi neri sono ancora troppo pericolosi e lontani per essere studiati, ma che forse in futuro sarà possibile e che se vuole potrebbe dedicarcisi proprio lei. DITE ANCHE VOI QUESTE COSE AI VOSTRI BAMBINI.

BIG DATA, PRIVACY E ZYGMUNT BAUMAN
Re-publica è stato il luogo dove ho cominciato a pensare alla marea di informazioni che immetto (e immettiamo) quotidianamente dentro l’internet. Probabilmente qui sono nate molte delle riflessioni che mi hanno portata a chiudere Facebook. E anche quest’anno sono capitata (a caso) ad un talk che ne parlava. E bum, aiuto.
Non è tanto il fatto che si possano raccogliere tante informazioni su di noi a far paura. Fa più paura il fatto che queste informazioni abbiano un valore di cui non ci rendiamo neanche conto e che sui nostri status su Facebook c’è chi guadagna un sacco di soldoni. E fa ancora più paura pensare che il raccogliere e vendere queste informazioni sia regolato da pochissime leggi.
A coronare il tutto è arrivato Bauman, che ho finalmente visto di persona e che mi ha trasformata in una vera #fangirl. Se gli altri talk sul tema sono condotti per lo più da attivisti pirati cattivi, questo ne parlava in una visione più ampia e mi ha fatta riflettere molto sul fatto che sì, per alcuni versi sia raccapricciante, ma che l’internet è anche uno dei miei posti preferiti e che mi ha fatto conoscere tante persone adorabili. E dove posso esprimermi al meglio come individuo.
Il punto è che ancora mi sta bene che alcuni miei dati vengano raccolti, fin tanto che sono sicura che le decisioni che prendo con i miei click sono solo mie e non manovrate da un qualche algoritmo basato sui miei dati. Spoiler: non sono sicura.
Con questi sentimenti nel cuore me ne sono andata al talk successivo.
MUSICA E BIG DATA
Il talk successivo mi ha fatto venire la nausea. Proprio un bel mal di pancia. Sostanzialmente si parlava dei soliti big data e di come questi vengano usati nell’industria musicale. Il fatto che mi sia fisicamente sentita male è segno che a questa cosa ci tengo davvero e ho deciso quindi di prenderlo per un buon segno.
Si parlava di come i dati sull’ascolto e la presenza sui social siano indicatori non solo del successo di un artista (visto che ormai le vendite degli album fisici, ma anche quelle degli mp3, non sono assolutamente indicative degli ascolti o della fama di un gruppo), ma anche un fattore importante (per non dire fondamentale) nella scelta di metterlo sotto contratto, più del famoso “istinto di pancia”, che una volta era fondamentale.
A parlare erano rappresentanti di grandi etichette, quindi gente su un livello completamente diverso dal mio. Purtroppo però certe riflessioni le facciamo quotidianamente in ufficio e l’attenzione ai social network occupa una grandissima parte del nostro lavoro.
Pensare però che il servizio X di streaming possa farmi piacere un gruppo Y basandosi sui miei ascolti precedenti tramite un algoritmo che non tiene minimamente conto di cose per me fondamentali come il contesto culturale in cui un gruppo si muove mi ha fatto sentire terribilmente vuota.
Tutto ciò meriterebbe un post a parte.
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ALTRE COSE
40% di speaker donne. Spazi per i bambini (non solo alle conferenze, ma anche con aree gioco in mezzo ai vari stand). Altissima partecipazione di persone con difficoltà motoria. Persone in completi eleganti seduti di fianco a gente con i capelli arcobaleno. Era bello vedere che stavamo tutti bene.
Rispetto al primo anno, quando mi aggiravo solitaria, quest’anno ho incontrato un sacco di facce conosciute, tra qui gli organizzatori del Torstraßenfestival (che è uno dei miei festival preferiti), svariati compagni di università e altra gente. Bello.

E un’altra cosa carina era uno stand decorato con i lucky cat cinesi che fanno su e giù con la zampina, la cui faccia era però stata sostituita da quella di Grumpy Cat.
L’internet è un posto bellissimo.

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Vorrei che Dan Deacon fosse il mio insegnante di yoga
Scritto da verdeanita il febbraio 27th, 2015 | 2 comments

La prima volta che ho visto Dan Deacon ero alla Route du Rock, dove fa freddo anche ad agosto. Suonava su un palco piccolino praticamente in mezzo alla folla. Io ero riuscita ad avvicinarmi al palco e avevo tentato di fare un video per Michele perché lui non c’era e nel video poi non si vedeva niente e si sentiva ancora peggio. Dopo le prime due canzoni, e aver rischiato di morire schiacciata un paio di volte, mi ero seduta sopra una cassa, pensando di essere al sicuro e invece poco dopo mi era stata lanciata addosso una persona. Però, nonostante la pericolosità della cosa, mi ero divertita tantissimo.

Qualche mese fa i miei vicini di ufficio Puschen avevano annunciato un concerto di Dan Deacon allo Schwuz e non era stato solo Dan Deacon a farmi urlare di gioia, ma anche il fatto che si svolgesse proprio allo Schwuz che è uno storico locale gay a Berlino dove ogni tanto fanno concerti bellissimi, che è grande e labirintico, che sprizza gioia da tutti i pori e che ha una mirrorball gigantesca.

Volevo andarci, ma in quel momento non ero neanche sicura se sarei stata a Berlino quel giorno. Invece poi sono tornata a Berlino, ho cominciato a lavorare nel mio vecchio ufficio bellissimo, e alla fine quella sera lavoravo pure in cassa e avevo fatto quattro pizze per il catering (due margherite, una ai funghi, una alle olive) ed ero molto felice anche perché avevo potuto lasciare tutti i miei averi in camerino e non avevo borsette, giacche o cose di cui preoccuparmi. Però non suonava in mezzo al pubblico e la cosa mi dispiaceva.

L’ingresso era lontano dalla sala del concerto e da lì non si sentiva nulla. Non mi ero neanche accorta che il gruppo spalla aveva cominciato a suonare (e aveva anche finito). Fortunatamente però sono riuscita a perdermi solo i primissimi secondo del concerto, anche se sicuramente mi sono persa qualcosa di importante, perché tutti stavano per mettere una mano sulla testa del compagno per fare una qualche specie di rito che avrebbe poi avuto qualche effetto che solo noi avremmo notato. Poi ci ha invitato a puntare il dito contro la gigantesca mirrorball e ha detto qualcosa sull’ansia e sul fatto che dovevamo distruggerla proprio come stava accadendo alla luce che si frantumava sugli specchi in mille puntini bellissimi. E poi ci ha fatto ballare in modo cretino (e liberatorio). Era un misto tra un concerto e una lezione di yoga, però con una musica più bella. E il fatto che non suonasse in mezzo al pubblico non mi è mancato più di tanto.

Alla fine del concerto sono andata a chiedergli se la pizza gli era piaciuta e se poteva farmi un autografo sul poster per il mio amico Michele che anche quella sera non c’era (io quando vado ai concerti che vorrei vedere con determinati amici mi faccio firmare il poster per loro e non so se sia un comportamento carino o da stronzi) e l’ho sentito dire qualcosa alla persona che gli stava parlando prima di me, sul fatto che non era più stanco, che era stanco prima del concerto ma solo perché era stressato e che poi quando è sul palco lo stress e la stanchezza spariscono.

Due giorni dopo ho letto questa adorabile intervista in cui parla, appunto, di stress e ansia e dell’importanza di imparare a rilassarsi, che smettere di controllare la posta per controllare Instagram non è esattamente il modo per farlo e che bisogna imparare ad annoiarsi e altre cose che devo imparare e che si adattano molto bene a quello che sto cercando di fare ora, che è il contrario di quello che facevo l’anno scorso, quando non avevo tempo di annoiarmi e non è che fosse una cosa bellissima.

E poi l’altro ieri è uscito questo bellissimo video e le cose che ha fatto fare alla gente in quell’ufficio sono più o meno quelle che ci ha fatto fare allo Schwuz, a parte distruggere le nostre ansie sulla mirrorball perché NPR sarà anche un bellissimo posto ma la mirrorball non ce l’hanno.

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