So cold ist das Sommer hier.
Scritto da verdeanita il giugno 24th, 2012 | Leave a comment


Un titolo tutto sgrammaticato e un nastrone per le estati fredde. Siamo a fine giugno e l’unico week-end veramente caldo è stato quello che ho passato sui tetti di Wedding a mangiare, bere e ballare.
Ma anche senza caldo direi che mi diverto lo stesso, a sabotare la musica alle WG-Party e ad andare ai concerti di gruppi canadesi in tour.

So cold ist das Sommer hier. from verdeanita on 8tracks.

Let’s Go Get LostScrambled Meggz
All Summer Long – Phoebe Kreutz
Pretty Face – Soley
Always Everything – Sin Fang
Summer Babe (Winter version) – Pavement
Emmylou – First Aid Kit
The Kids Were Wrong – Memoryhouse
Fantasy II – Fenster
The First Big Weekend – Arab Strap
You’re a Runner – Me and My Drummer
Oblivion – Grimes
Future Days – Drink to Me
Ankle Injuries – Fujiya & Miyagi
Home – LCD Soundsystem

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La prima sera che si stava bene solo con il cardigan
Scritto da verdeanita il maggio 7th, 2012 | 6 comments

The first evening you could wear just a cardigan

(Scritto qualche giorno fa) Questo pomeriggio ho indossato il vestito con il miglior rapporto stupidità / prezzo del mio guardaroba e sono andata ad Hermannplatz a prendere la Bongio, il che era un tragitto un po’ stupido, visto che poi siamo tornate nella mia direzione, dividendo una bottiglia di birra. La nostra destinazione era il Kater Holzig, per la festa dei cinque anni del Luzia, un bar su Oranienstraße teatro dei uno dei miei tanti fallimentari appuntamenti con uomini di nome Stephan. Una specie di serata super hype per la gente che ama ballare. L’ingresso costava la bellezza di 12 euro e c’era pure la selezione. Io sfruttai un momento di distrazione del pirla che stava all’ingresso ed entrai senza sganciare un centesimo.
Io amo ballare? Credevo di sì, ma in realtà riesco a ballare solo la musica che piace a me e che conosco, a meno che non si tratti di elettronica particolarmente bella.
A Berlino c’è tutta una serie di locali dove l’ingresso costa 10 euro o poco più (che credo sia comunque molto poco, rispetto a quello che si paga in altre capitali) e di solito pago il biglietto senza lamentarmi. Ma non per ballare: per guardare l’edificio.
Il Zur Wilde Renate, ad esempio, è praticamente dentro un condominio e ci sono un sacco di stanze. Il Sysiphos è un vecchio magazzino per mangimi. Il Berghain una vecchia centrale elettrica. Il Kater Holzig una vecchia fabbrica di sapone.
Tutti questi posti sono arredati con lo stesso stile, più o meno. Ho motivo di credere che una volta lo stile “berlinese” fosse: divani e sedie di tipi diversi, un po’ rotti e un po’ stilosi. E questo era cool.
Una vola che questo è diventato lo standard lo stile “berlinese” è diventato un’accozzaglia colorata di oggetti molto kitsch. Grandi cornici dorate, grandi specchi, grandi lampadari, manichini, addobbi, festoni, grappoli di lampadine colorate. I posti che vedo sono più o meno tutti così.
Il fatto è che a me piace andare in questi locali ma il più delle volte passo dieci minuti a ballare in ogni stanza, bevo due birre, vado in bagno ed già comincio ad annoiarmi.
Questa sera, ad esempio, l’arredamento era molto bello e  molto colorato ma l’atmosfera non mi piaceva per niente e la musica nemmeno.
Verso le dieci me ne sono andata.
Avevo fame e mi sono diretta al baracchino di currywurst all’angolo di Kopenicker Straße. L’uomo dietro al bancone aveva tutti i capelli bianchi ed era amabile. Un currywurst con il panino costava solo un euro e settanta e fu la mia cena. Lo amai per dei prezzi così socialisti, nonostante quello fosse l’unico baracchino nel giro di qualche centinaio di metri e di conseguenza l’unico posto dove la gente che ama ballare sia probabilmente solita cibarsi.
Mentre tornavo alla metro passai davanti al Tresor, che è un’altro di quei posti dove andrei solo per l’edificio. Questa sera c’era un’altra stanzona aperta, con un’installazione gratuita di Ryoji Ikeda, ad ingresso gratuito ed aperta fino alle dieci. Ho salito delle scale di metallo e sono entrata in questa stanza enorme e buia, con tante colonne bianche. Un edificio che probabilmente è molto simile ai magazzini di fianco ad Interzona che presto saranno demoliti.
Dopo una manciata di minuti il posto doveva chiudere, e mi sono quindi diretta alla fermata Heinrich-Heine-Straße, che è una fermata dove non si scende mai, perché sta in posto di confine tra Est ed Ovest dove ci sono solo uffici e Plattenbau e qualche Club. Tutti i miei amici con i quali andavo in cerca dei club, però, mi hanno sempre fatta scendere a Jannowitzbrucke, ovvero una fermata più in là. Il fatto è che quella nei paraggi di Heinrich-Heine-Straße è una zona dove non si va mai a passeggiare, dove le case sono grandi, dove non ci sono negozi. E la gente non la conosce bene e pensa quindi che la via più breve sia un’altra.
La stazione di Heinrich-Heine-Straße si è chiamata Neanderstraße fino al 1960. Quando la città era divisa si trovava nella parte est e divenne una delle tante “stazioni fantasma”: l’ultima fermata ad ovest era quella di Moritzplatz, dopodiché il treno proseguiva al buio e senza fermarsi, saltando sei stazioni, fino a Voltastraße.
L’atmosfera di stazione fantasma si sente un po’ ancora oggi: l’insegna fuori da due entrate è una vecchia U di plastica. Un’altra entrata ha delle vetrate ormai opacissime, che non vengono sistemate da anni.
Non è una fermata turistica, non è una zona di rappresentanza, non è una zona dall’alto valore estetico. E’ abbandonata a sè, e va bene così.

Si muove, si muove tutto e sono soprattutto le persone a farlo. Gli edifici, invece, rimangono fermi. E capita quindi che le strade e i palazzi si trovino nel posto sbagliato: una strada enorme e vuota, una vietta piccola sovraffollata, una stazione della metro enorme senza che ciò serva, due parti di città che a volte paiono ancora divise.

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Il cellone
Scritto da verdeanita il marzo 27th, 2012 | 1 comment

foto di Giulio Callegaro

Come posso cominciare? Sono tornata a casa a Verona da una settimana e ancora non ho trovato il tempo di raccontare lo scorso fine settimana.
Comincerò con un posto, un posto che non esiste più. Un posto che, nonostante tutti i posti abbandonati che abbia visto finora, restava il più incredibile di tutti. La stanza più incredibile dentro l’edificio più incredibile.
Ci entrai una volta sola, l’estate scorsa. A causa della scarsa luce non riuscii a scattare nessuna foto, ma non era importante, perché nessuna foto sarebbe riuscita a trasmettere l’emozione e lo stupore che provai entrando dentro quello che era chiamato “il cellone”.
Nella Stazione Frigorifera Specializzata sono da poco ripresi i lavori dopo anni di inutilizzo. Quando vi entrai, l’estate scorsa, la Stazione Frigorifera Specializzata era quindi rovinata. Le pareti erano grigie e scrostate, le porte arrugginite, i pavimenti pieni di buchi e il tetto in alcuni punti era crollato. Quando entrai nel cellone mi sembrò di entrare in un altro universo. Mi pareva di essere su un altro pianeta. La stanza era enorme e dalla forma irregolare. Le pareti si curvavano per adattarsi alla forma dell’edificio. Un paio di colonne si ergevano in mezzo alla stanza. Per entrare eravamo scesi per una rampa. Non entrava luce dall’esterno e tutto, dalle pareti alle colonne, passando per il soffitto, tutto era coperto di alluminio. E tutto era perfettamente conservato e contrastava in modo quasi surreale con le altre stanze che cadevano a pezzi. Il suono era diverso, la luce era diversa. Avevo visto le foto di quel posto, ma entrarci e camminarci attraverso con i miei piedi e i miei occhi mi parve una cosa tutta nuova e impossibile da descrivere. Pareva che il tempo in quella stanza si fosse fermato. Era tutto luccicante, freddo e perfetto. Pareva intoccabile, pareva immortale.
Ma la settimana scorsa i lavori sono ripresi e quella stanza, che pareva destinata a restare immobile e a non invecchiare mai, è stata distrutta.
Quando mi è arrivata la notizia ho ripensato a quanto fosse bella, a quanto fosse indescrivibile e a quante volte, nonostante questo, ne avessi parlato a tutti i miei amici e a quando avrei desiderato portarceli ad uno a uno, per farli scendere lungo quella rampa e per poi sentire i loro versi di stupore, come era successo a me. E ho sentito del vuoto in fondo allo stomaco.
E ancora ho pensato a come quella stanza, che pure era vuota e immobile, mi aveva emozionato. E ho pensato poi a tutte le persone che quella stanza l’avevano riempita e vissuta e mi sono sentita ancora peggio.
Così, senza dire niente, senza un progetto approvato, senza un annuncio sui giornali, in silenzio, senza un ricordo, quella stanza è stata cancellata.
Mi dispiace, ma mi ripeto che non importa. Che l’importante non è il vuoto, ma quello che il vuoto lo riempie.

Sul sito di Interzona abbiamo creato (o meglio: Davide ha creato) una pagina dove chiunque può lasciare un messaggio e un ricordo che riguarda il cellone. Io ho guardato le foto e mi sono ricordata che, e questo è buffo, la prima volta in assoluto che vidi il cellone era nel video di “Acidoacida” dei Prozac+ e avevo 11 anni.

Oltre alle foto Giorgio ha caricato un video della serata “Cento Bombe”. E’ stata l’ultima serata dentro la Stazione Frigorifera Specializzata e aveva suonato un sacco di bella gente, dagli Uzeda ai Giardini di Mirò.

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