La mia vita a ritroso
Scritto da verdeanita il agosto 7th, 2012 | Leave a comment


Oggi
ho passato buona parte del pomeriggio a Vicenza, a bere vino bianco con Margherita e Daniele.

Il giorno prima, lunedì, avevo mandato un paio di mail per confermare un paio di concerti alla Casetta Lou Fai e di uno sono particolarmente felice. Si tratta di Hurray For The Riff Raff e i veronesi lo vedranno ad ottobre. Io probabilmente non lo vedrò mai ma era bello perchè è il primo booking consapevole che ho fatto con Sebastian.

Domenica eravamo andati a mattere a posto la Casetta, io, Paolo, il Campa e tutta la banda di Vaggimal Records e Atelier Discreto. Poi eravamo andati a mangiare la pizza all’Oca Bianca, che era la pizzeria di tutte le pizze di classe e infatti il Toba continuava a fare battute sceme. E dopo la pizza eravamo andati a vedere gli Zen Circus a Zevio.

Sabato c’era stata la Casetta, con Olli e Vito a fare pezzi dei Fake P (lacrime, lacrime) e i The Great Northern X da Padova. L’organizzazione è state perfetta, avevamo un bar con i mojito e abbiamo montato un palco sul prato e poi io e il Campa abbiamo messo i dischi dopo il concerto, tamarri ma con stile.

Giovedì ero ancora a Berlino. Ero arrivata in Weserstraße 58 stanchissima, con i soldi contatissimi per l’ingresso e due bicchieri di prosecco e senza aver cenato. Avevo messo in ordine la mia stanza per tutto il giorno e impacchettato le mie cose per far posto alla ragazza che nei prossimi due mesi prenderà il mio posto. Quella sera suonavamo due quinti dei The Burning Hell che ho conosciuto (perché in realtà i The Burning Hell sono molti di più), ovvero Mathias e Ariel, e poi metteva i dischi Sebastian.  Suonavano un concerto piccolo, tranquillo e quasi acustico, con pezzi vecchi e nuovi e qualche cover. Alla fine della serata ero veramente rimasta senza soldi e quando Mathias mi aveva vista contare sulla mano tutte le monete che avevo nella borsa, compresi dieci centesimi canadesi, mi aveva offerto lui il giro seguente. E la barista mi aveva presa in simpatia, quindi non mi dava più i calici piccoli, ma dei bicchieri enormi.

Una ragazza con i capelli corti si era seduta vicino a me e mi aveva chiesto “Ti ho vista spesso nell’ultimo mese, come li conosci?” “Vuoi davvero sapere come li conosco?” avevo risposto io “Perché questa è una storia ancora più lunga di quelle che racconto di solito e da un lato comincia alle superiori, quando ho cominciato ad organizzare concerti in un posto chiamato Casetta Lou Fai e con gli amici che sono diventati sempre più grandi  e hanno cominciato a fare i tour e tramite contatti vari mi avevano chiesto di ospitare una tappa di un tour da record mondiale. Dall’altro lato ci sono io che una mattina salgo sulla metro incazzata perché c’erano i lavori e avrei dovuto cambiare tre volte invece che due e incontro Sebastian e attacco bottone con lui e quando lo aggiungo su Facebook scopro che questo tour da record l’aveva organizzato lui”. Perché il mondo è veramente piccolo.

Di concerti poi ne ho visti parecchi negli ultimi mesi. C’era stato il Down By The River Festival, in un posto che di solito non mi piace, ovvero il Kater Holzig, e che quel giorno era pieno di persone adorabili, tipo Jenn, una ragazza adorabile che avevo visto suonare una volta allo Schokoladen, o Heiko, che si è guadagnato un posto nel mio cuore come barista preferito, ridandomi il deposito di due bottiglie il giorno dopo, visto che mi ero dimenticata le Pfandmarke della sera prima nella borsa. Suonavano poi persone che adoro, come i The Wave Pictures (concerto cominciato in ritardo visto che io e Mattia avevamo intavolato una conversazione sul cibo merda con David Tattersall al banchetto del currywurst). C’erano stati i Frozy, il gruppo con la più alta densità di Danelectro mai visto che avevano suonato al Kim Bar, un baretto stile Manchester dalle parti di Rosenthaler Platz. C’era stato Nick Ferrio and His Feelings, progetto di un membro dei The Burning Hell, che aveva improvvisato un concerto acustico ad un camioncino che vendeva tacos, la sera del compleanno di Paolo. C’erano stati i The Burning Hell al Südblock a Kottbusser Tor. Ma anche i bellissimi More Eats e Scrambled Meggz, una bellissima sorpresa giunta appena dopo che l’Italia era passata di turno agli europei. Avevo attraversato l’Admiralbrücke da sola, faceva ancora freddo e nella mia testa pensavo “Chissà che accadrà stasera” e quella sera era successo di tutto. Ancora non avevo idea che Newfoundsland fosse la traduzione di Terranova e che il Lichtenstein fosse così vicino all’Italia.

L’ultimo sabato a Berlino avevo organizzato un picnic di arrivederci che si era trasformato in WG-Party ed era venuto un pout pourri di gente, tra amici vari, ex morosi, compagni di università e gente che avevo conosciuto ai concerti. Il giorno dopo mi sentivo veramente strana e felice e tristissima allo stesso tempo. Quella strana nostaglia per il futuro che non ha veramente senso, ma che mi ritrovo a provare troppo spesso.

Negli ultimi mesi a Berlino ho fatto anche altro: ho cambiato casa, ho finito il mio secondo semestre, ho ballato tutta la notte al party aziendale con un tizio bellissimo che non vedrò più, sono andata per la prima volta da sola ad un festival (il Melt!), sono andata a perlustrare quartieri di Berlino dove non ero mai stata, mi sono presa una cotta bellissima e sono riuscita a fargli vedere tutti gli squat di Rosenthaler Platz e Mariannen Platz nel giro di una manciata di ore, ho pagato per la seconda volta una costosissima assicurazione sanitaria tedesca di cui non riesco a liberarmi, ho prenotato nuovi aerei per posti dove volevo tornare assolutamente. E soprattutto, la cosa più divertente, ho aiutato un bellissimo gruppo canadese formato da persone magnifiche a battere un record mondiale. Dieci concerti in dieci stati in 24 ore, sul serio. Noi eravamo il concerto numero nove, dopo l’Austria e prima della Slovenia.


The Buring Hell


The Lovecats

Matteo Fontanabona & Federica Furlani
Complesso Architettonico

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Muoversi tantissimo stando nello stesso posto.
Scritto da verdeanita il aprile 12th, 2012 | Leave a comment

Mi manca The Field. Me ne sono resa conto oggi quando sono incappata in un breve video del suo concerto ad Interzona.
Il suo concerto l’avevo voluto tanto e c’erano stati un po’ di storie legate a date che si sovrapponevano e al fatto che fosse una cosa un po’ rischiosa. Lo stesso fine settimana c’erano in tour anche gli Akron/Family e pareva difficile farli suonare lo stesso fine settimana, incastrare le date, fare due date così grosse proprio una dopo l’altra. Alla fine invece ci riuscimmo. The Field il venerdì e Akron/Family il sabato. Ero così contenta che prenotai un biglietto d’aereo appositamente.
Con gli Akron/Family fu amore immediato, prima e dopo il loro concerto. Ero arrivata ad Interzona stanchissima perché il pomeriggio, non soddisfatti dai due concerti esplosivi, noi Richelli Bros insieme al Campa e ai ragazzi dell’Atelier Discreto e di Vaggimal Records, avevamo organizzato Maledetta Primavera alla Casetta Lou Fai. Avevano suonato tanti gruppi veronesi e anche Maolo, con il suo progetto Quakers and Mormons con un set speciale con il violino. C’era tanta, tantissima gente e come al solito non avevo il tempo di parlare degnamente con nessuno. Con Maolo ci parlai un po’ seduta sul prato e non so se lui abbia capito quanto mi abbia fatto piacere che lui fosse lì. Quanto mi abbia fatto piacere che abbia aperto anche ai Saroos a novembre a Interzona. Parliamo dei suoi vecchi progetti, dello Schokoladen, dell’Immergut Festival dove l’ho visto suonare l’ultima volta con i My Awesome Mixtape e del fatto che, urca, è dal 2007 che ci conosciamo.


(Quaccheri e Mormoni con set speciale con violini live at Casetta Lou Fai)

Ero arrivata a Interzona stanchissima e mi ero seduta a fianco di Seth. Avevamo cominciato a parlare del loro tour e io ero un po’ delusa perché era una cosa tutta nuova e non avrebbero suonato i pezzi dell’ultimo album, che a me piace tanto, e lui mi aveva raccontato di questo nuovo progetto che hanno, pieno di collaborazioni con altri musicisti. E poi, gentilissimo, mi aveva detto “Bè, dimmi se hai qualche suggerimento!” e io subito a raccontargli tutto degli Ancher, che quella sera aprivano per loro, e di quanto mi piacciano e di come mi piacciono i testi delle loro canzoni e di come odi l’italiano sulla musica cantata me nei loro testi invece no, lo adoro. E lui ascoltava tutto attento e alla fine mi ringrazia della chiacchierata e mi dice “Comunque io sono Seth”. E io ringrazio lui e gli racconto anche dell’estate scorsa, di quando dovevo andare a vederli in spiaggia e invece poi dovevo recuperare un documento importante e avevo perso il treno e Michele si era arrabbiato tantissimo con me. “Peccato”, fa lui.
Il concerto fu proprio uno di quei concerti in cui mi innamoro. Giulio Brusati ne ha fatto una recensione che ne parlava malissimo e benissimo e che io condivido, davvero. Eppure, anche condividendo le critiche negative, il concerto lo adorai con tutta me stessa (che è anche quello che capita quando ti innamori, no? Di amare anche i difetti…). Alla fine ci eravamo messi tutti a fare il coro di “Another Sky”e l’avevamo ripetuto una, tre, cinque volte e Seth era sceso dal palco e si era messo a girare per la stanza completamente (che soddisfazione) piena. E alla fine non era quella la fine, perché suonarono per tanto, tanto, tanto ancora.
Dei fricchettoni in piena regola, come ci aveva detto anche Alessio, raccontandoci del sound check. Un sound check eterno, perché l’avevano fatto con calma, provando tutti gli strumenti e poi trovando nuove idee anche in quei momenti che di solito uccidono l’ispirazione. E loro non se ne erano neanche resi conto, di averci messo così tanto. Adorabili.
Con loro, quindi, era stato amore subito e ho passato le settimane seguenti a consumare tutti i loro dischi.

(qui live da un’altra parte ma sono belli lo stesso)

Sabato alla Casetta avevo anche rapito Mattia aka unavoceacaso. Lui, in realtà, doveva venire venerdì, perché era stato lui a farmi conoscere The Field. The Field mi è mancato oggi. Proprio oggi mi è tornata la voglia di un suo concerto.
Prima pensavo solo ai contorni divertenti della serata, al suo volto un po’ piratesco e alla strana espressione rilassata, menefreghista e simpatica che aveva mentre si rigirava il calice di Valpolicella tra le mani e ci raccontava dei suoi primi ascolti di musica punk, dei locali che frequentava quando viveva in Svezia, dell’atmosfera che si respira a Berlino dove vive adesso e altre cose sul tour e i dischi. Alla discussione che intrapresi con il suo batterista, un tedesco biondo, abbronzato e sorridente che vive a Colonia, con cui parlavo di estremismi politici. Lui si era inserito nella discussione e aveva deciso di chiuderla brindando con un altro bicchiere di Valpolicella e dicendo ““Bè, ma siamo tutti d’accordo che i nazisti non ci piacciono, no?”. E anche alla fine della serata, quando erano tutti presi benissimo e volevano andare a cercare un altro bar, ma bar a Verona non ce ne sono e quindi avevano preso un paio di bottiglie di altro Valpolicella e mi avevano invitata in albergo. Ero tornata a casa qualche ora più tardi dividendo il taxi con Ambro, che quella sera faceva il fonico.

Prima invece, mi è tornata in mente proprio il suo concerto, con quei loop penetranti e ipnotizzanti.
La domenica sera seguente avevo rivisto Ambro e ci eravamo messi a commentare il concerto. “Ma non ti stufi a sentire le stesse cose per tutte quelle sere di fila?” E poi ci eravamo messi a canticchiare tutti i pezzi che aveva suonato. Di pezzi ne avrà suonati cinque e il concerto era durato un’ora e mezza. Un’ora e mezza che era passata via velocemente, come quando ti addormenti e sogni profondamente e al risveglio non sai dire quanto tempo è trascorso. Un’ora e mezza in cui quell’elettronica scarna e ripetitiva non mi era sembrata né scarna né ripetitiva e si era infilata nel mio cervello tanto, tanto in profondo. Mi è bastato rivedere quel video di appena un minuto per voler tornare a Interzona dentro il concerto di The Field.


(The Field live at Interzona)
Quel venerdì era stato l’inizio di uno di quei fine settimana in cui mi muovo tantissimo anche se sto ferma nello stesso posto. E quel concerto, con quel mondo racchiuso in così pochi suoni, ne è la metafora perfetta.

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Il cellone
Scritto da verdeanita il marzo 27th, 2012 | 1 comment

foto di Giulio Callegaro

Come posso cominciare? Sono tornata a casa a Verona da una settimana e ancora non ho trovato il tempo di raccontare lo scorso fine settimana.
Comincerò con un posto, un posto che non esiste più. Un posto che, nonostante tutti i posti abbandonati che abbia visto finora, restava il più incredibile di tutti. La stanza più incredibile dentro l’edificio più incredibile.
Ci entrai una volta sola, l’estate scorsa. A causa della scarsa luce non riuscii a scattare nessuna foto, ma non era importante, perché nessuna foto sarebbe riuscita a trasmettere l’emozione e lo stupore che provai entrando dentro quello che era chiamato “il cellone”.
Nella Stazione Frigorifera Specializzata sono da poco ripresi i lavori dopo anni di inutilizzo. Quando vi entrai, l’estate scorsa, la Stazione Frigorifera Specializzata era quindi rovinata. Le pareti erano grigie e scrostate, le porte arrugginite, i pavimenti pieni di buchi e il tetto in alcuni punti era crollato. Quando entrai nel cellone mi sembrò di entrare in un altro universo. Mi pareva di essere su un altro pianeta. La stanza era enorme e dalla forma irregolare. Le pareti si curvavano per adattarsi alla forma dell’edificio. Un paio di colonne si ergevano in mezzo alla stanza. Per entrare eravamo scesi per una rampa. Non entrava luce dall’esterno e tutto, dalle pareti alle colonne, passando per il soffitto, tutto era coperto di alluminio. E tutto era perfettamente conservato e contrastava in modo quasi surreale con le altre stanze che cadevano a pezzi. Il suono era diverso, la luce era diversa. Avevo visto le foto di quel posto, ma entrarci e camminarci attraverso con i miei piedi e i miei occhi mi parve una cosa tutta nuova e impossibile da descrivere. Pareva che il tempo in quella stanza si fosse fermato. Era tutto luccicante, freddo e perfetto. Pareva intoccabile, pareva immortale.
Ma la settimana scorsa i lavori sono ripresi e quella stanza, che pareva destinata a restare immobile e a non invecchiare mai, è stata distrutta.
Quando mi è arrivata la notizia ho ripensato a quanto fosse bella, a quanto fosse indescrivibile e a quante volte, nonostante questo, ne avessi parlato a tutti i miei amici e a quando avrei desiderato portarceli ad uno a uno, per farli scendere lungo quella rampa e per poi sentire i loro versi di stupore, come era successo a me. E ho sentito del vuoto in fondo allo stomaco.
E ancora ho pensato a come quella stanza, che pure era vuota e immobile, mi aveva emozionato. E ho pensato poi a tutte le persone che quella stanza l’avevano riempita e vissuta e mi sono sentita ancora peggio.
Così, senza dire niente, senza un progetto approvato, senza un annuncio sui giornali, in silenzio, senza un ricordo, quella stanza è stata cancellata.
Mi dispiace, ma mi ripeto che non importa. Che l’importante non è il vuoto, ma quello che il vuoto lo riempie.

Sul sito di Interzona abbiamo creato (o meglio: Davide ha creato) una pagina dove chiunque può lasciare un messaggio e un ricordo che riguarda il cellone. Io ho guardato le foto e mi sono ricordata che, e questo è buffo, la prima volta in assoluto che vidi il cellone era nel video di “Acidoacida” dei Prozac+ e avevo 11 anni.

Oltre alle foto Giorgio ha caricato un video della serata “Cento Bombe”. E’ stata l’ultima serata dentro la Stazione Frigorifera Specializzata e aveva suonato un sacco di bella gente, dagli Uzeda ai Giardini di Mirò.

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