blublublu
Scritto da verdeanita il agosto 30th, 2008 | 3 comments

Stava per accadere una cosa carina, ma non è successa. Non ha nulla a che fare con la mia collezione di pennarelli verdi. Comunque non è successa.
Aveva a che fare con questa estate piena di partenze. E i miei post-it tagliuzzati per indicare dove siete, nella mia cartina dell’Europa, sopra il letto della mia nuova stanza.
Sul fatto che i bolognesi non esistono dovrei scrivere un nuovo capitolo. "I bolognesi non esistono, a parte quelli stronzi". A parte le vecchiette isteriche vestite a pois che strappano i volantini che appendi con tanto amore in via Zamboni. E a parte i ragazzi che cercano di rimorchiarti in Vicolo Bolognetti, ma loro non sono stronzi: sono solo un po’ noiosi.
"Che ci vengo a fare ai Giardini Margherita con te, che qui posso bere tè alla pesca ascoltando Morrissey?".
Sono anni che non vado al mare. E ho deciso che la settimana prima dell’inizio delle lezioni tenterò la fuga in barca. Con l’Amico Matte. Perchè è una vita che non facciamo cose insieme.
Stava per accadere una cosa carina, ma non è successa. Aveva a che fare con la geografia distorta ed emotiva. Le cinque cartoline che un impiegato dell’ufficio postale di Napoli ha guardato male: "Tutte all’estero?" mi ha chiesto. "Sì, tutte all’estero". Due in Polonia, una in Austria, una in Svezia e una in Turchia. Le ha pesate una per una e ci ha appiccicato sopra un’etichetta perchè nell’ufficio postale non c’erano francobolli.
Le avevo comprate durante la mia permanenza a Parigi durata circa otto ore. Giusto il tempo di andare a vedere se nella mia cartoleria preferita vendevano ancora le buste dalla forma strana.
Stava per accadere una cosa carina, ma non è successa. Aveva a che fare con i cento metri davanti a casa, che facilmente possono convincerti di essere in un’altro stato.
Quando entro nel mio palazzo sono in Cina, quando prendo una pizza sono in Pakistan, quando entro nel call center sono in Africa.
E aveva a che fare anche con i diversi fusi orari. Perchè quello stato minuscolo da dove proviene la mia nuova coinquilina americana ha lo stesso fuso orario di New York e quindi è sei ore indietro. La sua amica, che voterà alle sue stesse elezioni, viene invece dal Texas e le ore di differenza sono otto. E lei è felice che Bologna sia una città fredda, perchè a Dallas fa sempre caldo. "100 gradi!". E devo spiegarle che noi usiamo i Centigradi, perchè a 100 gradi qui ci cuociamo la pasta. Un ragazzo che viene dal Minnesota mi ha detto che da lui la neve è altissima. Mi ha anche chiesto se ascolto i Broken Social Scene e sono rimasta sul vago, però ho scritto, sul suo quadernino di un formato strano, i nomi e gli indirizzi di tutti i locali dove vado.
Forse aveva a che fare anche con quel ragazzo che ho conosciuto a Saint Malò e che il giorno prima era proprio a Bologna e che mi dice "Cosa fai qui? C’è così freddo!".
Lo so. Ma ho scoperto che i concerti sono meglio con il freddo.
Là in Bretagna aspettavo i gruppi sotto il palco indossando la mia felpa azzurroincredibile con una spilletta rossa dei Gonzo48k. Quando i francesi ubriachi mi chiedevano cosa fosse io dicevo che era di un bel gruppo italiano che aveva suonato a casa mia. E quando i gruppi cominciavano a suonare potevo dimenarmi un po’ e togliere la felpa e restare con una maglietta più leggera e ballare senza sudare (non con i Jeans appiccicati alle gambe completamente imbevuti di sudore e la gente pressata come al concerto dei Franz Ferdinand).
Comunque, fare il bagno nell’acqua gelida parlando inglese è stato incredibile quasi quanto sentire un altro concerto dei Notwist in atmosfera zen e poi, quando ero già abbastanza felice e appagata, sentire i Sigur Ros e pensare a tutte le persone che conoscevo che avrebbero voluto essere lì. E invece erano sparse per l’Europa, come i miei post-it viola.
Ho staccato il mirino alla mia Canon del 1970 e l’ho alzata verso il palco. Riuscivo a vedere perfettamente quello che stavo inquadrando. Quando ho scattato e ho rimesso la macchina nello zaino ho detto "Fottetevi, voi e le vostre macchine digitali." [La mia Canon è tra le pochissime macchine fotografiche che permettono di fare questo giochino. Io la amo e con lei e con i rullini ferrania che vendono alla coop posso essere felice ancora per un po’. Fino a quando non andranno fuori produzione.]
Ho anche visto le Breeders uccidere "Cannonball" come una coverband qualunque.

Cerco di togliermi i brufoli con uno sciroppo al carciofo.
Compirò ventun anni tre giorni dopo il mio secondo concerto esperienza degli Uzeda e tre giorni prima le mie seconde sudatissime danze con i Los Campesinos!.

double dare
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Teorizzazioni inutili sulla diversità delle canzoni
Scritto da verdeanita il giugno 21st, 2008 | Leave a comment

(ovvero: quando cerco di fare post seri divento incredibilmente noiosa)
Ho passato il mio secondo anno a Bologna a segnare accuratamente sull’agenda ogni concerto interessante, decidendo se andarci in base alla disponibilità economica, agli ascolti alla radio, agli articoli sui blog e alla possibilità di Moroso e Coinquiline di accompagnarmi.
Cominciai con il Locomotiv che puzzava ancora di vernice e conclusi nuovamente con il Locomotiv.
La prima sera ero spaesata e indifesa e l’ultima sera ci andai da sola e parlai con svariate persone che col tempo (e coi concerti) avevo bene o male conosciuto (c’è poco da fare: ai concerti siamo sempre gli stessi).
Le Coinquiline erano facili da convincere e avevano una certa varietà di commenti (Giulietti mandò anche una mail a Pelle Carlberg e lui le rispose).
Il Moroso mi seguì più di rado, ma comunque spesso. E al termine di ogni concerto commentò sempre allo stesso modo: "Bravi, ma le canzoni erano tutte uguali".
Credo di non aver mai intavolato una discussione sulla veridicità di questa affermazione, attribuendola ad un ascolto poco attento, o al fatto che se durante i concerti si può precipitare in uno stato di trance in cui, al temine, sembra di aver fatto e sentito la stessa cosa per un ora e passa.
E’ ovvio che un gruppo ha un certo stile, che in un album sviluppa certe idee e certi ascolti ed è impossibile e forse inutile fare un album con canzoni completamente diverse.
Ma col passare dei giorni (e dei concerti) qualche dubbio è venuto anche a me.
Sono così passata ad analizzare (anche se questo termine è troppo pomposo) i dischi che il mio iPod Zoran III mi proponeva (prima di abbandonarmi per la quindicesima volta) anche sotto questo aspetto ("la diversità delle canzoni").
Mi sono venute in mente tante idee disordinate.
Ad esempio, la prima cosa che mi viene in mente è che "adesso c’è internet", quindi se una volta i gruppi dovevano sudarsi un disco e la promozione, ora tutto questo viene fatto molto più velocemente ed economicamente.
Ma questo può anche voler dire che dietro ad un disco, oltre ad esserci meno lavoro, c’è anche meno attenzione e meno riflessione.
Attenzione da parte di chi il disco lo produce, che può preoccuparsi non tanto del potenziale musicale, ma del numero x di amici che il gruppo Tale ha su myspace o dello spazio che ha trovato sui blog.
Riflessione da parte del gruppo, che in vista di un esordio imminete o della velocità del web può essere portato a scrivere canzoni sull’ondata della prima buona idea che riesce a sviluppare.
C’è anche da dire che il paragone che il mio morosetto fa spesso con grosse band del passato probabilmente è poco consono.
Sono sicura che ci abbia già pensato il tempo a scremare tra i gruppi del passato, facendoci pervenire solo le cose più importanti.
Quello che sto seguendo ora è solo un grande e normale flusso di gruppi, concerti, recensioni e dischi di cui riusciremo a cogliere il valore tra cinque o dieci anni, quando di tutti questi dischi ne verranno ricordanti una decina o forse un paio o forse neanche uno.
Io non ce la faccio proprio a valutare di più un gruppo perchè costruisce meglio le canzoni, o perlomeno non la ritengo una cosa così importante, a livello di piacere personale.
Ad esempio ci due dischi che mi sono piaciuti molto di due gruppi che ho anche visto dal vivo, due concerti piacevoli e due dischi ascoltati spesso e due giudizi che sono l’esatto opposto.
Here Comes the Wind degli Envelopes e Hold on now, youngster! dei Los Campesinos!
A livello di album e di canzoni, credo che oggettivamente siano meglio gli Envelopes. C’è più diversità e più struttura, mentre nei Los Campesinos! è sempre la stessa cosa, la stessa idea, in tante declinazioni diverse ma complessivamente il disco è troppo irruente e di minor sostanza.
Però a livello di idea o di attitudine o di suono, preferisco di gran lunga i Los Campesinos!
(Forse tutto ciò è anche da attribuire al fatto che gli Envelopes sono al secondo album e i Los Campesinos! soltanto al primo, ma dovendo ancora ascoltare per bene Demon, non saprei dire…).
Inventandomi una storiella e proiettando tutto in un universo parallelo, se non ci fosse internet secondo me la cose andrebbero così: i Los Campesinos! avrebbero impiegato molto più tempo a pubblicare il loro primo album, ma avrebbero anche avuto modo di farsi venire in mente altre cose e di sperimentarle, aggiungendo molto di più a quell’idea che è il filo conduttore di tutto il disco, pubblicando qualcosa di veramente meraviglioso.
Perchè parlando di idee e di filo conduttore, mi viene sempre da citare gli Strokes e Rooms on Fire, magari un disco piacevole, ma che io ritengo sostanzialmente inutile, e loro non erano neanche alla prima prova.
Ma ascoltateveli che è meglio:
Envelopes – I’d like 2 C U  (via frigopop!)
Los Campesinos! – This Is How You Spell "Hahaha, We Destroyed The Hopes And Dreams Of A Generation Of Faux-Romantics"  (questa dovete inoltre impararla a memoria e urlarla il 4 luglio alla Lou Fai squarciandovi le corde vocali come facciamo io e Michele)

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I messaggi sul celluare vecchi tre anni che non cancelli
Scritto da verdeanita il maggio 28th, 2008 | 2 comments

Desidero essere bella e attraente solo in determinati momenti. Dopo il concerto degli Envelopes al Covo avrei voluto essere come quella ragazza che ballava da sola nella stanzetta più lunga che larga. Avrei voluto essere come lei, ma solo al quaranta per cento.
Prima di uscire di casa, pensando esclusivamente all’essenza pratica della cosa, avevo infilato in borsa un pacco di biscotti secchi dell’euro giallo, perchè avevo fame,  e un rotolo di carta igienica, perchè so che al Covo finisce sempre e nussuno se ne cura e io devo andare in bagno mediamente ottomila volte a serata.
Un tempo avremmo definito questo gesto molto indie. E, essendo una cosa molto indie, non mi avrebbe in alcun modo reso una ragazza bella e attraente. Al massimo simpatica.
Il concerto degli Envelopes non esisteva, nell’elenco dei concerti che avevo appeso in cucina, sperando di convicere le coinquiline a seguirmi.
Non esisteva perchè le mie finanze erano, al solito, molto scarse e perchè avevo deciso di non curarmi di questo gruppo, appunto per non soffrire eccessivamente.
Poi però, visto che, come dice il bellissimo Krugman-Wells, la propensione al consumo aumenta anche se aumentano solo le speranze di guadagno future, e visto anche che il disco era molto carino e visto anche che era l’ultima sera del Covo e visto anche che avevo svariati argomenti con cui convincere le coinquiline a segurmi, il concerto comparve nei miei appuntamenti bolognesi.
Una volta entrata nel mio appartamentino mi accorsi però che le coinquiline erano fuggite e per non andare al concerto da sola mi feci prestare il moroso da una di loro.
Il mio accompagnatore si presentò puntuale alla mia dimora, anche se io avevo paura di essere in ritardo, preoccupata dal fatto che dallo studio di via Berretta Rossa i conduttori di Polaroid fossero già fuggiti da un pezzo. Invece il Covo era ancora vuoto e silenzioso, quando ci misi piede per l’ultima serata della stagione.
Inutile tentare una recensione che mi riuscirebbe male.
Vi dirò solo che in questi giorni ho ripensato al concerto degli Who, a quando me ne stavo sotto la pioggia e urlavo "No Rain!" e desideravo una canzone un po’ particolare e la invocai segretamente nel mio cuore, sapendo che tanto non l’avrebbero fatta perchè è una di quelle canzoni che non compaiono mai nelle scalette e infatti non la suonavano da secoli, e impazzii e cominciai a ballare con gusto quando capii che, sì, quella canzone la stavano effettivamente suonando, proprio lì, proprio loro, e io ero inzuppata di pioggia ma dai gradoni della scalinata non numerata saliva tutto il calore accumulato durante una giornata di sole intenso e si stava di un bene che non potreste immaginare. Un momento di quelli che vorresti registrare e tenere con te, come i messaggi sul celluare vecchi tre anni che non cancelli.
Mentre me ne stavo lì sotto il palco del Covo, in mezzo ai saltelli e agli sgomitamenti, pensavo che ogni concerto live ha un po’ la stessa magia ed è bello quando vai a risentire lo stesso gruppo milioni di volte. Loro che suonano e te che ascolti. Ogni volta è sempre lo stesso momento.
Un po’ diverso è quando vai a sentire gruppi che difficilmente torneranno, o torneranno tra molto tempo.
Quindi mentre cantavano canzoni belle come I’d 2CU e tante altre cercavo di fotografare appieno quel momento.
Mi è dispiaciuto salutare gli Envelopes, alla fine del concerto.
Passai anche il sabato al Covo, anche se questa volta non era il club di viale Zagabria, ma un bar a Ferrara, circondato da un grande prato, dove si svolse la cena di fine anno con tanto di saluti agli erasmus.
Dopo la mia serata intitolata "collasso-etilico-in-piazza-rossini" pensavo che non esistesse poesia nelle sbronze violente. Invece sabato mi ricredetti, mentre prestavo assistenza a qualche amico che stava male.
Pensandoci, voglio un gran bene ai miei compagni di università.
Quando mi hanno chiesto se preferivo il Liceo o l’Università ho risposto con tono velato e nostalgico "il Liceo", ma non certo per la gente.
Preferisco il liceo perchè era fatto di routine, e di gente a cui tenevo e tengo che potevo vedere tutti i giorni, e di pomeriggi passati nel bicentenario edificio scolastico, e di concerti hendrixiani e di converse verdi fotografate nel cielo del chiostro.
Non amavo il liceo per la gente che mi trovato tutti i giorni a lezione.
Invece qui è il contrario. Non ho affetto per le aule che distano chilometri le une dalla altre, per gli uffici labirintici di Palazzo Hercolani dove le aule più belle sono chiuse per noi studenti e vengono aperte solo quando ci sono i convegni e il giardino si riempie di olive ascolane per gli ospiti, o per le diciotto biblioteche, ognuna con un diverso sistema di prestito e ognuna con gli stessi libri, site nello stesso edificio, una per ogni dipartimento.
Ma la gente non è quella che mi sono ritrovata intorno in base a criteri casuali. Sono gli amici che mi sono scelta. Sono i compagni con cui abbiamo realizzato grandi cose. Sono coloro che un giorno diventeranno i personaggi delle mie storie, quando racconterò: "Una volta sono andata a cena con Gian Carlo Caselli e a Bologna ero così povera che senza curarmi di essere al tavolo con un personaggio importante mi sono fatta fare un pacchettino per portarmi a casa la carne avanzata".
Andare a Ferrara e vederne solo la periferia e consolare le insicurezze e scherzare con chi sta per ripartire.
Vedere Bologna deserta, alle sette di una domenica mattina.
Con la tentazione di rifiutare un 18 in Macroeconomia, la mia permanenza a Bologna di concluderà giovedì mattina, dopo aver portato a termine impegni faticosi come "la settimana dei super-concerti".
Ieri sera le coinquiline presenti mi seguirono senza problemi, un stanche da un pellegrinaggio a San Luca, ma piene di aspettative.
Fu grazie a loro che la serata si concluse bene. Infatti la cara Bongio, euforica dalla performance, convinse me e Giulietti ad attendere i quattro concertanti fuori dall’Estragon, gironzolando in bici, in attesa come squali.
In barba a quello che diceva un articolo del Mucchio Selvaggio sulle grupie secondo cui ci sarebbe una scala gerarchica in un gruppo dove in cima c’è il cantante e in fondo il batterista, dopo aver consumanto l’album e dopo averlo scrutato in mezzo a danze sfrenate durante il concerto, mi sono palesemente dichiarata a Chris Tomson dei Vampire Weekend dicendogli che amo il suo modo di suonare la batteria, senza capire una mazza di quello che mi rispose, ma dicendogli anche che spero di rivederli presto a Torino.
"Great Concert!" è la frase standard dei miei approcci dopo i concerti. Ma è una cosa vera.

Camera Obscura – Biggest Bluest Hi-Fi
[un gruppo che mi sta piacendo a livelli pericolosi, capito Michele?]
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