My Awesome Mixtape @ Covo
Scritto da verdeanita il ottobre 15th, 2007 | 5 comments

Convinsi molta gente a seguirmi, sabato sera. Il mio appartamento si riempi di gioiose figure. Io, la mia cara coinquilina Elisa, Michele, Ilaria e Valeria.
Io e Elisa, poche sere prima, ci eravamo lanciate in una inconcludente perlustrazione del centro di Bologna (comprendente le note mete di aggregazione giovanile, Piazza Verdi e dintorni). Giungemmo ad un unica conclusione: per riuscire definitivamente ad ambientarci a Bologna avremmo dovuto comprarci un cane, forarci la faccia in vari punti, acconciare i nostri capelli in modo improbabile e aggiungere ai nostri accessori una bottiglia di birra a 66 cl. La prospettiva non era invitante.
Quindi sabato sera lei accettò di buon grado di seguirmi verso nuove mete. Michele ci raggiunse perchè incuriosito dal gruppo, Ilaria venne invitata in quanto fan e Valeria fece una piacevole improvvisata. La nostra combriccola veronese si apprestava quindi a raggiungere il Covo.
Consultando la mia fedele piantina di Bologna, che mi ha permesso più volte di trovare un appartamento, individuai il 20 direzione Pilastro come mezzo di trasporto.
Sempre consultando la medesima piantina, a bordo del 20, feci scendere la mia combriccola alla fermata esatta. E, un po’ incerta, condussi i miei amici all’interno del Covo.
Ero spaesata. Bastò un manifesto dei Canadians a farmi sentire a casa.
Il Covo mi lasciò perplessa, con quel suo susseguirsi disordinato di stanzette e la sua dichiarata avversione per la carta igenica. Me lo aspettavo diverso, il Covo, ma era carino. Poi una porta si aprì, rivelando un altro paio di stanzette. E in fondo ad una di queste stanzette si trovava un palco, con sopra gli strumenti e tutto il resto.
Mi appostai sotto di esso e attesi.
Quando i Mam salirono sul palco, io e Ilaria relizzammo che solo tre di loro avevano suonato a Verona. Gli altri erano facce nuove.
E cominciò il concerto.
Percepii lo strano impatto che ebbero i Mam sui miei accompagnatori. Anche io ci misi un po’ a entrare in sintonia con tutto ciò che mi stava intorno.
L’acustica non mi convinceva, ma attribuii questo al rapporto di intimità che avevo instaurato con una cassa spia. Paragonato al concerto di Verona, questo mi sembrava un po’ più cupo.
Dopo questo inizio incerto, canzoni come "Amiga" mi fecero tornare in mente tante belle sensazioni e cominciai realmente a divertirmi. Anche i miei accompagnatori cominciarono a sciogliersi. Quindi la mia ansia da prestazione, ossia l’incubo di trascinare persone ad un concerto a loro non gradito, scomparve.
L’energia che i Mam trasmettono dal palco è enorme, questo l’ho già detto in passato. L’atmosfera era speciale, la gente era tantissima.
Amai incommensurabilmente le canzoni del demo e apprezzai quelle che sentivo per la prima volta. E loro erano sempre teneri con i loro cuoricini di feltro, ma più carichi.
Il concerto è stato chiaramente un crecendo, è andato sempre meglio. Fino alle ultime due canzoni: una versione di "Diderot" cantata avendo come unica base il battito di mani del pubblico e l’evanescente "Me And The Washing Machine" con tanto di coro urlato da tutti i presenti.
Bello, molto bello. Come primo approccio col Covo posso ritenermi soddisfatta.
Elisa fu molto felice di aver trovato un posto apprezzabile. Mi accompagnerà anche la prossima volta, per i Canadians.
Abbiamo scoperto un pezzo di Bologna diverso e più confortante. E ho recuperato il coraggio necessario per entrare di più in contatto con questa città.
Mi sono decisa e ho chiamato un maestro di batteria, un certo Giuseppe. Che mi dice che suona vari generi ma non il metal. E che poi mi chiede "Tu cosa suoni?" e io, non suonando praticamente nulla, interpreto la domanda come un "Cosa ascolti?". Per me non esiste domanda più difficile. Dapprima mi viene da rispondere "Un po’ di tutto" ma immediatamente realizzo che si tratta di una risposta fastidiosa e soprattutto inutile. Il mio sguardo scorre smarrito in giro per la stanza, verso il Mostro Nero che ingombra la cassettiera. Poi si posa sul porta Cd vicino alla scrivania e comincio a leggere i titoli dei dischi, come se fossero scritti su un bigliettino infilato nella tasca dei jeans durante un compito in classe. "Gli Who, i Jethro Tull, i Velvet Underground…" rispondo, approssimando. E poi aggiungo timidamente "…non so se li conosci… gli Yo La Tengo…".

La prima lezione di batteria nella città dei portici è fissata per martedì della settimana prossima.
Inoltre: è tornato l’iPod ed ovviamente è stato ribattezzato Zoran III.

My Awesome Mixtape – Me And The Washing Machine (da polaroid)
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My Awesome Mixtape e altre storie
Scritto da verdeanita il luglio 15th, 2007 | 4 comments

Una stellina dorata si è appena infilata sotto la tastiera del mio portatile.
Pochi giorni fa mi è giunta una lettera da Londra, con carta da lettere intestata rossa.
Ho litigato di nuovo con il timbro di ceralacca e poi ho risposto. E durante la ricopiatura della bella mi è finita la carta da lettere. Onde evitare di spedire una lettera con un foglio verde e uno bianco e fare la solita figura da proletaria squattrinata con il mio corrispondente capitalista preferisco attendere il lunedì e l’apertura della cartoleria.
Entusiasmata da tale conversazione fisica, spensi il cellulare. Da tre giorni esso dimora esclusivamente nella mia stanza e lo accendo sporadicamente (e quando lo accedo arrivano complimenti su questa mia esibizione dal mio maestro di batteria, il che fa accrescere assai la mia autostima).
Ho passato due giorni nella mia casa di campagna, sede della sala prove, a divertirmi assai.
I nostri mezzi tecnici sono stratosferici. Come non amare il bastone metallico su cui il microfono è malamente legato con dello spago o la lampada fatta passare tra la trave e il soffitto, per farla pendere esattamente sopra la batteria all’altezza della mia bocca, con il microfono incastrato permettermi così di suonare e cantare Today is the day in una bieca imitazione di questo video?
Il mio portatile è da poco tornato in forma e a suo fianco ho posto una economica antennina wireless che funziona magnificamente.
Grazie a lei passo le ore a vagare per blog amici e su last.fm.
E grazie a lei ho scoperto che io di Bologna non ho capito proprio un tubo. Ho passato sì un anno pieno di amore, ma privo di attenzione per i numerosi concerti che si svolgevano nella città dei portici.
La mia testa è sempre stata a Verona. Ma dall’anno prossimo le cose potrebbero cambiare. Prima di tutto perché sono alla ricerca di una casa vera e gioiosa e secondo perché le mie attività batteristiche potrebbero proseguire nella città universitaria.
Cerco un maestro di batteria che sia anche un maestro di vita. Che mi consigli concerti e locali e negozi di dischi.
Ebbi quindi un piccolo lampo di gioia quando lessi sul programma di Ar(t)senale che tra i due concerti da me più attesi (Ancher venerdì e Home questa sera) si collocava l’esibizione di un gruppo “indie pop da Bologna” al quale avrei potuto chiedere informazioni a proposito. E fui un po’ delusa nel constatare sul loro myspace l’assenza del mio strumento nella loro musica.
E passai il pomeriggio a pensare “Ci vado? Non ci vado?”
A questo punto rientrò in gioco la potenza di internet senza fili. Infatti, gironzolando tra i blog della veronasphere trovai un paio di post che mi invitavano in modo imperativo a recarmi all’ex-arsenale.
E ci andai.
E fu uno un concerto bellissimo. Il più interessante e sorprendente finora.
I My Awesome Mixtape erano carinissimi e avevano tutti un cuoricino di stoffa attaccato sui vestiti.
Suonarono in modo assai energico e alla fine erano sudati da far schifo.
Al termine del concerto chiacchierai un po’ con loro a proposito di Bologna (“Abbiamo suonato a Villa Serena” “Ah, sì, ma come si arriva a Villa serena?” “Devi prendere il quattordici” “Che culo, l’anno scorso passava sotto casa mia”). E poi comprai il loro EP. Disponibile gratuitamente su internet e su supporto obsoleto. Perché, mi dissero, che senso ha pubblicare su cd una cosa che si può scaricare da internet? (questo discorso avvalora la mia teoria sul prossimo decesso del supporto digitale)
Comprai quindi il vinile, che essendo composto da sole quattro canzoni, presenta un lato completamente liscio (e la cosa mi entusiasma), e lo abbracciai tornando a casa.

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E quella dopo il concerto รจ stata la migliore birra che io abbia mai bevuto.
Scritto da verdeanita il luglio 8th, 2007 | 3 comments

Ven 6 Lug – Sonic Youth performing Daydream Nation
Poco tempo fa, ripescando un vecchio numero del Mucchio Selvaggio lessi un intervista in cui un genio diceva che i preti dovrebbero prendere esempio dalle hall per concerti. Una messa dovrebbe essere un evento unificante per i partecipanti, che invece il più delle volte ne escono esattamente come ci sono entrate (magari anche più depressi). Invece ai concerti le persone più diverse assistono alla stessa esperienza, ascoltano lo stesso messaggio. È quindi un’esperienza quasi mistica e realmente fortificante.
In questa chiave che ho visto e sentito e vissuto il concerto dei Sonic.
Ed inoltre questo concerto aveva la peculiarità di presentare un album intero, ritenuto da molti il migliore del gruppo. Centinaia di persone si erano quindi recate in un posto sicure di sentire quello che volevano sentire e avevano aspettato ogni canzone e ogni nota colmi di ammirazione, sentendosi tutti parte della stessa cosa.
Le mie aspettative erano molto grandi, dopo aver litigato con il mio giovane amico sonico a causa di Daydream Nation.
Io andavo a questo concerto per capire, essenzialmente.
E credo di aver capito perfettamente.
Senza tanti inutili preamboli i Sonic Youth si sono presentati sul palco e hanno cominciato con Teenage Riot, canzone che non ho mai avuto problemi a definire bellissima, con le sue chitarre che annuiscono.
Ero a circa tre o quattro metri dal palco, all’inizio del concerto, proprio davanti a Kim Gordon.
La tranquillità della prima canzone mi ha giovato, perché ho una particolare adorazione per i concerti calmi e tranquilli, dove l’unica cosa che si fa è ascoltare.
E fu per questo che inizialmente pensai “Purtroppo” quando alla seconda canzone il pogo si rivelò crudele e devastante.
Ma decisi che era il caso di non tirarsela e di buttarsi nella mischia. E non andò per niente male.
A questo punto i ricordi diventano piuttosto confusi e cronologicamente spezzettati.
So che ad un certo punto mi sono ritrovata una testa spiaccicata sulla bocca, che ero in quinta fila e riuscivo comunque a toccare la transenna. Ricordo di aver perso e ritrovato i miei amici una quindicina di volte, di essermi girata e aver trovato lo zaino completamente aperto e di aver constatato preoccupata che l’iPod e il portafoglio erano beati al loro posto e l’unica cosa che mancava, perché in quel momento era l’unica cosa di valore, era la bottiglietta di acqua naturale, di aver toccato Marre chiedendogli “Ma è tutta roba tua quella che hai addosso?” e di aver ritirato la mano schifata, dopo la sua risposta affermativa, di aver elemosinato dell’acqua ghiacciata ad una ragazza di nome Laura, di non aver mai desiderato così tanto una birra fredda, di aver assistito un po’ sconvolta alla malvagia crudeltà di chi afferrava la gente e la buttava nel mezzo del pogo, e di aver provato tanta tristezza per una ragazza piccolina e carina in prima fila, con lo sguardo vacuo.
La mia sessualità ha mutato orientamento numerose volte a seconda della direzione del mio sguardo (mi sono quindi innamorata: di una gonna di pailette, di una grancassa dipinta, di una chitarra delicatamente strusciata sull’impalcatura, di una testa ricoperta di capelli bianchi, di vari amplificatori Marshall dipinti con le tempere).
E mi stupii di come da quello che avevo precedentemente considerato caos potesse nascere cotanta meraviglia.
Lo stato di trance fu accentuato dal fatto che non era faticoso reggersi in piedi perché c’erano altri corpi che mi sostenevano (e io sostenevo loro, ovviamente, e quindi era un sostegno reciproco).
Quello che devo a questo concerto è di aver fatto diventare Daydream Nation parte di me. Non era nulla, prima. Era un disco che avevo ascoltato troppe volte, troppo poco attentamente in momenti troppo lontani tra di loro.
Invece a Ferrara l’ho ascoltato e vissuto tutto, e oltre a melodie e dissonanze che si rincorrono per me, ora, Daydream Nation è anche tutte quelle cose che ho elencato prima, ed è anche “i Sonic”. È Kim Gordon con la sua sensualità sudaticcia e gli altri con la loro eleganza disordinata. E quella chitarra che accarezza l’impalcatura è stata commozione massima, e l’inizio basso e scavante, saltellante e crescente di PlayTotal Trash mi ha fatto un buco nel cuore. Ha scavato più in fondo di PlayDeeper Into Movies.
E quella dopo il concerto è stata la migliore birra che io abbia mai bevuto.

p.s.: quello che non ho capito, di questo concerto, è stato il gruppo spalla (My Cat Is an Alien). Ancora non riesco a capire se mi abbia infastidito di più il fischio finale o il fatto che loro avessero un rullino dentro la loro polaroid, e io no. O forse il fatto che la mia batteria ha solo un Crash e loro ne hanno martoriati due, che sono stati usati come un’arma da tartarughe ninja.

p.p.s.: nella sala prove degli Acido Pastello (e dei Camera Stilo) comparirà presto un simpatico ricordo di questo concerto: una scarpa col tacco rinvenuta in Piazza Castello in mezzo a lattine e bicchieri di plastica.
Mi dispiace per la Cenerentola della situazione, ma forse la prossima volta indosserà calzature più adatte.

Lo stesso post su last. fm, qui.
Ed inoltre post su Veronablog.

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