il tradizionale classificone di fine anno.
Scritto da verdeanita il dicembre 26th, 2011 | 1 comment


1. 13&God – Own Your Ghost
Vabbè, lo sapete, io sono incredibilmente monotona. Mi piacciono determinati gruppi e adoro indagare in tutti i loro side project e collaborazioni varie. Questa collaborazione tra Notwist e Themselves mi si è palesata con un singolo bellissimo “Old Age”, che è diventata la colonna sonora dei miei ultimi giorni a Berlino, quando stava per arrivare la primavera e non ne potevamo più di stare chiusi in casa e andavamo a ballare lungo i fiumi anche se il cielo era bianco e deprimente. Il disco l’ho consumato quando ero in Italia e andavo a correre lungo il fiume immaginandomi la gente che ballava e pensando che a Berlino dovevo tornarci ad ogni costo. E così è stato. Un disco che credo farei fatica a riascoltare per intero.

2. Battles – Gloss Drop
“Questo è l’anno dei Battles”, mi sono detta dopo il loro concerto a Berlino, pochi giorni prima di tornare in Italia. “Questo è l’anno dei Battles”, mi ripetevo all’aeroporto di Brema, mentre mi districavo tra i vari checkin diretta a Tallin e ascoltavo “Futura” a volumi eccessivi. “Questo è l’anno dei Battles”, mi sono detta mentre ballavo nel fango alla Route du Rock durante il loro concerto. “Questo è l’anno dei Battles” mi sono detta nell’hangar dell’aeroporto di Templehof mentre ci sparavano addosso luce gialla. “Questo è l’anno dei Battles” ho ripetuto a New York, completamente rincoglionita da tre giorni di orari sballati, mentre ballavo ancora una volta. E fu l’anno dei Battles.

3. The Dø – Both Ways Open Jaws
Voglio bene ai The Dø perchè sono il primo gruppo che vidi sul palco della Route du Rock. Voglio bene ai The Dø perchè il loro concerto fu uno degli eventi principali della  mia settimana a Bruxelles (settimana in cui di Bruxelles non vidi niente e incontrai innumerevoli amichetti in giro per il Belgio e la Francia). Non sapevo nulla del loro secondo album fino a quando non lessi la recensione di Daniele. Lo consumai mentre stavo ancora a Verona e pedalavo verso Interzona. Un disco meraviglioso, elegante e malinconico. Mi odierò forse per sempre per non aver comprato in anticipo i biglietti per il loro concerto a Berlino.

4. tUnE-yArDs – w h o k i l l
“Non è uscito niente di paricolarmente bello quest’anno” “Ascolta tUnE-yArDs” mi dice Daniele,”Ascolta tUnE-yArDs” mi ripete Fede. E io chi sono per non ascoltarli? E così faccio partire il disco in ufficio e vorrei esplodere sulla sedia. E fu lei a farmi decidere per l’acquisto dell’esoso biglietto per il Berlin Festival. E fu anche il concerto migliore di tutto il festival. Capperi se spacca.

5. The Field – Looping state of mind
Perchè abitando a Berlino dovrei ascoltare solo elettronica (no, non ce la faccio e comunque ne ascolto davvero tanta rispetto al mio recente e breve passato). La prima sera che suonava a Berlino non ci sono andata per ignoranza (grazie comunque a chi mi ha detto che c’era), la seconda sera che suonava a Berlino suonava con i Battles (ma vedere i Battles per la quinta volta mi pareva eccessivo). La prima volta che suonerà in Italia però spero di esserci.


6. Akron/Family – ST II: The Cosmic Birth and Journey of Shinju TNT
Lo so, lo so. Dovevamo prendere il treno e andare in spiaggia. Sarebbe stato l’unico bagno al mare della stagione. Invece non ho mai fatto il bagno al mare. L’unico bagno l’ho fatto in un lago vicino ad un aeroporto, ma questa è un’altra storia. Dovevamo prendere il treno e poi il pullman e poi ascoltare gli Akron/Family e poi dormire in spiaggia e poi andare a predere la piccola turca all’aeroporto. E invece non l’abbiamo fatto ma ti giuro che sto cercando di farmi perdonare.

7. Ancher – Verdelegno
Tre ragazzi che suonano insieme dai tempi del liceo, vanno all’università e studiano composizione, ecologia del paesaggio e arti visive, vanno in giro per il mondo a Graz, a Venezia e a Reykjavìk, tornano, registrano e mixano tutto davanti al camino. E il risultato è un disco che suona in modo megaviglisamente legnoso e che sprigiona tutto quello che hanno fatto in questi anni. Lo potete ascoltare tutto qui, anche se per apprezzarlo veramente bisogna abbracciare la sua bellissima confezione in legno di pino austriaco, marchiata a fuoco copia per copia e fatto a mano proprio da loro.


8. (m+a) – Things.Yes
Un disco italiano che non sembra italiano. Un misto di tutta quell’elettronica cromaticamente fredda che viene da fuori e gruppi islandesi graziosi. Non vedo l’ora di vederli dal vivo.


9. C+C=Maxigross – Singar
Un disco italiano che sembra più che italiano. Adoro, adoro, adoro quello che i ragazzi di Vaggimal sono riusciti a fare. Perchè hanno rotto i gruppi italiani che cercano di scimiottare le mode e gli stili dei gruppi esteri. Noi abbiamo le nostre montagne, la nostra grappa e i nostri gnocchi di malga (quanto erano buoni i nostri gnocchi di malga!) e abbiamo anche i C+C che potrebbero essere i Crosby, Stills & Nash de noaltri ma sono semplicemente loro e hanno fatto un disco bellissimo.

10. Wye Oak – Civilian
E tu, che ci fai qui? Eri bello e non ho mai avuto il tempo di ascoltarti decentemente. Eri bello e ti hanno portato a Berlino ben due volte e io non sono venuta mai. Però eri bello comunque e quindi ecco perchè sei qui, anche se un po’ in fondo.

Menzione speciale (ovvero disco che non è del 2011 ma mi ha fatto l’anno comunque)


Norman Palm – Shore to Shore
Che è un disco del 2010 che mi ha commossa come nessun’altro disco prima d’ora. L’ho scoperto girovagando su Soundcloud a giugno, quando ero appena tornata a Berlino. È una specie di concept  album sull’amore a distanza (anche se “concept” fa venire in mente le cose prog che ascoltavo al ginnasio mentre questo è pop di ottimissima fattura). E riesce a combinare perfettamente folk, cantautorato, elettronichina e sperimentazione. Un disco a cui ho voluto davvero tantissimo bene. E che si ascolta tutto qui.

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Belle basi.
Scritto da verdeanita il settembre 5th, 2008 | 2 comments

Questo post è pieno di errori grammaticali perché sono stanchissima. Abbiate pietà. Domani c’è il quarto (e ultimo) round del Lou Fai Summer Festival.

Quella era la sera delle Breeders, nonché il primo giorno del primo festival della mia vita.
Mi avevano appena sottratto la macchina fotografica e non ne capivo il motivo visto che me l’avevano detto in francese.
Stavo curiosando per il Forte Saint Pere cercando di capire il sistema di somministrazione delle bevande (funzionava come alla Lou Fai: dovevi avere il bicchiere) e stavo pensando ai due concerti che mi ero persa. I Fuck Butttons e i Dodos.
Sul palco aveva appena finito il primo gruppo e stavano sistemando per il secondo. Ancora non facevo caso all’estrema precisione del programma. Se c’era scritto 19.15 voleva infatti dire che il concerto sarebbe cominciato alle 19.15.
Decisi di prendere confidenza con i bagni chimici e quando sentii un po’ di musichetta corsi senza fretta sotto il palco. Infatti non c’era moltissima gente e quella che c’era non si pressava sulle transenne come avviene di solito ai concerti di questa portata. Era sì il primo giorno, ma anche con i concerti più grossi la situazione sarebbe rimasta la stessa.
Notai, guardandomi intorno, che praticamente tutti assistevano al concerto con dei tappi gialli infilati nelle orecchie. Questo è il mistero principale che mi sono portata a casa dalla Route du Rock.
Il secondo mistero, di minore entità, è la comprensione piena del primo gruppo che suonò sul palco del Forte.
La prima impressione fu pessima. Erano in tre. Il bassista era un uomo cupo, coperto fa una felpa grigia col cappuccio che gettava ombra sulle sue espressioni facciali. Il batterista aveva una spirale di metallo appesa sopra il suo strumento e a questa spirale erano appesi numerosi aggeggi metallici. Piatti da portata e cacciaviti.
Lei, la cantante, dava l’impressione di essere incapace e di voler attirare l’attenzione solo grazie al suo spetto fisico. Aveva un vestito mezzo nero e mezzo blu, la faccia mezza bianca, un ciuffo di piume blu elettrico tra i capelli e una piccola e palesemente inutile borsetta di pelle nera.
La prima canzone, se non ricordo male, fu "Playground houstle" e il mio primo e crudele commento fu "Belle basi.".
Il resto del concerto contrastò pienamente con queste prime impressioni.
Mi ritrovai a ballare in modo grezzo come ad ascoltare rapita le canzoni più dolci. Lei non era per niente incapace. Anzi. Era brava a cantare e ad andare avanti indietro per il palco con energia rara e era talmente sicura della sua presenza scenica da causarti qualche scompenso quando ti accorgevi che la chitarra era scomparsa e poi, toh, era ricomparsa, prelevata e riconsegnata da un omino fedele che correva sul palco ad ogni suo cenno. E mi pareva anche brava a suonare. Non ricordo molto del bassista dalla felpa cupa e del batterista avvolto nel metallo. In fondo era lei a reggere tutto il concerto.
Dopo ogni canzone pensavo "Ancora. Ancora. Ancora." Purtroppo, dopo aver visto esaudite le mie invocazioni per un paio di canzoni, il gruppo fu invitato a sgombrare per tener fede ai ferrei orari del programma.
Cercai di reperire qualche informazione dai volantini dispersi nell’area del festival (che erano scritti solo in francese).
I The Dø sembravano tre ma in realtà erano solo due. Lui era francese e lei finlandese. Lui era il bassista dalla felpa cupa.
Trovai il loro nume su molti volantini appesi qua e là tra il campeggio e il Forte. Quando però facevo il loro nome ai francesi in possesso di qualche rudimento di idioma italico loro non si mostravano particolarmente colpiti.
Tornata a casa ne capii il motivo.
Il loro disco si chiama "A Mouthful", è uscito quest’anno ed oggettivamente è un disco molto carino. A me pare addirittura bello perché mi ricorda il concerto e perché è abbastanza vario. Sul loro myspace riportano influenze arcaiche che adoro (tipo Jimi Hendrix, Frank Zappa) e che colgo in modo indefinito.
Il problema di questo disco è che non contiene neanche la metà dell’energia che mi hanno trasmesso dal palco.
Aspetto quindi con ansia un altro loro concertino.
Ho fatto un rapido giro tra i blog musicali che leggo me di loro non parla nessuno.
Sul loro myspace ci sono date in città fredde e francofone, a parte qualche eccezione.
Paiono snobbarci, insomma. Come noi snobbiamo loro, d’altronde.
Riporto quindi l’unica data interessante per qualche lettore di questo blog.
13 dicembre 2008 – XXX – Istanbul (io mi starò consolando con i dolci di S. Lucia)

On My Shoulder – The Dø

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